Relazioni e possibili sviluppi

Pasquale Forti

24-04-2008  

Gentilissima Sig.na Delia Russo,

sono Pasquale Forti, membro del Gruppo della Trasgressione e, allo stato attuale, detenuto presso la Casa di reclusione di Bollate.

Ho letto la sua e-mail al dott. Aparo. I quesiti in essa contenuti hanno stimolato riflessioni che mi hanno fatto ritornare indietro nel tempo di quasi mezzo secolo (compio 55 anni ad ottobre). Ho pensato di condividerle con Lei, sperando di offrire un contributo alle domande che Lei pone.

Ero nato da due giorni quando morì un mio zio paterno, del quale ebbi il nome. Egli era una figura che nell’ambito sociale era considerata “un uomo di rispetto”. Nella fase pre-adolescenziale sono stato bombardato da una serie di stimoli che mi portavano ad assumere atteggiamenti e comportamenti aderenti al modello che lui rappresentava. Questi stimoli provenivano in parte dall’ambito familiare e, maggiormente, dal contesto sociale più vicino.

Mio padre era molto rigido e ciò alimentava un forte stato di timore e soggezione, che inibiva qualsiasi desiderio di dialogo da parte mia. In pratica, quasi una totale assenza di relazione. La varie istituzioni, scolastiche, amministrative, religiose, proiettavano l’immagine di uno Stato molto sfuocata, la distanza dello schermo era notevole e le critiche erano onnipresenti, l’arte di arrangiarsi era la costante. Questo, in estrema sintesi, rappresenta l’humus delle mie radici.

Ciò premesso, attraverso le riflessioni di oggi, penso che la perdita di autorevolezza delle figure genitoriali, unita a stimoli fuorvianti dell’ambiente circostante, mi abbia indotto a rifuggire dalle responsabilità. Eliminata la credibilità dell’autorità, si è formato un distacco dalla collettività che, confermato nelle epoche successive, ha generato una distanza difficile da colmare.

Questo isolamento, che per me ha rappresentato a quel tempo una forma di difesa, ha determinato tutta una serie di micro e macro scelte che difficilmente potevano conciliarsi con i miei limiti di allora. La carenza o addirittura l’assenza di dialogo ha alimentato una forte base individualistica, che ho poi trasportato in tutte le costruzioni successive con la sua sterilità e la sua fragilità. Il nutrimento di questo stato d’essere era il reato, che aumentava il mio delirio di potenza in rapporto alla massa e il conseguente distacco da essa.

Io credo che quelle parti di me che hanno preso sempre più campo nel corso della mia storia sbagliata facciano parte di un territorio comune a tutti gli esseri umani. Credo però che la maggior parte delle persone, attraverso dei punti di riferimento forti e importanti e delle relazioni che si costruiscono con essi, attraverso il confronto e il dialogo, riescano a delimitare e circoscrivere in spazi molto ristretti queste parti di sé; contemporaneamente conquistano terreno e crescono, arricchendosi in armonia con se stessi e con il mondo con cui interagiscono.

Questa è la mia risposta al suo: “Quali sono le molle? Come scattano?”. In merito invece al suo “Se è possibile fermarsi prima…”, il mio pensiero è il seguente.

Se l’autorità, genitoriale o istituzionale, anziché eccessivamente autoritaria, si ponesse in maniera credibile e autorevole, questo porterebbe i ragazzi ad interiorizzare norme e valori sui quali le norme civili stesse sono fondate. Ecco che il livello di consapevolezza della coscienza, così formata, conquisterebbe spazio dentro di noi e diventerebbe allora difficile o addirittura impossibile violentare coloro con i quali ci identifichiamo, perché sarebbe come violentare noi stessi.

Quindi no, signorina Delia, la rottura delle molle non è inevitabile se si riesce a produrre stimoli che inducano a riflettere su se stessi e sulla appartenenza al consorzio sociale. Se io oggi, alla mia età, riesco ad esprimere queste considerazioni non è accaduto per caso né per opera divina. Penso che sto cominciando a recuperare valori che erano già dentro di me fin dall’infanzia ma che avevo soffocato per le ragioni che ho cercato di indicare sopra.

Oggi, il rapporto con il Gruppo della Trasgressione mi ha stimolato a mettermi in gioco e a mettere in gioco le mie posizioni: un confronto e uno scambio che favoriscono un percorso di crescita positiva e reciproca. Queste relazioni e i frutti che ne nascono rappresentano per me un’opportunità preziosa per rientrare nella collettività, un cammino fatto di fatica, pazienza, dolore, per giungere a riappropriarmi di quel senso della comunità che contraddistingue l’individuo-cittadino.

Sperando che questo contributo Le possa essere utile, Le invio i miei più cordiali saluti.