A che serve... ormai che Samuele è morto?

 

Milano 6-2-2002

Angelo Aparo

 

Dialogo a due voci

…eppure, anche se lo spazio che cercavi non lo hai trovato, forse possiamo cominciare a parlare. In fondo, parlare è proprio quello che avresti voluto se solo ne avessi avuto l'opportunità, se gli altri non si fossero allontanati quando tu hai provato a farlo.

A che serve, ormai? … è morto; io ho pure provato a parlare, a dire che non ce la facevo più a vivere in un angolo che diventava ogni giorno più stretto… Samuele non aveva certo colpa, ma lui teneva per sé, tutto per sé…

…quello che per te diventava sempre più difficile da riprendere…

Io non ho mai avuto quello che aveva Samuele, lo hanno avuto e lo hanno in molti, ma io no; l'ho visto da lontano, senza mai riuscire a prenderlo, ad averlo per me.

Neppure adesso, però, puoi averlo.

No! Ma adesso non lo può avere nessuno e a me non importa più niente, perché non ho più bisogno di niente, perché già io non mi sento più niente.

Se veramente non fossi niente, non soffriresti così…

Ma io volevo..avevo capito che dovevo fare qualcosa per cambiare, per cambiare la situazione, per cambiare tutto.

E' possibile cambiare, ma non tutto, non tutto in una volta.

Sì, ma allora è necessario avere un aiuto e io non ho trovato chi fosse disposto a darmelo e, tanto meno, a capire che ne avevo bisogno.

Forse sei stato anche tu a non capire in tempo che avevi bisogno di aiuto, che da solo non potevi farcela… e anche adesso, qualsiasi cosa tu abbia in mente per cercare di compensare quello che è successo, non puoi farlo da solo.

Ma se già prima nessuno ha mosso un dito per aiutarmi, adesso non è nemmeno pensabile…

Io credo che le persone che ti possono stare vicine per fare quello che c'è da fare ci siano e sono sicuro che aspettano un tuo segnale per poterlo fare. Hai ragione, adesso è più difficile, ma nessuno vuole che si ripeta una cosa così, come non lo vuoi tu…Occorre innanzitutto cominciare a vedere cosa si può fare per non peggiorare la situazione; in questo momento tutti hanno paura di te perché non ti conoscono, non sanno dove sei, come stai, cosa puoi fare; le persone hanno paura l'una dell'altra, ma in realtà hanno tutte paura di te e questo non è quello che tu vuoi. Forse lo hai voluto prima, ma adesso credo che tu voglia che gli altri non abbiano paura, proprio per poterti prendere.

Ma io non voglio essere preso…

Dici di no? Se fosse del tutto vero, avresti potuto andartene lontano.
Se lo avessi fatto, forse nessuno avrebbe capito la vera ragione della tua fuga; ma adesso, anche immaginando come ti puoi sentire, nessuno può venirti a trovare; nessuno è capace di trovarti, se tu non lo aiuti.
E' necessario che tu cominci a fare adesso quello che non hai saputo fare prima.
Se non ti fai riconoscere, nessuno va avanti, tutti rimangono fermi, ognuno in un angolo senza poter fare nulla, anche il funerale è stato rimandato…
Tu volevi uscire dal tuo angolo, non che tutti finissero in un angolo.

Ciao

 

 


 

 

Storia di un naufragio

Chi ha ucciso Samuele sarà rintracciato e, dal momento che nessuna delle motivazioni che hanno mosso la sua mano potrà essere ritenuta umana, comprensibile, ci troveremo - ancora una volta - a dover dirimere se si sia trattato di un raptus o di premeditazione.

E mentre ci arrovelliamo attorno al dilemma, diamo per scontata una bipolarità che non esiste:

Quando i due piani si scollano del tutto è solo un intervento esterno che può ricomporre la loro possibilità di riconoscersi: su un versante, traducendo in parole un rancore incontenibile e distruttivo; sull'altro, scuotendo la freddezza glaciale della parte che pianifica con i convulsi sentimenti della parte che urla.

Il raptus viene generalmente concepito come una condizione di temporaneo obnubilamento psichico, durante il quale il soggetto produce dei comportamenti violenti, distruttivi, tendenzialmente insensati. Si parla di raptus, di solito, quando una persona uccide improvvisamente e in modo singolarmente violento e il delitto sembra non avere moventi comprensibili (cioè riconducibili ad una delle ragioni cui solitamente si pensa quando avviene un omicidio: vantaggio economico, acquisizione di potere, vendetta). La diagnosi di raptus indica che nello spazio psichico dell'interessato si sono prodotti degli impulsi incontrollabili, che hanno travolto il soggetto fino al punto da renderlo vittima quasi quanto la persona che per sua mano ha perso la vita.

E così è! Ma circoscrivere la formazione del gesto delittuoso ai pochi momenti in cui si produce il comportamento violento risponde più alla nostra esigenza di difenderci dalla complessità della mente che alla reale natura di quest'ultima.

Il raptus diviene nel tempo, come nel tempo si sviluppano le condizioni che precedono di un istante un tuffo dal trampolino. Il "rapimento" col quale chi è preda di un raptus è sottratto a se stesso viene organizzato nel tempo dallo stesso soggetto che verrà rapito; giorno dopo giorno, egli annoda una corda sempre più stretta attorno alla sua facoltà di scegliere, fino quando giunge a una realtà senza sbocco. A quel punto, uccidere non è una scelta, ma un precipitare giù dopo avere staccato il piede dal trampolino.

E tuttavia rimane la facoltà di scegliere il modo, il come, il quando; e a questo livello, il pensiero è ancora in grado di immaginare, di pianificare, di tener conto degli ostacoli:

Il soggetto non sa se evolversi o annientarsi e finisce per uccidere una parte di sé e la vittima in un colpo solo. Poi si acceca, dimentica il divenire dell'accaduto per difendersi o, schiacciato dalla colpa, cerca di svanire del tutto.

Come restituire alla società ciò che rimane? Forse liberandoci dalla domanda con cui siamo partiti e, pur nel dolore per l'irreversibilità dell'accaduto, provare a ricomporre due istanze e due piani della mente dove la comunicazione ha subito un corto circuito.

Chi fa naufragio, anche se da protagonista della tragedia, non ha bisogno di nascondersi, ma di ritrovarsi e di essere ritrovato. Il lavoro sulle nostre contraddizioni è il filo d'Arianna per rintracciarlo senza rimanerne sopraffatti.