IL FARO - Riunione 23-05-2003

Un viaggio attraverso piccole “opere d’arte”

 

da Antonella

L’incontro si è aperto con la lettura da parte di Maurizio di un suo scritto Il pompiere;
gli altri membri del gruppo gli chiedono una spiegazione; lui non si tira indietro:

Il pompiere spegne gli incendi. Gli incendi nascono perché i palazzi, all’interno dei quali vi sono i cavi elettrici, sono stati progettati e costruiti male. Così succede che, ad un certo punto, le fondamenta cominciano a cedere e il sistema elettrico va in tilt, scatenando un incendio.

Interviene il pompiere che, tempestivamente, cerca di spegnere l’incendio. Quando questo viene domato, bisogna stare attenti perché sotto la cenere si potrebbero nascondere delle scintille ed inoltre non bisogna dimenticarsi del rischio del vento.

Mi sarebbe piaciuto molto fare questo lavoro; invece mi sono ritrovato a fare sì il pompiere, ma quello “abusivo”, quello non ufficiale, quello fuori dalle regole. Io sono un pompiere abusivo perché ho sempre spento i miei affetti e sentimenti. In realtà, però, questi non andrebbero spenti perché fanno parte della mia persona.

Subito dopo, alcuni detenuti intervengono per un commento sullo scritto di Maurizio.

Daniele dice:

I pompieri sono per me le istituzioni che cercano di spegnere le sommosse. Queste però, rischiano sempre di accendersi di nuovo. I pompieri cercano anche di spegnere dei sentimenti che fanno male e che non si vogliono vivere.

Antonio aggiunge:

Io cambierei titolo allo scritto di Maurizio. Il pompiere vero spegne le cose cattive mentre lui dice di aver spento i buoni sentimenti.

Anche il professor Aparo ha dato una sua lettura:

Il pompiere di Maurizio mi fa pensare ad una persona che ricorre all’eroina per sedare il malessere che ha dentro. Gli impianti elettrici malandati li sento come una rete di comunicazione che, non funzionando bene, può portare allo sviluppo di un incendio. Vedo l’incendio come un disagio, un tumulto, un malessere che il pompiere della nostra storia cerca di spegnere, ma abusivamente, cioè attraverso l’uso dell’eroina. Un altro modo per spegnere l’incendio sarebbe quello di chiamare il “pompiere ufficiale”, senz’altro più rassicurante (richiamo all’immagine del genitore). Questa figura però, nel momento dell’incendio, non è presente, e quindi entra in azione il pompiere abusivo. Questi cerca di provvedere all’incendio senza affrontarlo realmente, tant’è che sotto la cenere rimangono dei focolai. Il terreno, che Maurizio ha definito arido, può quindi portare alla nascita di un nuovo incendio.

Viene poi messo in evidenza il fatto che la storia di Maurizio, può essere interpretata in tantissimi modi; in altre parole, non esiste un’interpretazione univoca.

Lo scritto di Maurizio - dice Aparo - è come una piccola opera d’arte, una rete, dei punti con un abbozzo di dialogo fra loro, e la possibilità per chi la guarda di scoprire e insieme costruire il senso di questi collegamenti: le scoperte e le costruzioni possono essere tante, ma accade che fra le tante costruzioni – anche senza averci pensato mentre le si produce - si possa ancora tracciare e rintracciare una rete di corrispondenze.

Aparo cita poi il corso della Gasparini e ne riassume brevemente una delle finalità:

Nelle lezioni vengono presentate delle opere d'arte con l'obiettivo di ricostruire in ciascun quadro le diverse voci di un discorso, un dialogo più o meno esplicito fra personaggi diversi.

Si parte da una serie di presupposti su cui è facile trovarsi d'accordo:

  • in ogni essere umano esistono diverse parti più o meno in conflitto fra di loro

  • questi conflitti sono più o meno aperti e riconoscibili

  • le parti interne hanno bisogno di un dialogo perché il soggetto possa conoscere la natura del conflitto e, nella migliore delle ipotesi, risolverlo

  • a volte, il dolore causato da tali conflitti è tale da indurre l'individuo a spegnere le discussioni e gli attriti fra le diverse parti

  • nelle sue opere, ogni artista rappresenta, più o meno coscientemente, il contrasto fra le diverse sue spinte, aspirazioni, paure, conflitti, ecc

e da alcuni presupposti che costituiscono il tratto distintivo di questo modo di intendere l'arte, una concezione che ne valorizza anche le potenzialità terapeutiche:

  • l'artista, a volte del tutto inconsapevolmente, finisce per affidare ai diversi elementi presenti sulla scena le diverse spinte che lo muovono

  • ciascuno dei personaggi (non necessariamente umani), ciascuno degli elementi del quadro (ma vale lo stesso anche per altre forme d'arte) corrisponde ad una delle voci e cioè delle spinte interne dell'artista

  • fra i diversi elementi del quadro, dunque, è aperto un discorso che è dell'artista, ma è anche il possibile discorso di tutti coloro che vivono quello stesso conflitto (ovviamente i principali conflitti che gli esseri umani hanno in comune sono quelli che riguardano i capitoli centrali della vita: nascere, morire, crescere, genitori, figli, ecc)

  • si presume infine che l'artista, proprio per il fatto che si serve di un codice e che sottostà ai vincoli tipici della sua arte per rappresentare le diverse parti del conflitto, impone a se stesso un discorso nella cui trama il conflitto prende una forma

  • quando il conflitto prende forma ... e cioè passa dallo stato di matassa ingarbugliata e informe allo stato di rete dove i diversi elementi del conflitto sono riconoscibili e collegati fra loro ... quando il conflitto si dipana e diventa discorso fra le parti, si aprono le premesse per una crescita della consapevolezza di sé e per una sensazione di benessere, il benessere che di solito segue il fatto che le parti che prima si respingevano o si disconoscevano, giungono poi a riconoscersi e ad arricchirsi l'una dell'altra

  • chi fruisce dell'opera d'arte, se riesce ad entrare nel dialogo aperto fra i diversi elementi dell'insieme, se riesce a ricostruire le voci, ottiene il beneficio di trovare una voce anche per i propri conflitti.

Io credo che l’opera d’arte, in quanto tale, possa alimentare molti discorsi che però convergono sui dei punti in comune. Un dipinto, uno scritto, una canzone, suscitano in ognuno molti pensieri che, però, devono essere cuciti in maniera organica. Il prodotto artistico stimola discorsi dagli ampi confini, ma ciò non toglie che esso ha comunque una sua identità e un suo taglio.

Un gruppo come il nostro, di detenuti e studenti, o quello di operatori sociali, è produttivo se ogni membro, partendo da una “piccola opera d’arte”, sviluppa un discorso che viene restituito agli altri.
In questo modo le ricostruzioni individuali possono intrecciarsi tra loro. Esse, nonostante facciano riferimento ad esperienze soggettive diverse, convergono su un tema comune che è quello suscitato da chi ha fatto l’opera d’arte; se così non fosse ci si troverebbe nel campo del delirio, "... dove il contatto con i fatti reali naviga nell'arbitrio e non è soggetto ad alcun codice formalizzato collettivamente".


Dopo i commenti allo scritto di Maurizio, ha preso la parola Ernesto; egli è un detenuto del reparto “La Nave” di San Vittore, che a giorni terminerà la sua pena. Negli ultimi tempi Ernesto sta offrendo a tutti i membri del gruppo una serie di scritti e poesie che parlano di paure, speranze, progetti.

Durante l’incontro Ernesto ha letto Il suo ultimo scritto, Il fantasma dei fantasmi. Protagonista è Quinsi, fantasmino minacciato dai fantasmi del passato che rischia di ricadere nei suoi errori.

Ernesto dice di sentirsi un po’ come Quinsi:

Nonostante tutte le esperienze negative che ho vissuto, sono sempre riuscito a rialzarmi. E’ sempre arrivato però un momento in cui mollavo tutto, come se la vita che stavo facendo fosse stata solo di un gioco, e ricadevo nell’errore, nella droga.
Adesso ho voglia di ricominciare ma ho paura dei fantasmi del passato; ho voglia di uscire, non solo di galera, ma anche dal circolo vizioso in cui sono più volte caduto. Voglio essere una persona normale, non voglio più cadere negli errori del passato.

Aparo prova a rispondere ad Ernesto:

Tutte le persone possono vivere esperienze estreme, siano esse positive o negative, che rimangono nella nostra mente come focolai (le scintille nascoste sotto la cenere di Maurizio) o come fantasmi del passato. Negli scritti di Ernesto, mi sembra di ritrovare sempre il desiderio di ricominciare e la fiducia in una rinascita.

L’incontro al gruppo del “Faro” è terminato poi con la lettura dello scritto di un detenuto della sezione penale sul tema della libertà. Ognuno è stato poi invitato, per il prossimo incontro, a scrivere qualcosa sul tema della libertà.


 

Un incontro nella diversità


Ho sentito l’incontro di cui ho riferito molto stimolante.

Il carcere, i reati e la tossicodipendenza sono certamente realtà pesanti sia per chi li vive sulla propria pelle, sia per coloro che gli stanno intorno: compagni di cella, operatori, familiari, agenti di custodia…

Dentro queste situazioni difficili, però, si può cercare di individuare e riattivare quella componente positiva che stava alla base della “domanda” implicita nel reato e nell’uso di sostanze stupefacenti. Si tratta di optare per una visione delle cose che valorizzi le componenti comuni a tutti gli esseri umani, il bisogno di esprimersi e di dare spazio e forma ai propri conflitti interni.

Con chi commette reati e con coloro che usano sostanze stupefacenti, il “paesaggio” può apparire arido, pericoloso, facilmente infiammabile. Se ci si limita a tamponare l’incendio quando esso si scatena, rimarrà sempre il pericolo di focolai dormienti sotto la cenere. Come anche Maurizio ha fatto notare, "alla base di un incendio c’è spesso un impianto elettrico, una rete di comunicazione difettosa che lo ha generato". Si tratta di una componente potenzialmente positiva perché nata per comunicare, ma che poi, per ragione difficili da identificare, si è “guastata”.

Ognuno ha il proprio impianto elettrico perché ogni essere umano ha in sé l’esigenza di comunicare. Un gruppo, può diventare uno strumento per riattivare quell’impianto elettrico che tanto bene non funzionava.

Gli scritti di cui ho riferito sono, secondo me, degli atti di libertà perché consentono in qualche modo di emergere da una situazione pesante e perché consentono di dare una forma, una trama e un senso a dei conflitti interiori che, se non hanno spazio per esprimersi, potrebbero diventare incendi.

La dott.ssa Gasparini ha più volte definito l’artista colui “che sa immergersi nel magma del non ancora pensato e che, attraverso una trasformazione creativa, riemerge con un messaggio che lo accomuna all’interlocutore”.

Non siamo tutti artisti, questo è vero, eppure ogni essere umano ha in comune con loro quel bisogno di esprimere, dar forma ad un caos interiore, quel bisogno di trovare uno spazio che non lo opprima.
Quando gli scritti di Maurizio e quelli di Marcello vengono proposti dal Gruppo della trasgressione come “piccole opere d’arte”, non li si vuole paragonare all’”Ultima Cena” di Leonardo o alla “Guernica” di Picasso, bensì evidenziare quella loro componente creativa e costruttiva che ha la sua massima espressione nell’artista.

Nell’ultima giornata del corso sui codici affettivi della dottoressa Gasparini, si è evidenziato come l’operatore che si rapporta con l’adolescente tossicodipendente, non debba tanto concentrarsi sulla patologia, quanto sulla parte sana che il ragazzo possiede, quella parte comune a tutti gli esseri umani.
Il problema principale non è la ricerca di criteri che consentano di collocare l’adolescente in una categoria diagnostica piuttosto che un’altra. In questo modo –dice la Gasparini- si corre il rischio di creare un muro, una distanza che impedisce l’incontro.

Le differenze possono portare allo scontro, all’incontro o all’evitamento. Secondo me, qualsiasi tipo di espressione artistica (poesie, disegni, canzoni…), può diventare uno strumento trasformativo perché consente di comunicare il proprio mondo interno in maniera non distruttiva.

Quando leggo lo scritto o la poesia di un detenuto, vi rintraccio delle emozioni e degli stati d’animo che vivo anch’io. Si tratta di un “incontro nella diversità”, dove ognuno usa la propria esperienza e le proprie caratteristiche per darsi un’identità e per comunicarla agli altri.

Il Gruppo della Trasgressione rappresenta un tentativo di intrecciare parti diverse della società e del mondo della cultura, per trovare quei bisogni universali che possono portare, per motivi differenti, una persona a diventare un artista e un’altra a far uso di sostanze stupefacenti.