Facciamo due chiacchiere?

 

Livia Nascimben

Volevo aggiungere due cosette sull'incontro di sabato scorso; riguardano due interventi, uno di Guido e uno di Margherita, che mi hanno colpito per motivi diversi.

Guido ha detto che secondo lui è importante "mettere l'accento sul fare che non solo sul dire", che sarebbe "più utile fare qualcosa insieme, qualche attività e non solo chiacchiere".

Secondo me noi stiamo facendo di tutto fuorché "chiacchierare"!
Ho in mano il vocabolario: chiacchierare: conversare su argomenti di poca importanza; parlare a vuoto o quando si dovrebbe tacere; fare della maldicenza. Tutto ciò penso si faccia prevalentemente al mercato o in un corridoio. E allora mi chiedo cosa intendesse Guido con quelle parole e come lui viva questa esperienza.

Troverei comprensibili le sue parole se ci ritrovassimo insieme per lamentarci e criticare la società, piuttosto che il sistema carcerario, se fossimo riuniti per compiangerci e compatirci a vicenda, ma ciò è lontano dal nostro modo di porci.

A me sembra che essere insieme per scambiarci esperienze e punti di vista diversi, mettersi in gioco, condividere le nostre riflessioni e quello che andiamo acquisendo, metterlo per iscritto e pubblicarlo sul sito per scambiarlo anche con persone che non fanno parte dei due gruppi, produrre tesine su un tema comune, organizzare e fare convegni in carcere, fare interviste, "andare per miti", cercare un dialogo con le due Istituzioni che rappresentano le parti in gioco, il carcere e l'università… tutto questo credo sia fare e non dire; secondo me, tutto questo significa che ognuno ha la possibilità di coltivare uno spazio comune che è anche uno spazio personale. E non dico ciò per amore di retorica, ma semplicemente perché prendo atto dei benefici che ho ricavato dall'intensa comunicazione di questi otto mesi.

Per me incontrarci e poter parlare significa fare insieme, mentre agisco su me stessa. Ritagliarmi del tempo per confrontarmi col gruppo su quanto andiamo elaborando non mi sembra "chiacchierare". Per questo chiedo cosa significhi per Guido che dovremmo porre l'accento più sul fare che non sul dire.

Un'altra considerazione è legata all'intervento di Margherita, che mi ha colpita quando diceva di essersi inizialmente lasciata trascinare "senza sapere esattamente quale apporto potesse dare".

Secondo me dare il proprio apporto significa alimentare una fucina dove confluiscono e vengono lavorate impressioni e riflessioni sui dati e sull'esperienza che andiamo acquisendo.

Nel proporsi agli altri ognuno sceglie la modalità che gli è più congeniale; apparentemente, i contributi maggiori provengono dalle persone i cui nomi appaiono più spesso sul sito; in realtà, penso ci siano voci - e una di queste è senza dubbio quella di Margherita - che compaiono meno sul sito, ma che contribuiscono massicciamente a dare compattezza e identità al gruppo. Non mi sembrerebbe strano se fra i detenuti ci fosse qualcosa di simile.

Un valore di questo gruppo penso stia anche nel fatto che ognuno è libero di dare il proprio contributo nella misura in cui crede questo giovi a se stesso e agli altri; in questo modo, di volta in volta, si percepisce più forte la presenza di una persona piuttosto che di un'altra e ciò è utile in quanto stimola gli altri a darsi e a mettersi in gioco, in un avvicendamento che permette al gruppo di diventare sempre più unito e ai singoli di avere una piacevole sensazione di libertà.

In tutto questo mi chiedo cosa ne pensino i detenuti e come abbiano vissuto l'esperienza di sabato. La loro voce manca.