Torta di mele o al cioccolato?

 

Antonella Cuppari, 03-03-2003

"Non è quel che vidi che mi fermò. E' quel che non vidi. Puoi capirlo fratello? E' quel che non vidi… lo cercai ma non c'era. In tutta quella sterminata città c'era tutto tranne… c'era tutto ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello, la fine del mondo."

Quando i limiti non ci sono, mi sento persa e frammentata. Il limite mi fa venire in mente uno spazio, interno ed esterno, ed un qualcosa che può essere sempre superato o almeno sfidato.

Il limite può essere un tiranno perché si pone come muro di fronte al mio desiderio di libertà. Se c'è un tiranno, però, inevitabilmente c'è qualcuno a cui egli si rivolge; quel qualcuno sono io, artista o suddito. Dipende da come mi pongo di fronte a lui.

Il limite definisce la mia identità, delimita il mio raggio d'azione, mi permette di diffondere le mie energie ad una distanza tale che possano espandersi senza disperdersi e di osservare il bersaglio che esse raggiungono.

Novecento si è sentito perso di fronte all'infinito di una città. Novecento suonava un pianoforte con 88 tasti; sulle armonie che ne tirava fuori egli fantasticava posti magnifici, donne bellissime. Si sentiva onnipresente, onnipotente.
New York ha messo Novecento di fronte ai suoi limiti, i limiti di un essere umano. Di fronte ad un paesaggio sterminato di strumenti, Novecento si è accorto di non poterli usare tutti.
Se non poteva usarli tutti, non poteva creare ed immaginare qualunque cosa.

Gli 88 tasti del pianoforte di Novecento erano gli strumenti-limite attraverso cui egli esprimeva la propria creatività.

Creare fa sentire onnipotenti, per un attimo una divinità che riesce a plasmare la materia dando forma alla propria idea.
Il processo creativo è un momento magico perché permette di mettere in comunicazione parti di noi con l'esterno. Il processo creativo è il momento del parto, è uno scultore che lavora un pezzo di marmo, è un insieme di note che si legano a formare una sinfonia.
Il processo creativo trasforma i limiti in risorse, in strumenti, in materia prima.
Se non ci fossero limiti nulla potrebbe essere creato perché mancherebbero gli ingredienti.
Essi implicano di per sé un limite; se nella torta metto il cioccolato, il risultato non potrà più essere una torta di mele. Quell'ingrediente limita inevitabilmente quello che sarà il risultato finale, ma dà comunque un'identità a quello che creo.

Di fronte ad una infinità di strumenti, Novecento si è sentito perso.

- Caspita lì ci sono mele, lì c'è il cioccolato e li ancora lo yogurt. Non posso più fare tutto, non so cosa scegliere.-

Quando gli strumenti sono tanti inevitabilmente devo scegliere; una scelta che mi porta ad usare determinati strumenti e non altri, che mi porta ad ammettere che non posso fare ed essere tutto.

E' questa consapevolezza che Novecento, credo, non poteva tollerare.
Stavolta era lui che avrebbe dovuto porsi dei limiti, che avrebbe dovuto trovare una fine; la fine non del mondo, ma i confini del mondo in cui si giocano le relazioni e la comunicazione.

Il pianoforte che ha tasti infiniti non è quello dell'uomo. L'essere umano di fronte all'infinito deve scegliere; la scelta, ahimè, mi pone davanti alla mia finitezza e di fronte al fatto che, se io ho scelto una strada, non potrò seguirne contemporaneamente un'altra.

Novecento è rimasto sulla sua nave insieme agli 88 tasti che usava per creare.
Novecento è rimasto sulla nave sacrificando la propria facoltà di scegliere.
Novecento davanti ad un bivio ha fatto retromarcia.

La scelta è parte integrante di un viaggio e di un cammino interiore.

Al reparto "La Nave" qualcuno, a differenza di Novecento, ha fatto le valigie ed è pronto per partire.