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Sulla "Relazione d'aiuto"

 

Sara Bellodi


Io non credo che l'altro giorno ci fosse un muro invisibile tra detenuti e studenti; e, sinceramente, mi irrita che lo si possa pensare. Se noi 10 abbiamo deciso, più volte, di entrare in carcere quando evidentemente nessuno ci ha obbligato, forse è perchè questo tipo di pregiudizio davvero non c'è. Se ci sediamo tutti intorno in una stanza così piccola, detenuti e studenti, non si sa perchè viene in mente che ci sia il muro invisibile tra di noi. Se invece dei detenuti ci fossero stati ad es., dei professori, la separazione non sarebbe venuta in mente a nessuno.

Mi sembra palese che se abbiamo scelto di passare un sabato pomeriggio con i detenuti è perchè questo ci interessa, perchè questo progetto ci sta coinvolgendo e credo che l'ultima cosa che abbiamo in mente sia entrare in carcere per creare un altro muro. A me non è neanche venuto in mente in che posto sedermi ieri, al di là del fatto che accanto a me e a Rossella c'era Ivano (e quindi evidentemente non uno studente), di certo non sono entrata là dentro con l'idea di mettermi accanto a uno studente perchè ho paura di un detenuto!!

Quello che io ho visto l'altro giorno è stato un desiderio comune di capire, di lavorare insieme pur senza avere una direzione rigidamente prestabilita, il tutto ovviamente supportato dal desiderio di conoscersi meglio. Io l'altro giorno ho visto un interesse reciproco, non un muro. Ma poi mi chiedo se sia ancora il caso di ribadire tra di noi che non abbiamo pregiudizi; mi pare che sia già stato più volte chiarito che abbiamo progetti che vanno ben al di là dell'abbattere pregiudizi.

Sinceramente penso che abbia ragione la Patruno quando dice che, se siamo entrati in carcere e continuiamo ad entrarci, evidentemente, così tanti pregiudizi poi non li abbiamo.
Essere disorientati di fronte a una cosa che non si conosce, essere in qualche modo influenzati dalla stereotipo del carcere credo che sia diverso, a volte, dall'avere un pregiudizio.

Quello che volevo ribadire nella mail di ieri è che il nostro gruppo non si propone di fare un'opera assistenziale. Mi sembra che questa non sia solo una mia opinione personale; il prof. Aparo l'ha chiaramente enunciata in diverse occasioni. L'amicizia verso i detenuti non fa parte dei nostri obiettivi, come non ne fa parte l'amicizia fra noi studenti. L'amicizia può nascere via via che procediamo insieme e allora ben venga!

In questo momento io vedo i detenuti come delle persone che stanno facendo un cammino, che si stanno interrogando, le vedo come persone pronte a un impegno e a un "progetto" comune, non le vedo in primis come bisognose e sofferenti. Lo saranno anche! Sicuramente il carcere non è un luogo di giubilo!

Ma gli obiettivi dell'intero progetto (per come si può leggere anche dagli scritti di studenti e detenuti), prevedono che i detenuti collaborino con noi come persone in grado di fare, in grado di ricevere e fornire degli stimoli. In altre parole, il nostro gruppo non prevede corsi per dame di carità.

E se proprio di aiuto vogliamo parlare, costruire qualcosa insieme e arricchirsi in virtù di un'esperienza comune non è un aiuto? Ivano che non dorme e si interroga su quanto gli è stato detto non ha esplicitamente dichiarato di sentirsi aiutato? Il fatto che non si sia mai istituito un gruppo di studenti e detenuti che lavora congiuntamente non è già un aiuto per chiunque ne voglia trarre profitto?