Oltre la cultura della pena
Presentazione del film "Campo Corto"

 

Angelo Aparo

11-12-2002



Col Gruppo della trasgressione, detenuti e studenti lavorano insieme perché venga mantenuta attiva la comunicazione fra carcere e società.

L'obiettivo è riflettere e generare iniziative su temi di confine; temi che permettano a detenuti, studenti e cittadini comuni di orientare lo sguardo verso aree dell'espressione umana come la sfida, la trasgressione, il limite, la creatività, che sono capitoli dell'esperienza umana comuni a tutti e che ognuno interpreta nel modo in cui la propria storia e le proprie risorse gli permettono.

Il convegno su "La sfida" che si è tenuto a ottobre è nato in carcere. I detenuti hanno contribuito a far lievitare il discorso sulla sfida, gli studenti a raccogliere da alcuni docenti universitari e dalla gente comune quali elementi potessero essere interessanti da confrontare e intrecciare con l'esperienza di una sfida espressa attraverso il reato. Oggi la raccolta di testimonianze sulla sfida è aperta anche su www.ildue.it.

Il film "Campo Corto" inizia con la frase "non era questo il primo sogno": buoni e cattivi, criminali, bambini, professionisti, persone che costruiscono e persone che distruggono inseguono un sogno; alcuni individui sentono di avere gli strumenti per accudire il proprio sogno e portarlo avanti, mentre altri non sono in grado di reperire tali strumenti oppure li perdono lungo la strada.

Avere un sogno non basta, occorre anche saper tollerare le frustrazioni e occorre che si sappiano e si possano reperire nella realtà gli strumenti per non dare subito per persa la partita del sogno.

Chi arriva in carcere un sogno lo aveva; spesso però i sogni abortiscono.

Il lavoro in carcere consiste nel cercare di recuperare il primo sogno, non occorre catechizzare le persone né insegnare loro come si deve vivere, ma cercare uno spazio grazie al quale la persona possa recuperare il suo sogno e, da quello, mettere insieme mattoni per dargli concretezza e renderlo riconoscibile da altri uomini.

In carcere esistono diversi corsi e laboratori, che sono tanti modi per permettere ai detenuti di coltivare competenze utili per intrecciare il proprio lavoro con quello di altri cittadini; il Gruppo della trasgressione e il giornale di San Vittore giocano e lavorano intrecciando le parole di chi sta dentro e chi sta fuori dalle mura, nella consapevolezza che esistono tante mura di ordine diverso, dentro e fuori la mente.

Il film si conclude con un nuovo sogno, quello di essere riconosciuti, il desiderio che un fiore lanciato a chi guarda possa aprire una comunicazione col mondo esterno.

 

Umiltà ed equilibri

Sento dire spesso che bisogna imparare ad essere umili ma qualcosa mi dice che questo obiettivo, nei fatti, non viene mai raggiunto: l'uomo non può imparare per davvero ad essere umile, insegue un sogno che non è umile: è il sogno dell'Infinito. E non c'è un'età in cui questo sogno venga abbandonato; ad ogni età si cercano gli elementi utili a farlo stare in piedi.

Quando ero piccolo mi piaceva spingere la bicicletta di mio padre, farle prendere velocità perché potesse stare in equilibrio e correre da sola. L'uomo cerca di dare equilibrio a qualcosa e desidera che questo qualcosa possa mantenere l'equilibrio necessario per andare avanti. Io guardavo la bicicletta correre da sola per 20/30 metri e mi sembrava di realizzare questa fantasia di equilibrio.

Alcuni sognano l'infinito facendo cantare le persone in coro, altri costruendo una teoria per comprendere il mondo, altri non hanno strumenti nemmeno per essere coscienti del proprio sogno e allora tentano di fissarlo in un oggetto, nel potere; in ogni caso non si può essere umili fino al punto di rinunciare a sognare l'infinito. Ma collegando forze diverse, si può fare in modo che l'illusione di procedere verso l'Infinito regga nel tempo.

I detenuti cercano di riprendersi il sogno, di superare le distanze. Hanno un muro davanti e sognano di superarlo. Tutti abbiamo dei muri da superare, alcuni, ad esempio, hanno il sogno di imparare a parlare, ad urlare.

Credo che una ragionevole umiltà possa consistere nell'accettare l'aiuto degli altri per coltivare il proprio sogno.

Nel carcere possiamo rintracciare degli esempi di sogni abortiti che possono dirci qualcosa su noi stessi e stimolarci ad avere cura dei nostri sogni.

In carcere noi incontriamo e cerchiamo di fare incontrare persone i cui sogni di libertà e di indipendenza si sono frantumati contro la libertà degli altri; questo è il nostro lavoro e il nostro gioco: cercare cosa i nostri sogni hanno in comune, intessere progetti e parole dentro cui i sogni possano essere riconosciuti e acquisire equilibrio nel confronto con quelli degli altri.

Poi, una volta fuori dal carcere, si trova una realtà che mette a dura prova l'equilibrio che i sogni hanno conquistato, ma intanto ci si è allenati al gioco di fare stare in equilibrio una bicicletta che sembra andare da sola, spinta dal nostro desiderio, dalla forza che le abbiamo impresso e dalla forza di gravità, che è un limite, ma anche una risorsa.