Incontri con le scuole

 

A San Vittore con Istituto Rebora – 21/5/2008

Aparo: Buon giorno, prima di venire qui mi si è rotto il bagno, c’era acqua dappertutto e mi sono anche dovuto fare la doccia con l’acqua fredda. Non ho capito perché si è rotto il bagno, lo avevo appena cambiato, ora devo decidere se sia meglio buttarlo o aggiustarlo. Certo, questo discorso con le persone è più complicato da fare: non puoi buttare le persone se sono cresciute male, occorre fare qualcosa assieme.

E’ da poco morto Lorenz, lo scienziato della teoria dell’effetto farfalla, secondo cui il battito delle ali di una farfalla a Hong Kong può causare un ciclone nel Texas. Alcuni eventi sono causa di altri eventi. A volte il rapporto causa/effetto è riconoscibile, altre volte non è possibile ricostruirlo con esattezza perché le condizioni di partenza si combinano in maniera multipla e per questo imprevedibile. Ciò che accade nella vita è frutto di cause che riusciamo ad inquadrare e di altre che ci sfuggono.

Oggi rifletteremo sull’identità e sulle cause a volte facili, più spesso difficili, da riconoscere che permettono all’identità di seguire una strada piuttosto che un’altra. Leggeremo alcuni scritti di detenuti per porci delle domande. Non capiremo esattamente perché si fa una rapina o perché si diventa ciò che si diventa, ma metteremo a fuoco alcuni elementi che favoriscono che l’identità prenda una direzione piuttosto che un’altra.

Lettura “Il treno” (Luigi); leggono Elena e Paolo.

Aparo: Il detenuto che scrive dice di avere perso il treno, ma il treno l’ha perso o ha deciso di non prenderlo? Manchi un’occasione per caso o perché ti sei condotto in modo tale da arrivare tardi alla stazione?

Quando le decisioni sono di poca importanza (ad esempio decidere se guardare un film di avventura piuttosto che una commedia) possiamo disinteressarci del perché abbiamo fatto una certa scelta e non un’altra e delle conseguenze che ne discenderanno. Ci sono invece decisioni che, passo dopo passo, portano a rovinarsi l’esistenza. Per questo riflettiamo sulle scelte.

Lettura “Mi sento persa” (Monica); leggono Samuel e un altro studente.

Lettura “Leone o macaco?” (Tony); leggono Stefano e l’insegnante Andrea.

Aparo: Cosa avete ricavato dalla lettura degli scritti?

Carlotta (su Leone o Macaco?): Prima era leone, non stava a pensare alle cose che faceva, ora stando in carcere ha capito che la vita è un valore.

Aparo: E perché questo per te dovrebbe essere utile?

Carlotta: Si pone la domanda se può diventare uomo.

Samuel: Sottolinea l’evoluzione che ha fatto. Quando era leone non aveva la mentalità per cambiare, ora si è evoluto ed è pronto ad evolversi ulteriormente. Il macaco è più evoluto del leone, l’uomo lo è ancora di più.

Aparo: Cosa gli diresti? Hai domande da fare, perplessità da comunicare?

Samuel: Mi interrogherei sulle motivazioni al cambiamento, ma lo chiederei a me stesso perché credo che se lo chiedessi a lui potrebbe mentirmi. Mi chiederei quale percorso ha fatto per scrivere questo scritto.

Tony: Ho fatto questo scritto nel momento in cui mi sono messo in gioco. Forse oggi sono ancora leone, non sono già macaco, nello scritto ho un po’ imbrogliato. Non ho mai avuto un’identità mia, mi sono nascosto dietro al leone per sentire di appartenere alla società; certo, una società sbagliata ma almeno avevo una posizione. Riflettendo, ho capito che il leone era una maschera, mi nascondeva ciò che provavo, le qualità che avevo e le competenze che potevo raggiungere.

Essere macaco per me significa mostrarsi per quello che si è, con le emozioni e i pensieri che hai, con la paura e la consapevolezza di essere fragile. Ma io non sono ancora macaco, uomo chissà… lo diventerò un domani quando mi sentirò cittadino. E’ un gran lavoro.

Paolo: La scelta di entrare nel Gruppo della Trasgressione da cosa è stata dettata? Come ti avvicini a questa possibilità? A me non pare una cosa semplice da fare.

Tony: La mia vita è sempre stata deviante, ancora prima dell’adolescenza. Ho voluto che la mia detenzione fosse costruttiva e ho cercato degli strumenti. Mi sono avvicinato al gruppo un po’ per curiosità, un po’ per sentire discorsi diversi da quelli che di solito senti nei corridoi e poi mi sono appassionato. E’ stata una curiosità ma dentro avevo il desiderio di cambiare. Il gruppo è aperto a tutti i detenuti, ma non tutti partecipano perché costa fatica, ti trovi spesso in contrasto con te stesso. Io ho capito che per me era giunta l’ora di mettermi in gioco.

Aparo: Il carcere può facilitare la strada per giungere ad ammazzare altre persone quando esci oppure motivarti a svolgere attività insieme ad altre persone. Oggi proviamo ad esplorare la seconda strada.

Prof. Andrea: Tony ha disegnato un percorso e mi chiedo: io che vivo un’altra condizione rispetto alla sua, quanto sono macaco e quanto uomo? Stare fuori dal carcere significa davvero essere uomini o cittadini? Qui le persone sperano di diventare uomini, io credo di esserlo ma forse non lo sono.

Samuel: A me viene da rispondere al mio prof che forse c’è una domanda da porsi prima, e cioè: in funzione di cosa qui dentro si cerca di diventare uomini? E fuori? Qui si cerca di cambiare perché si è capito che non si può restare leoni: se non sali di un gradino la scala dell’evoluzione rimani fermo, fisicamente in carcere sei fermo. Chi è fuori non se lo chiede e magari muore iena mangiando gli altri per tutta la vita.

Rudy: Ho sempre cercato di vivere nell’ISSIMO, sempre in alto, belle donne, belle macchine, cocaina, eccetera. Vivere sempre al massimo può sembrare piacevole, così cerchi di far credere a chi ti guarda, ma prima o poi ti ritrovi a fare i conti. Dai 20 ai 35 anni ho vissuto una vita normale, avevo una famiglia, due bambine, poi mi sono separato e ho preso il giro corto, ho vissuto in alto e poi sono caduto.

Ho da poco ricominciato ad assaporare dei piccoli piaceri come il confronto con gli altri. Qui vengono esterni che stanno bene anche senza gli “issimi” e io mi ero dimenticato che era possibile vivere così. Ora cerco una vita ricca di altre cose rispetto al passato: tutto ciò che si compra con i soldi non riempie il cuore, invece vedere che qui le persone vengono da fuori tutte le settimane non per i soldi fa stare bene, dà forza per andare avanti. Anche io voglio una vita con valori più seri e meno minchiate.

Giulia: Sono entrata in carcere per svolgere tirocinio, studio psicologia. La mia è stata una scelta pensata: volevo considerare il carcere come qualcosa che mi appartiene, non come qualcosa di estraneo. Anche io provo sentimenti che a volte vanno contro le persone e ho pensato che fare progetti insieme ai detenuti potesse servire a me. Il gruppo crea relazioni e le relazioni che costruisci sono importanti per la tua evoluzione.

Francesco: Devo scappare al colloquio e dico poche cose. Sono contento che siate entrati in carcere da liberi. Al colloquio incontrerò mia madre: la madre è l’unica persona che ti rimane legata quando entri in carcere.

Vito: La pistola in tasca mi dava la sensazione di sentirmi vivo, un uomo, bravo agli occhi dei miei complici e questo fa parte del sentirsi leone, i soldi passavano in secondo piano. Riuscire a parlare con delle persone al microfono significa essere più uomini, sentire una gratificazione più vitale, ma per arrivare a questo non c’è stata la bacchetta magica della fata, come in passato non c’è stata la bacchetta magica della strega a farmi prendere la pistola. Oggi c’è un lavoro, ci sono incontri, c’è la fatica e ci sono molti stimoli. Da adolescente avevo capito che i miei amici mi gratificavano quando rompevo i vetri delle macchine e allora ho continuato alzando sempre di più il tiro. Quando compi una scelta grossa non ti accorgi che lì ci sei arrivato piano piano. Ho scelto io ma ero davvero libero di scegliere?

Mi sento fortunato oggi, anche se in questi anni di carcerazione ho perso la crescita delle mie figlie, i loro perché, ma sono stato fortunato nell’incontrare il gruppo. Ero diffidente verso chi mi diceva che al gruppo avrei conosciuto me stesso, poi qualcosa mi ha catturato. Ho capito che il gruppo sarebbe stato duro miei confronti, ma ho capito che mi serviva, che volevo cambiare e da solo non sapevo come fare.

Buttare giù i muri costruiti negli anni non è facile: da una parte non vuoi tradire ciò che sei stato, ma dall’altra cerchi te stesso. Se, parlando da solo con te stesso, oggi ti dici che hai sbagliato, il giorno dopo puoi dimenticartene, ma se lo dici al gruppo poi cerchi di non tradirti ancora.

Aparo: Ci si chiedeva poco fa se fuori ci si accorge della mediocrità che a volte si vive. Non è detto che ci si accorga facilmente di procedere verso la mediocrità. Tante volte uno se ne accorge solo quando ha superato un limite, a volte quando si è già troppo al di là. Vito ha sottolineato che quando compi delle scelte sei tu a farle, ma non sai se lo hai deciso quel determinato giorno o se ci sei arrivato per gradi.

Lettura “Boing… Boing… Boing…” (Rudy); leggono Albero, Lorenzo e una studentessa.

Aparo: Abbiamo letto questo scritto perché Vito ha parlato di microscelte (lui ha detto che sia la scelta delle rapine che la scelta dell’iscrizione all’università non sono avvenute in un solo giorno). In università nelle scorse settimane c’è stato un seminario proprio sulle condizioni che favoriscono l’evoluzione personale. Quali sono le condizioni per cui ci si sente stimolati a dare il meglio di sé?

Una delle studentesse durante il corso ha posto una domanda: cosa fa scattare nella persona l’impulso a commettere reati? Quali meccanismi scattano quando un giorno esci di casa per andare a compiere un reato?

Rudy rilegge il suo scritto col suo accento romagnolo.

Aparo: Rudy si pone una domanda importante: decido io il bene e il male che faccio o sono le circostanze che decidono per me? E’ vero che siamo noi a scegliere, ma è anche vero che esistono delle condizioni (esterne ed interne all’individuo) che rendono più probabile la scelta di un tipo piuttosto che la scelta di un altro tipo.

Se di fronte ad una scelta che ha prodotto conseguenze negative dici a te stesso che sei stato indotto dalle circostanze a compiere il male, ti deresponsabilizzi, ti giustifichi, ti tiri indietro, perdi la tua umanità, rischi di fare la parte del manichino vuoto, ti comporti come se gli altri decidessero per te e ciò non ti fa crescere, anzi favorisce il rapporto con la droga.

Ma la tua evoluzione è ugualmente difficile anche se ti convinci che sei solo ed esclusivamente tu la persona che ha scelto di fare male. In questo caso diventa difficile riconoscere dentro di te materiale per evolvere.

Facciamo un esempio. Tony ha ucciso una persona: alcune circostanze hanno reso possibile che ciò accadesse, d’altra parte lui di quelle circostanze era responsabile. Lui ha causato le circostanze e le circostanze hanno reso possibile prima litigare, poi uccidere. Se Tony dice a se stesso che ha compiuto l’omicidio perché spinto dalle circostanze, farebbe la parte dell’uomo senza midollo; se dice che è stata unicamente la sua determinazione a portarlo ad uccidere, bloccherebbe se stesso nel ruolo del cattivo.

E’ un discorso difficile. Rudy riflette sulle molle.. “forse sono stato io, forse no… chi mi ha fatto venire la voglia? Io… altri…”. La risposta manca nel suo scritto, è in divenire, è legata al fatto che ognuno intreccia relazioni e, in funzione degli stimoli che ne ricava, si trova a dare il meglio di sé in certe situazioni e il peggio di sé in altre.

Bene, cosa si è capito del mio discorso?

Samuel: Se metto in discussione la mia mente, metto in discussione la forza che mi fa muovere, ma ciò non è compatibile con la vita, ti sentiresti pazzo. Scegliamo in base alle circostanze o indipendentemente dalle circostanze? Se scegliamo in base alle circostanze, non c’è bisogno di dubitare della nostra mente. Se riteniamo di scegliere in completa autonomia dovremmo mettere in dubbio noi stessi, tanto che si dovrebbe resettare tutto e ricominciare da zero, ma è difficile ritornare sulle proprie scelte, sui nostri modelli, sul nostro modo di essere, tanto che a volte qualcuno sceglie il suicidio.

Aparo: Si deve avere tolleranza verso l’errore e i calli nelle mani per superarlo. Il suicidio non è una soluzione gratificante.

Prof. Andrea: Senza bisogno di delinquere, a volte nella vita cambiano delle cose e cambiano così in fretta che ti trovi a vivere una vita diversa da quella che avevi prima. La soluzione non può e non deve essere il suicidio, ma la capacità di chiedere aiuto agli altri, e ci vuole coraggio per farlo.

Non viviamo da soli su Marte, ciò che facciamo lo facciamo in relazione agli altri. Io mi sono trovato nella condizione di dovere resettare la mia vita. Se abbiamo fortuna è possibile resettare la propria esistenza senza doverci rinunciare. Da soli non ci si riesce, se vuoi costruirti una nuova identità non lo puoi fare da solo.

Paolo: Rudy, le molle… quando saltano? Credo che quando la cocaina ti prende, la scelta non ci sia, quindi uno come fa?

Francesca: Ma tu hai fatto la scelta di prenderla.

Studente: L’ambiente da cui vieni porta con sé dei valori, ti cambia, ti aiuta a prendere certe scelte. Tu sei il risultato di ciò che hai vissuto + ciò che vuoi fare di te.

Studentessa: Conosco un ragazzo che oggi ha 19 anni e studia all’università. Suo padre è morto di overdose quando lui era piccolo e ai suoi 14 anni alcuni adulti gli hanno regalato una bustina di cocaina. Ha cominciato a drogarsi, poi ha avuto la fortuna, prima che la storia degenerasse, di trovare altre persone che lo hanno aiutato a percorrere la strada difficile ma vitale del liberarsi dalla droga. Poi lui ha deciso di percorrerla. Sono scelte personali ma incide molto quello che vivi.

Aparo: Il cervello non si può resettare integralmente, ma ci si può trovare nella condizione di riformulare le proprie coordinate, di recuperare una bussola che funziona. E’ stato detto da più persone che ciò può avvenire nella relazione.

Quali caratteristiche deve avere questa relazione? Un insegnante affinché l’alunno possa avere voglia di sfruttarlo per crescere? E quali caratteristiche e domande devono essere presenti nell’alunno perché l’insegnante possa svolgere bene la propria funzione?

Prof.ssa: Noto che una domanda ricorrente nelle storie di Tony e Rudy è: cosa ciascuno va cercando? Secondo me è utile tenere presente e cercare di rispondere a questa domanda.

Tony: Sono in fase di reset in questo periodo. Questo cercare però l’ho sempre avuto. Credo di essere vicino a cosa sto cercando ma non ci sono ancora arrivato. Mi sono sempre interrogato, mi è sempre mancato qualcosa. Un valore che ho scoperto per me essere importante è l’essere pensato. Mi ricordo i miei pianti con i soldi in mano, con attorno gente “importante”. Nessuno pensava a stimolarmi in cose positive, mi sentivo solo. Oggi sono pensato e sentirmi pensato mi ha fatto scattare delle molle buone, mi ha fatto pensare a me stesso. Cerco un posto nella società guadagnato con sudore, essendo pensato e accettato dalle persone giuste.

Ispettore Della Monica: Credo che alla base del discorso di Antonio ci sia la famiglia. Se in casa non si parla, se i genitori e i figli non parlano, si cerca fuori, ma fuori puoi trovare sia persone positive che persone negative. In carcere cerchiamo di attuare le circostanze che dovrebbero esserci fuori.

Agente Esposito: Mi auguro che il messaggio che vi portate a casa oggi non sia quello di giustificare i detenuti ma quello di recuperare le persone. L’obiettivo di cambiare la propria carta d’identità è difficile. L’efficacia della pena non è la punizione ma il recupero della persona.

Aparo: Finiamo con una riflessione su cosa l’adulto e il giovane si possono chiedere l’un l’altro per divertirsi a fare ciascuno la propria parte.

Silvia: Un insegnante deve avere le orecchie aperte sia verso ciò che vivono gli studenti sia verso ciò che vive lui e ciò che vive lui insieme agli studenti. L’adulto deve emozionarsi, essere appassionato, essere credibile e deve potere intuire ciò che lo studente vuole diventare. Ognuno ha un talento da spendere nella realtà.

Mario: A proposito di talenti… io la mia vita l’ho trattata male per non avere messo in pratica ciò che mi dava emozione. Da adolescente invece che studiare e pensare al futuro andavo nelle case alla ricerca di oggetti antichi. Questa era la mia passione ma l’ho sfruttata male, ho cominciato a rubarla anziché studiarla. Rubavo nelle case dei ricchi.

Dopo tanti anni di carcerazione ho avuto la fortuna di venire a San Vittore e incontrare il professor Zuffi, storico d’arte, che mi ha fatto riscoprire una mia passione dimenticata. Ora entro nei quadri per vedere cosa voleva comunicare il pittore, leggo libri d’arte, studio. E’ venuto fuori il mio talento e ciò mi permette di portare avanti la mia identità.