GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE

Silvia Casanova

Verbale 23-05-2005; ospite: Padre Guido Bertagna

 

L’incontro viene aperto dal dott. Aparo che riassume per l’ospite gli obiettivi del gruppo e il lavoro di preparazione al convegno sulla punizione. Aparo conclude chiedendo a Padre Bertagna: “se e quanto l’obiettivo dell’evoluzione di chi viene punito è contemplato nella concezione cristiana della punizione”.

Padre Bertagna:
Se si legge la Bibbia nella parte dell’Antico o Primo Testamento la parola “giustizia” originariamente in ebraico è la “Tzedakà”, che, dopo un passaggio dal greco, dikaiosune, è arrivata ad essere tradotta in latino con “Iustitia”.

La iustitia, cioè l’essere uguali di fronte alla legge,  rappresenta uno scivolamento di significato verso una concezione retributiva della giustizia. Nell’antico testamento, infatti, la Tzedakà non aveva questo significato: al centro non c’è la legge da osservare ma la relazione da costruire / mantenere.

Noi ci siamo abituati al sistema triangolare che prevede un trasgressore, una parte offesa e un giudice; accanto a questo la Bibbia offre un altro modo di concepire la questione: la “RIB”, la controversia bilaterale. Essa consiste nella pratica per cui chi viene offeso va da chi reputa l’abbia danneggiato chiedendogli conto del fatto. Chi risponde può accettare l’accusa e dare delle spiegazioni oppure rifiutare l’accusa. Al centro dello scontro / incontro c’è la relazione. In questa concezione, nel fare giustizia, interessa che non venga danneggiata la relazione, si tratta quindi di una giustizia che considerala relazione come il bene massimo da salvaguardare.

Giovanni
come mai allora Adamo ed Eva vengono cacciati? E se la controversia si risolve con una punizione, nel mantenimento della relazione c’è l’obiettivo dell’evoluzione?

Massimo:
lo scivolamento interpretativo mi sembra essere un problema esistente tutt’oggi; mi viene in mente che dal momento della decisione del giudice all’esecuzione della pena da lui prevista ci sono molti passaggi.

Armando:
la punizione nel senso ebraico mi sembra molto educativa.

Georgiev:
mi piace l’importanza data al dialogo delle due parti in causa prima che venga decisa la punizione.

Padre Bertagna:
La domanda sul perché del male, della trasgressione, dell’errore, verrebbe trattata da un greco attraverso una serie di riflessioni speculative. La mentalità ebraica, invece, per capire il mistero del male utilizza il racconto: i primi 11 capitoli della Bibbia sono capitoli introduttivi, a-storici, raccontati secondo un registro mitico. Non si racconta di un passato in un tempo e in un luogo precisi, non si racconta un fatto accaduto veramente, ma ciò che avviene sempre.

Il peccato originale non è, come si tende a credere, il primo peccato, ma l’origine del peccato. E riguarda, in particolare, la relazione dell’uomo con Dio. La ribellione si origina dalla cattiva immagine che si ha di Dio, ecco la strategia del serpente: “… è proprio vero che Dio ti vuole felice? Non è magari invidioso di te? Forse ti vuole cretino e contento?”

La cacciata dal paradiso indica che Dio prende sul serio la libertà, chiede all’uomo la responsabilità dei suoi gesti, di rispondere, di essere in relazione con lui. La trasgressione ha senso solo in questa libertà.

La punizione acquista senso nel far assumere la coscienza della responsabilità, non della colpa. Essa offre l’opportunità di rientrare in se stessi e di prendere coscienza del male fatto per poterne rispondere (riparare per restare in relazione).

A questo riguardo, purtroppo, bisogna ammettere che l’attuale carcere è il più totale fallimento.

La sanzione è una forza centripeta che serve a “riunificare” la persona, il reato una forza centrifuga che porta fuori da se stessi.

Dio prende atto che la relazione, così com’è nel giardino, ora non è più possibile, cerca un’alternativa e si occupa di cucire le pelli per vestire l’uomo, nudo in modo emblematico.

I primi 11 capitoli raccontano il fallimento di Dio nei rapporti: uomo/Dio; Uomo/donna; Fratelli; Comunità (la torre di Babele).

Si riparte da Abramo, che accetta di entrare in relazione con Dio.

Dopo l’intervallo vengono letti due scritti: “Lettera al padre” di Massimo e “La storia vera” di Georgiev.

Giampietro
vorrei che si riprendesse il concetto dei due diversi rapporti di giustizia nella Bibbia, quello che prevede la relazione orizzontale (tzedakà) e quello che prevede la relazione verticale o triangolare. Quali sono i rapporti fra le due? Quando c’è la presenza dell’una o dell’altra?

Padre Bertagna:
Il rapporto triangolare in ebraico è chiamato “Mishfat”; i giudici sono i capi, i patriarchi, figure prestigiose e sapienti riconosciuti, ad esempio Salomone. Questo nel Primo Testamento.

La Rib invece riflette meglio il rapporto che Dio ha con il suo popolo, la sua umanità; è dunque il profeta (colui che parla davanti) che ha il ruolo di esprimere una voce controcorrente, che riprende il popolo ricordandogli, al momento in cui non si comporta secondo le regole stipulate nell’alleanza, che non è così che ci si è impegnati a vivere nel contratto di relazione con Dio.

Enzo
i profeti esortano a comportarsi in un certo modo. Ma le persone comuni hanno bisogno che ci sia sempre qualcuno che li corregga? L’uomo è propenso a sbagliare? E’ un dato connaturato con l’umanità, con l’essere Uomini?

Padre Bertagna:
E’ una riflessione interessante, ci sono passaggi nell’itinerario biblico che colgono questo aspetto. Ad esempio, il profeta Geremia dice e compie gesti totalmente controcorrente e molto esplicativi: ad Israele nel 580 a.C. furono rapiti molti uomini ad opera dei babilonesi per essere deportati a Babilonia e utilizzati come guerrieri o schiavi. Geremia sosteneva che Israele un po’ se l’era cercata… è possibile un tempo in cui saremo fedeli all’Alleanza?

Verrà un tempo in cui la legge non sarà incisa su tavole, ma sul cuore dell’uomo”.

A quel punto compie un gesto fuori dall’ordinario: prende i risparmi e compra un campo, poi chiede ai suoi servi di prendere il contratto e di metterlo in un posto asciutto perché prima o poi sarebbe tornato utile.

Afferma fisicamente la sua lealtà all’Alleanza, perché il profeta ha fiducia che il rapporto con Dio resta vivo perché Dio è fedele al rapporto.

La misericordia nel racconto biblico non è una caramella data se si fa i bravi bambini; è il dono che Dio fa all’uomo che sbaglia, comunque e da sempre.

E’ perché sei amato che puoi cambiare vita, non che se cambi vita allora sei amato”.

Dio ogni giorno ti dà la possibilità di scegliere; l’amore ha fantasia, il male è ripetitivo, ti porta sempre verso gli stessi errori.

Enzo: allora nasciamo perdenti?

P. Bertagna:
Facciamo l’esperienza della sconfitta. Ma nasciamo con la possibilità di vincere, nasciamo con la libertà di poter costruire delle relazioni, di esserne responsabili e se necessario dare la vita per esse.

Aparo:
Padre Bertagna ci ha dunque detto che nelle sacre scritture la punizione punta all’evoluzione dell’uomo e intende promuovere la capacità dell’uomo di rispondere all’altro uomo.

Mi torna in mente la questione di cui parlavamo la volta scorsa, cioè dell’ideale della legge: essa è imperfetta e mutevole, perché fatta da uomini imperfetti e perché, di solito, cerca di difendere soprattutto il potere di chi la formula. Mi sembra tuttavia che, idealmente, tutti gli uomini di un gruppo sono chiamati a contribuire a che la Legge riesca sempre meglio nell’intento di tutelare i diritti di tutti i membri del gruppo.

Ma forse non è azzardato ipotizzare che la Legge e le istituzioni che ne derivano debbano farsi carico non solo di garantire la libertà dei membri di un gruppo, ma anche di sostenerne l’evoluzione, la maturazione. Mi rendo conto che ciò che dico esula dal codice penale, ma forse non è troppo distante da quello che dice la nostra Costituzione: l’individuo non ha bisogno solo della libertà di scegliere nel rispetto degli altri, ma anche di essere sostenuto nel percorso che gli permette di diventare una persona responsabile, una persona capace di stare in relazione, quella relazione senza la quale, “libertà” e “arbitrio” diventano equivalenti.

Se è vero che l’individuo nasce con la spinta ad evolversi, per noi tutti diventa importante chiedersi quando, in che modo e perché questa spinta viene disattesa o completamente tradita. Noi seduti al tavolo abbiamo l’occorrente per chiedercelo e forse anche per abbozzare qualche risposta.

Nello: la libertà per la religione che cos’è?

P. Bertagna:
La libertà si coniuga con la capacità di scegliere. La parola del profeta serve a rimetterti nelle condizioni di scegliere; “Il fallimento non è l’ultima parola”, la scelta può orientare e riorientare la vita.

Conversione significa ritorno. Nella Bibbia il concetto non è quello di cambiare testa, ma tornare da dove hai deviato. Dio prima del mondo ha creato il ritorno; una porta sempre aperta che sta all’origine e fonda la possibilità di essere rimessi nella capacità di scegliere.

Si può vivere da figli o da padroni. Vivere da figli significa vivere liberamente, avere la consapevolezza di aver ricevuto la vita e non di essersela data, questo mi fa diventare libero.

Vivere da padroni è l’equivalente di ciò che fa il bambino che pretende tutto quando non ha ancora imparato a riconoscere la vita di relazione.

Aparo:
Premesso che la libertà non avrà mai la “L” maiuscola, probabilmente la libertà più gustosa e nutriente non si ottiene in una realtà priva di confini, ma in quelle situazioni in cui la voglia di essere privi di limiti e i limiti reali possano comunicare e rinnovarsi di continuo.

P. Bertagna:
Si impara a diventare liberi. Il percorso deve umanizzare, sintonizzare su cosa si è chiamati ad essere nel profondo: sapere scegliere, saper dare la vita perché si è consapevoli di averla ricevuta, sapere rispondere. Questo è il vivere da figli, un po’ quello che è stato il cammino in divenire di Gesù il Nazareno.