In viaggio con quello che Marco mi ha lasciato

 

Massimo Battarin

12-03-2005 Foto di Livia Nascimben

Rileggendo un saggio su Ulisse, ho cercato di utilizzare il viaggio della figura mitologica per riflettere sul mio. Ciò che permette ad Ulisse di superare le prove a cui è sottoposto durante la sua esplorazione del mondo è anche il suo sapersi adeguare alle situazioni.

Sono convinto  che l’uomo sia in grado di adeguarsi ad ogni condizione; con questo non intendo un adeguamento in stato di passività, ma in uno stato di attività. Anche nella condizione più difficile, siamo in grado di sviluppare “organi” nuovi grazie ai quali si può continuare a vivere da “Uomo”.

Ogni essere umano è sottoposto a prove più o meno ardue, questo anche nella quotidianità; non c’è bisogno di eventi straordinari per mettersi in gioco. Personalmente mi è capitato di sprofondare in situazioni apparentemente impossibili da superare, dove ho anche pensato che la soluzione migliore potesse essere quella di togliermi la vita, per fortuna non ho mai avuto il coraggio di farlo.

 

Ciò che mi ha dato modo di uscire dall’apatia in cui ero sprofondato diverse volte è stata la forza di volontà. Una delle prove più grandi che ho superato è stata la consapevolezza di aver causato la morte di Marco, uccidendolo con un coltello. Per circa un anno ho vissuto in una condizione di autolesionismo morale e fisico fin quando mi sono risvegliato e ho compreso che continuare lungo quella strada non mi avrebbe condotto a nulla di buono, tanto meno costruttivo.

Non doveva essere il capolinea anche della mia vita, ma un punto preciso da cui iniziare a rivivere per me stesso e per la vita che avevo tolto, cercando di essere propositivo e positivo giorno dopo giorno.

Da quel dì, ogni mattina prima di scendere dal letto, dedico del tempo ai propositi costruttivi  e medito su come posso attivarmi per la giornata. Attuo una patto tra me e Marco, così cerco di utilizzare come spinta per migliorarmi il senso di colpa che porto come un tatuaggio indelebile dentro di me. Non so se questa sia la via giusta, ma è un tentativo per non sentirmi in una condizione di debito immobilizzante con le vittime che ho reso tali e nei confronti della società civile. 

La sera prima di coricarmi rifletto sui progetti che sono riuscito a realizzare durante la giornata e là dove ho mancato o ho sbagliato cerco di capire perché,  come posso migliorami; sia nel bene che nel male, tendo ad essere comunque positivo poiché anche gli errori possono essere punti di partenza per un nuovo viaggio ricco di tesori.

Non è un’impresa facile quella di convivere in modo evolutivo con il proprio senso di colpa, sono in cammino… cerco di scoprire sempre più strumenti che mi permettano di trarre ricchezza dal mio errore, ricercando con maggior chiarezza l’obbiettivo. In questo momento mi sembra di scorgere da lontano le forme che lo identificano. 

Quando parlo di "organi", non mi riferisco a risorse esterne a noi, recuperate in chissà in quale luogo, ma a virtù e attitudini che esistono da sempre in ognuno di noi e che ci permettono di superare le diverse situazioni in cui l’essere umano si può venire a trovare, a volte per circostanze sfortunate, altre, come più spesso accade, per una volontà che ci costruiamo nel tempo, il più delle volte con tasselli che aggiungiamo senza una piena consapevolezza di dove ci porteranno.

 

 

Dobbiamo fare in modo che le nostre virtù possano emergere; più abbiamo esperienza reale diretta o indiretta dei nostri limiti, più saremo in grado di riconoscere come e dove orientare le nostre qualità.

La conoscenza del limite è importante per arrivare alla nostra “Leggenda Personale”. Non sempre è utile percorrere la strada più breve; è fondamentale provare se stessi tanto nei tratti pianeggianti, quanto nelle discese e nelle salite. Fin da piccolo, uno dei miei hobby preferiti era il trekking: nel percorrere le diverse mulattiere ricordo che cercavo con frenesia una via che mi portasse prima degli altri sulla vetta.

Andare fuori dai limiti designati dai tracciati di montagna mi portava spesso sull’orlo di un precipizio o ad un vicolo cieco, con paura e confusione ritornavo dagli altri componenti della gita entro il sentiero.

 

 

Ripensando a quei momenti, ritengo di essere stato fortunato poiché le scorciatoie avrebbero potuto farmi cadere precocemente nel burrone; il momento è stato rimandato ad un decennio più tardi.

Nei miei ricordi scolastici, Ulisse sceglie di sottoporsi alle prove, consapevole delle difficoltà che dovrà affrontare (fa molta differenza se ci si mette in viaggio con uno zaino ben fornito o se si è inaspettatamente trascinati dagli eventi). Egli, dopo aver  superato ogni prova che incontra sul cammino, si sente più forte e sicuro, acquisisce nuove competenze e prova nuove strategie che gli permettono di superare esami che in precedenza sarebbero parsi insormontabili.

Imparare a conoscere i nostri limiti, questo è anche ciò che ci permette di interagire al meglio con il mondo. Nell’Inferno di Dante Alighieri, Ulisse è considerato il simbolo del desiderio di conoscenza e, nello stesso tempo, è immortalato come l’icona di ciò che succede se si superano i limiti imposti all’uomo.

Mi domando, come fa ognuno di noi ad identificare i propri limiti? Non mi riferisco solo a ciò che viene dettato dalle norme etiche o dalle leggi, ma ai limiti soggettivi di cui ogni essere umano ha esperienza.

Si narra che Ulisse perse la vita nel tentativo di oltrepassare  le “Colonne d’Ercole”. Forse, in quella circostanza, egli non era stato consapevole totalmente dei suoi limiti, forse li aveva trascurati proprio per quel suo desiderio di conoscenza che andava nettamente in contrasto con i “confini” imposti dagli Dei agli uomini,  ma non è forse anche l’andare oltre gli equilibri già collaudati ciò che ci può far raggiungere armonie sempre maggiori?

Forse osservando con umiltà noi stessi saremo in grado di affrontare con maggiori possibilità di arricchimento le prove della vita. Se riusciamo a tenere conto dei limiti che ci accompagnano, probabilmente, riusciremo meglio ad utilizzare gli strumenti che possediamo o acquisiamo strada facendo, per farne punti di forza nel rispetto di noi stessi e dell’altro.