La pesca con la bilancia

Dino Duchini

04-02-2006  

Ero piccolo e, come tutti gli anni, andai a passare le ferie estive al mio paesello d’origine da mia nonna, la madre di mia madre. Ero orgoglioso del mio bel paesello; tutte le volte che ci tornavo mi provocava, ancora a 50 km. di distanza, delle forte emozioni.

Con la separazione tra mia madre e mio padre, questo sentimento di appartenenza andò attenuandosi. Dopo una prima confusa percezione di ciò che accadeva fra i miei, giunsi ad averne una piena consapevolezza e a sentirmi più solo.

Durante le vacanze al paese i miei svaghi erano quelli di tutti i ragazzini del posto e, fra questi, uno sopra tutti: la pesca! Il mio paesello è circondato da tre laghi: Trasimeno, Montelpuciano e Chiusi, la pesca era uno sport praticato moltissimo e, chiaramente, a noi ragazzini piaceva partecipare con le nostre attrezzature più o meno adeguate.

Io mi applicavo molto, ricordo che mettevo in subbuglio la cucina di mia nonna per preparare gli intrugli più strani da utilizzare come esca, impiegavo tanto tempo a preparare le mie lenze… ed ero sempre pronto a praticare ogni tipo di pesca: a fondo, con il cucchiaino, con la canna fissa, ma mi ero attrezzato anche per la pesca con la bilancia.

La bilancia, per chi non lo sapesse, è una rete di cm. 90 x 90, montata su dei ferri, i bilancieri. E’ una pesca particolare, che si pratica in genere da ponti su fiumi che non hanno molta profondità. Bisogna essere abili con la bilancia: la si getta nel fiume con una corda e poi si rimane immobili ad aspettare che i pesci vi passino sopra, quindi con grande rapidità si deve tirare su per catturarli. Le prede, in questa pesca, non sono pesciolini, ma pesci pregiati, di una certa stazza!

A 7/8 Km. dal mio paesello, in mezzo alla “Chiana”, c’è una pianura in cui si addentravano solo i contadini per andare a lavorare nei campi. Questa è attraversata da un fiume che nasce dal lago di Chiusi e va sino al lago di Montelpuciano; e per ogni strada sterrata che attraversa la Chiana c’è un ponte da cui si può praticare la pesca con la bilancia.

Purtroppo, noi ragazzetti non ci potevamo andare da soli. Accanto ai pericoli reali legati all’ambiente, c’erano quelli irreali dell’immaginazione popolare. Quindi, per potervi andare,  dovevamo farci portare da qualche adulto.

Quel giorno mio Zio Aldo, il fratello di mia nonna, mi aveva promesso che saremmo andati a pescare con la bilancia insieme, lui, io e un mio amichetto e suo mezzo cugino. Finito di mangiare, avevo iniziato a preparare la mia attrezzatura quando arrivò mio Zio e mi disse che a causa di un impegno improvviso non saremmo andati a pescare.

Io protestai fortemente, ero molto deluso e arrabbiato! Non vi fu nulla da fare, mio Zio fu irremovibile e se ne andò; io me la presi con mia nonna, colpevole ai miei occhi di non avere fatto abbastanza per convincere suo fratello; tra i pianti dissi che io sarei andato lo stesso: una cosa che appariva un’enormità anche a me mentre la dicevo!

La discussione continuò finché mia nonna non andò a fare le sue faccende.

Questa cosa a me non andava giù, guardavo la mia attrezzatura pronta per essere usata, volevo andare e, allo stesso tempo, misuravo la mia paura per realizzare quell’avventura. All’improvviso raccattai le mie cose e partii. Passando dietro le case, per non essere visto, andai sul sentiero che portava nella Chiana, il sole cocente, la polvere della strada… l’orecchio teso ad ogni piccolo rumore, avevo paura e mi convincevo ad andare avanti pensando che avrei potuto sempre tornare indietro scappando. Furono 8 Km. lunghissimi, sudavo e soffrivo… ma ero contento e sempre più convinto strada facendo.

Arrivato in prossimità del ponte sul fiume, vidi due figure che mi venivano incontro, in lontananza non le riconobbi, ma man mano che si avvicinavano il mio sangue cominciò a ghiacciarsi: mi sembravano, ma non era possibile… ed invece lo era, mio Zio Aldo e il mio amichetto Massimo, che messa via l’attrezzatura da pesca stavano tornando a casa!

Quando c’incrociammo il mio timore era svanito; li guardai con pregiudizio e dentro di me mi sentivo un gigante. Quando li salutai, non gli chiesi nulla, loro non ebbero faccia di dirmi nulla, li superai… arrivai al ponte e solo allora mi girai vedendoli in lontananza come due minuscoli puntini.

Pur senza comprendere il senso dell’accaduto, ne stavo soffrendo assai… sino a pensare che quella era la mia punizione per essere andato senza autorizzazione a pescare da solo. In mezzo a questo conflitto emotivo mi misi a pescare con la mia attrezzatura. Dopo averla preparata, gettai la bilancia nel fiume, mi misi “in punta” senza fare alcun movimento in attesa del pesce… ma la mia testa continuava la sua lotta… mi sentivo in colpa per avere scoperto quella tresca!

Devo specificare che quel tipo di pesca non è affatto facile… spesso vi si passa interi pomeriggi senza alcun risultato… i pesci, specialmente quelli grossi, sono furbi … molto furbi. Ad un certo punto, sotto la superficie dell’acqua vidi muoversi il fango del fondale, mi irrigidii… e subito dopo vidi sopraggiungere lentamente una meravigliosa, grande Tinca.

Era inconfondibile, bella, maestosa… muoveva la sua coda lentamente, ed altrettanto lentamente si avvicinava alla mia rete… ci girò intorno, era sicuramente le preda più bella che avessi mai avuto l’opportunità di acchiappare.

Avevo timore di sbagliare al momento di tirare la rete… ma il momento arrivò, era al centro della mia rete, non potevo chiedere di meglio, quasi mi sembrava che si volesse far catturare, tirai quella rete con decisione e forza e la presi!

Mi stupì la decisione che avevo avuto… forse sentivo che se non l’avessi catturata me ne sarei pentito per tutta la vita. Loro non avevano preso niente… avevo visto le loro reti vuote!

Misi via la mia preda.… smontai la  mia attrezzatura, desideravo continuare a pescare, ma avevo molto desiderio di tornare a casa per dimostrare quanto di buono avevo fatto, avevo quasi dimenticato il conflitto che mi aveva portato a quel risultato vincente su tutta la linea.

Non dissi mai a mia nonna di ciò che aveva fatto suo fratello, credo che anche lui tacque ed anche il mio amichetto non lo raccontò mai a nessuno, mi accontentai di ricevere il riconoscimento del mio coraggio e della mia abilità da mia nonna, seppure le avevo disubbidito.

Credo che, consapevolmente o meno, questa vicenda mi sia tornata in mente molte volte nelle occasioni in cui ho sfidato l’autorità.