GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE
Riunione del 6-07-2002


 

Presenti: Rossella Dolce, Sara Bellodi, Alice Ordanini, Livia Nascimben, Antonella Cuppari, Claudio Belletti, Margherita Macis, Silvia Casanova, Cosimo Colbertaldo, Salvatore Marchisella, Diego Ludovico, Sisto Rossi, Tiziana Croccolo, Pippo Natoli, Dino Duchini, Vito Damone, Ivano Longo, Guido Conti, Francesco Pace, Riccardo Padoa, Emila Patruno, Angelo Aparo.

 

Antonella Cuppari

Questo incontro mi ha lasciato emozioni forse più intense e coinvolgenti rispetto ai convegni precedenti; sarà la situazione ad avermi fatto sentire più "un NOI", più intimi, sarà che l'obiettivo che ci guidava sembrava più chiaro.
Si sono dette cose che condividevo e altre che invece non mi vedevano molto d'accordo, ma il bello stava proprio in questo: nel vedere come tante teste diverse potessero vivere diversamente una stessa esperienza.

E' stato un ottimo modo per conoscerci e soprattutto per chiederci il perché ci trovavamo lì, INSIEME. Senza dubbio, almeno nel mio caso, ciò che mi ha fatto arrivare fino a questo punto è stata primariamente la curiosità, curiosità di vedere quel che si cela al di là di ciò che è stato definito un MURO (sia esso un "muro che protegge"- vedi Salvatore - o un "muro che opprime" - vedi Guido -), un muro che è la rappresentazione tangibile della struttura carceraria.

Mi è piaciuta moltissimo l'espressione "Breccia nel Muro" che il prof. ha utilizzato come metafora della nostra attività: una breccia lanciata da quella parte di noi stessi che desidera inventare, trasformare, toglierci dall'anonimato. Questa parte possiede ed esprime al meglio, secondo me, quella "competenza a sfidare" che ci spinge a sfidare i confini, ad avvicinarci ai limiti per cercare di superarli.

Tutto ciò non riguarda solo noi studenti, che attraverso la nostra curiosità abbiamo deciso di sfidare queste mura di separazione, ma anche i detenuti che con noi erano seduti ieri, e che hanno deciso di mettersi in gioco, hanno messo in dubbio il loro sentirsi "pesci fuor d'acqua", e hanno provato a confrontarsi con quella società che fino al giorno prima avevano criticato e da cui si erano dichiarati estranei.

L'incontro di ieri mi ha dato la possibilità di nutrirmi attraverso le idee altrui: nutrirmi, e non essere passivamente imboccata. Infatti, grazie anche alla sollecitazione del prof e della dott.ssa Patruno, tutti sono stati coinvolti nel gioco e invitati a contribuire a questa esperienza collettiva di nutrimento, in cui ognuno di noi si è nutrito e ha nutrito, si è arricchito delle idee altrui e ha offerto le proprie.

Importante, secondo me, è stato chiarire una volta per tutte il motivo che ci ha spinto ad essere lì: non ci siamo incontrati per raccogliere critiche circa l'istituzione carceraria, né tanto meno eravamo lì per celebrare o per rappresentare questa istituzione. Il nostro incontro è avvenuto perché, per alcuni detenuti e per alcuni studenti, cioè per due piccoli spicchi della nostra società, quella parte di noi di cui prima ho parlato, è andata oltre il nostro bisogno di separare, ha MESSO IN GIOCO il mondo ordinato fatto solo di bene/male, giusto/sbagliato, bianco/nero, e ha deciso di SFIDARE il "muro" e ha lanciato la prima "breccia" contro di esso.

Il muro è stato scalfito, non abbattuto; per fare ciò sono necessarie più frecce, più teste; ecco perché accanto alla nostra sfida personale, che ci permette di godere e di giovarci dell'esperienza che stiamo vivendo, è auspicabile una sfida che coinvolga sempre più persone.
Attraverso il solo fatto di esistere come gruppo, e attraverso la comunicazione della nostra creatività, dei nostri lavori e dei nostri progetti possiamo allargare questa breccia nel muro.
Produrre, comunicare ciò che stiamo vivendo può accendere in altri la stessa curiosità che ci ha spinto a sfidare il bisogno di emarginare dalla nostra coscienza ciò che fa soffrire e che genera conflitto.

In questo modo si può estendere, secondo me, quella spinta propulsiva che permette di andare al di là dei pregiudizi, di andare "al di là del muro", di arricchirsi e godere per ciò che stiamo facendo.

Ecco ciò che mi è rimasto dell'incontro di ieri e che il prof. ha più volte ripetuto:
il carcere come metafora della separazione interiore,
la nostra attività come spinta trasformativa che lancia una breccia contro le mura del carcere, mura che rappresentano le stesse mura che noi stessi abbiamo e che non permettono il confronto dialettico di due parti apparentemente percepite come incompatibili.
ARRICCHIRE-ARRICCHIRSI / SFIDA PERSONALE-SFIDA COLLETTIVA: ecco cosa ho conservato di ciò che ieri abbiamo vissuto insieme.

Scusate se sono stata forse un po' ripetitiva sui punti che a me sono sembrati importanti; forse ognuno di noi ha colto lati diversi di ciò che ieri è stato detto.
Prima di lasciarvi però vorrei trascrivere cosa, approssimativamente, ieri è stato detto; ciò non vuole essere il resoconto fedele di tutto quello di cui è stato parlato ieri… in fondo non sono un registratore!!! In alcuni momenti ero infatti così intenta ad ascoltare che mi riusciva difficile trascrivere quanto veniva detto!!

Nel corso dell'incontro si è cercato di capire quali aspettative ciascuno di noi avesse in relazione al gruppo/gruppi di cui facciamo parte.

SALVATORE
La mia opinione iniziale sul carcere era di inutilità completa. Col gruppo della trasgressione sono stato spinto a chiedermi quali sono stati i miei errori nei confronti della società. Così ho cominciato a vedere le mura del carcere, non come "limite invalicabile", ma come "muro che protegge", allo stesso modo di un box all'interno del quale viene messo un bambino.

DINO
L'obiettivo che mi pongo è quello del contatto; è bene che la società prenda atto che qui dentro ci sono dei detenuti, delle persone che sono nate libere e che poi hanno trasgredito. Più le carceri sono affollate, più significa che c'è qualcosa che non va nella società. La mia aspettativa è quella di portare avanti questa comunicazione con la società affrontando insieme, di volta in volta, argomenti diversi.

LIVIA
Mi è piaciuta molto la metafora di Salvatore del "bimbo nel box". Io mi sento protetta da questo gruppo e questo lavoro mi serve per capire cosa spinge ognuno di noi a volte ad elevarsi e altre a distruggersi.

ALICE
Al momento attuale questo lavoro mi ha portato molti spunti di riflessione; per il momento quindi serve per lo più a me stessa. Il gruppo secondo me funziona perché dà stimoli per riflettere; non saprei dire le mie aspettative per il futuro perché sono funzione di ciò che stiamo facendo e portando avanti giorno per giorno.

GUIDO
Non posso negare di essere insofferente al carcere, perché intralcia ogni iniziativa. Nel carcere non vedo un muro che protegge; abbiamo i fucili puntati verso l'interno, bisogna guardare in faccia la realtà!!
Certo è importante incontrarci e conoscerci, ma sarebbe più utile fare qualcosa insieme, qualche attività e non solo chiacchiere. Mettere quindi l'accento sul fare e non solo sul dire.

ROSSELLA
Io sto portando avanti un progetto nella mia scuola che è piuttosto particolare; infatti è un ex carcere, ci sono sbarre alle finestre. Ci sono alte aspettative per i ragazzi e ciò genera parecchia tensione che a volte "trabocca" in risse, a volte con armi.
Ciò che mi interessa capire è come da ragazzi vivaci si può arrivare ad determinati atti violenti.

SALVATORE
Il rapporto scuola-adolescente è secondo me simile a quello carcere-detenuto.
Per quanto riguarda la critica di Guido circa il muro che protegge, so benissimo che non è così, ma considerarlo tale, almeno personalmente, mi aiuta a "superarlo".
Continuare a lamentarsi, denunciare, criticare, non serve a niente: il muro è qualcosa che racchiude e, secondo me, è più utile considerarlo non un ostacolo, ma una sorta di protezione.

GUIDO
Ma in realtà alle persone il carcere che razza di strumento fornisce? Da questo punto di vista c'è una carenza macroscopica.

APARO
Questo incontro non rappresenta il carcere e non discende dall'idea astratta del carcere, tanto meno intende celebrare la bontà dell'istituzione carcere o incentrarsi sulle critiche possibili al carcere; la nostra riunione è piuttosto un momento, una tappa del divenire storico di eventi correlati, l'esito delle scelte di alcune persone: alcuni particolari detenuti del carcere di San Vittore; un particolare direttore, Luigi Pagano; una particolare giornalista, Emilia Patruno; alcuni studenti di una specifica facoltà di psicologia; uno psicologo che vive la particolare circostanza di lavorare dentro San Vittore e dentro la Bicocca. Alcune persone hanno ascoltato delle cose, se ne sono appropriate e hanno assunto un atteggiamento particolare nei confronti della situazione.


Le mie aspettative per il futuro sono centrate su due punti:

  1. Ricerca e studio dei semi comuni che precedono il differenziarsi delle spinte costruttive da quelle distruttive. Tutti noi possediamo una volontà d'esistere, un desiderio di essere riconosciuti e di agire trasformando la realtà, un impulso a ribellarci e a non accontentarci della realtà che ci viene consegnata; queste volontà, nel divenire delle vicende umane e nell'intreccio con la realtà ambientale, possono assumere diverse configurazioni che, estremizzando, vanno dal delitto gratuito alla creazione di nuovi orizzonti collettivi.

  2. Il carcere come muro, separazione. L'essere umano è il luogo della separazione, il luogo del conflitto. L'essere umano ha nelle mura del carcere la metafora della sua natura; ma allo stesso tempo, l'essere umano è anche il luogo dove vive una spinta perenne a superare le barriere difensive che egli pone a se stesso; l'uomo, nonostante luogo di una separazione mirata a difenderlo da se stesso e dagli altri, è anche il luogo dell'invenzione di mille collegamenti possibili fra le parti separate. Il carcere, allora, oltre che metafora della separazione, può anche diventare esperienza del valico, del superamento del confine; e giocare, in tal modo, un ruolo propulsivo anche per il comune cittadino.

Dal gruppo mi aspetto che si producano esperienze, eventi, pensieri, scritti, fatti che motivino altri studenti, altri detenuti ad esplorare e a sfidare le proprie potenzialità. Mi aspetto che questi due gruppi si scambino ed elaborino congiuntamente dei progetti di trasformazione da portare all'esterno.

ROCCO
Sono qui per cogliere qualcosa che possa servirmi a cambiare, che possa servirmi fuori di qua. Tutto ciò mi sembra una bella esperienza.

IVANO
Con voi non mi sembra di essere in carcere: ci sono le sbarre ma mica le vedo!! In questo momento mi sento libero!!! Voglio capire perché, se tutti quanti siamo spinti a sfidare, io sono finito così e voi no. Io ho bisogno di attrezzi per farmi i muscoli e per costruire qualcosa di concreto!!

PIPPO
Da questa esperienza mi aspetto che la comunicazione permetta ai giovani di aggiustare ciò che non va, una volta che riescano ad avere dei "ruoli importanti" che permetta loro di farlo.

CLAUDIO
Ciò che mi ha spinto a entrare qui dentro è stata la curiosità di conoscere delle persone, persone a cui dare un nome e un cognome, un'identità.

MARGHERITA
Non sono consapevole delle potenzialità che tutto ciò può avere. Io mi sono fatta inizialmente trascinare dal gruppo. Non so dove possiamo arrivare, ma in tutto ciò metto i miei pensieri e le mie opinioni.

TIZIANA
Io voglio dire che qui ho trovato degli amici, che le parole che ha detto Sisto a mia madre sono state belle e che hanno fatto sì che fra me e mia madre ci sia stato uno scambio che mancava da tempo. Voglio anche dire che che il male è più fuori che dentro, che dentro c'è il male dichiarato e che fuori c'è il male che si nasconde dietro una facciata.

EMILIA
…. Lavorare per sé, divertendosi e facendo qualcosa per la propria anima…

PAOLO
Sono entrato nel gruppo perché desidero superare le mie paure, per aprirmi, dato che da quando sono stato arrestato mi sono chiuso in me stesso. Voglio cercare di capire perché ho fatto ciò che ho fatto. Prima non avevo voglia di far nulla, non avevo voglia di lavorare; ora che non faccio nulla, tutto il carcere mi sembra così inutile.

COSIMO
Sono contento di far parte di un gruppo che si propone un progetto culturale come questo. E' importante individuare quegli aspetti della società che ci allontanano da ciò che vorremmo essere (arroganza del potere, modelli irraggiungibili cui aderire). E' anche importante però guardare dentro di noi e chiederci quali siano le parti di noi stessi che ci tolgono spazio e quali invece quelle che vorrebbero emergere e che possiamo imparare a valorizzare.

RICCARDO
Non pensavo di finire in carcere; in fondo avevo tutto. La fase iniziale dell'arresto è stato per me molto difficile. Partendo dal presupposto che tutti vogliamo raggiungere la felicità, sto cercando di raggiungere un equilibrio mentale che mi permetta di essere più razionale nel giudizio, così da potermi sentire "al di fuori" di questo spiacevole momento negativo. Spero di poter dare un contributo a questo gruppo attraverso la mia esperienza.

SILVIA
Io ho delle aspettative onnipotenti: il mio sogno è quello di cambiare il mondo!! Ciò che stiamo vivendo mi dice che bisogna credere nei propri sogni e portarli avanti come sto/stiamo facendo ora.

VALDIMAR
Non è vero che il carcere non serve come esperienza; a me è servito molto, soprattutto per capire qual è il senso della vera vita.

VITO
Ciò che stiamo vivendo è bellissimo. Non riesco a prevedere cosa accadrà; certo è che il carcere non serve a niente. Bisogna fare qualcosa che sia utile.

APARO
La sfida da portare al convegno di ottobre è la sfida che i nostri due gruppi hanno cominciato a fare tempo fa e che oggi è arrivata fin qui. Sono contento che questo lavoro si prefigga di intrecciare l'arricchimento e l'evoluzione personale con una prospettiva quale l'obiettivo della risocializzazione.
L'idea di venire in carcere per "alleggerire le pene dei detenuti" è secondo me un'idea che non va molto lontano. La trasformazione non si dà se non quando la persona che trasforma la realtà non si lasci, a sua volta, trasformare dalla realtà stessa. Solo mettendosi in gioco si attua una trasformazione che agisce sia sulla realtà esterna che su quella interna.