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Segni particolari: muri

Dopo l'incontro al penale di Giovedì 16-04-2003

 

Antonella Cuppari

Faccio fatica a rapportarmi coi disabili, ad aiutarli; ho provato a fare volontariato nella mia vita, ma si trattava di aiutare bambini senza genitori.” (Ivano)

Vedo comunque che si pone una domanda. Non sempre ci si riesce.” (Aparo)

Secondo me è una questione di pregiudizio.” (Dino)

Alcune scene del film “Piovono mucche” mi davano fastidio per la loro crudezza e non riuscivo a sopportarle.” (Diego)

Secondo me il vissuto di un disabile è diverso a seconda che egli sia nato oppure no in quel modo.” (Marcello)

Giovedì al penale ci siamo tutti trovati a fare i conti con i nostri muri, tra i quali quelli che ci impediscono di vedere la disabilità senza metterci sulla difensiva. Ivano crede, così, di non essere in grado di aiutare questo tipo di persone, Diego non riesce a sopportare alcune scene ed io stessa mi sento paralizzata di fronte ad immagini sull’argomento dure e reali.

Chissà cosa ci porta ad aver paura e a provare fastidio; chissà cosa c’è al di là di quel muro, che a molte persone non piace. Dino parla di pregiudizi mentre io li chiamo muri, ma credo che parliamo entrambi di quell’atteggiamento che non permette di cogliere quello che di positivo una realtà può presentare.

Perché la disabilità produce queste sensazioni? Non lo so, eppure nella vita ci sono state tante occasioni in cui mi sono sentita dis-abile, cioè incapace di fare qualcosa, di raggiungere un obiettivo che mi ero posta. In queste situazioni mi sono sentita a terra, paralizzata, arrabbiata. Così, quando provo un nuovo esercizio di danza e non ci riesco, mi arrabbio, perché il mio corpo non è stato in grado di seguire i miei ideali; ma gli ideali, appunto, volano in alto e le mete che ci poniamo spesso non tengono conto del fatto che la strada da percorrere è piena di ostacoli che richiedono tempo per essere superati.

Quando si ha davanti un muro ci si può sentire sicuri e protetti o oppressi e schiacciati. Non sempre, però, abbattere i muri rappresenta la soluzione migliore o la più semplice; il rischio è quello di fracassarsi la testa contro di essi. A volte è necessario ammorbidire questi limiti, e trasformarli in risorse; un muro, da un lato può impedire di vedere cosa c’è al di là, ma se ci si arrampica, lo stesso può permettere di vedere ancora più in là.

Spesso teniamo lontane delle realtà perché in esse noi vediamo nostri limiti e parti di noi che non riusciamo a riconoscere, ad accettare e ad integrare nella nostra persona.
Così si separa il bianco dal nero, il bello dal brutto, il buono dal cattivo, l’abile dal disabile, i pregi e i difetti.
Muri!

Tornando al film, io credo che esso metta in discussione i muri dei pregiudizi, non abbattendoli ma ammorbidendoli, sfidando la rigida separazione.
Non esiste una realtà totalmente positiva o una completamente negativa; in una situazione difficile e pesante come quella di una comunità di disabili non c’è solo la dis-abilità, solo il farsi la cacca addosso, solo il non riuscire ad orinare.
Nel film c’è, secondo me, anche quella che Bomprezzi chiama “super-abilità”, cioè la capacità di rapportarsi a questi limiti, attraverso atti creativi, quasi magici, in grado di far nascere i fiori dalla cacca. Limiti che da oppressori diventano risorse e piattaforme da cui spiccare il volo.

Il dialogo, la comunicazione e l’incontro con parti diverse della società e del nostro mondo interno, si giocano sui confini, su quei confini che un tempo paradossalmente ci impedivano di comunicare.
I muri ci sono perché servono a diversi scopi: possono proteggere, difendere, opprimere, rappresentare i nostri limiti o darci identità. Essi, secondo me, sono i “segni particolari” della carta di identità di ogni essere umano. Nella stessa carta d’identità una persona è di “professione” artista se è in grado di trasformare in bello e buono, in gioco, ciò che un tempo usava per separare.


Cos’è la libertà?

L’unica libertà è quella che ci permette di fare qualcosa con qualcuno, dipende dalla relazione con gli altri. La libertà, intesa solo come aspirazione individuale è una contraddizione.” (Aparo)

L’atteggiamento di Renato nei confronti di Matteo mi irritava perché sembrava non considerarlo. Lo schiacciava ed era arrogante.” (Livia)

Il limite fisico che schiaccia Renato lo induce a fare ricorso a difese che si attualizzano schiacciando gli altri. Renato si riconosce nel suo tiranno e tiranneggia a sua volta, abusando del suo potere. Potere che, però, gli è dato dalla disponibilità degli altri. L’abuso di potere è diverso dalla libertà.

Il tiranno di Renato non esercita potere solo su Matteo ma anche sulle altre parti dello stesso Renato. Opprimendo gli altri il tiranno opprime, infatti, anche quelle parti di sé che accetterebbero la dipendenza.

Quando Renato riconosce la propria dipendenza nella scena finale del film, compie l’ultimo atto di libertà, l’ultimo superamento di quel limite che portava Renato a tiranneggiare.” (Aparo)

Io nel film non riesco a vedere atti di libertà, ma atti d’impotenza.” (Marcello)

Lei vede impotenza perché guarda Alex impotente di fronte alla sua disabilità. Ma se osserva, più che il peso della disabilità, la creatività degli interventi che si producono, allora potrà vedere atti di libertà.” (Aparo)


La libertà è un argomento che, credo, stia a cuore un po’ a tutti. La libertà può essere vista come l’obbiettivo di una sfida, come la meta illusoria di una persona che si suicida, come un ideale, come un diritto…

Eppure faccio fatica a pensare alla libertà; sembra qualcosa di così grande e difficile da cogliere.

Aparo dice che essa è un concetto contradditorio se formulato senza correlarlo alla relazione con gli altri. La prima definizione istintiva, quando si parla di libertà, è quella che fa riferimento al “poter fare ciò che si vuole”. Ma questa definizione, in realtà, si accartoccia su se stessa perché nel momento stesso in cui una persona fa una scelta e imbocca una strada, vincola le possibilità di scelta future.

Renato e Matteo, nel film, parlano di libertà: ma a che tipo di libertà si appellano? Renato cerca di dimostrare cosa lui può fare, cosa lui possiede e può controllare e il potere che ha sugli altri; Matteo ribatte dicendo che lui, Renato, non ha la libertà di muoversi e non potrebbe fare nulla se non ci fossero lui e gli altri obiettori che “liberamente” scelgono di assisterlo. Nel momento in cui però Renato provoca Matteo chiedendogli di andarsene, questo abbandona la stanza, ma rientra un attimo dopo. Come può essere letto questo suo gesto? Cosa l’ha spinto a tornare? Secondo il prof, Matteo torna così come farebbe una madre con il suo bambino che l’ha fatta arrabbiare. Matteo, insomma, accetta di entrare in sintonia con la dipendenza di Renato; Matteo non abusa della facoltà di abbandonarlo e non lo lascia vittima della sua arroganza.

Tornando alla libertà, se la si considera solo in termini di ciò che si può fare, allora essa è una meta irraggiungibile!
Solo per il fatto di essere uomini, infatti, abbiamo dei limiti e non possiamo fare ed avere tutto. Non è solo la realtà oggettiva a rendere una persona più libera di un’altra.
Un detenuto non viene considerato libero perché è recluso, ma ciò non toglie che al mondo ci sono persone che nonostante non siano in galera, si sentono meno libere di lui. Chi decide di suicidarsi vuole liberarsi di un peso ed è convinto di poterlo fare; chi si toglie la vita si sente schiavo di se stesso, della situazione e di tutto ciò che lo circonda. Col suo gesto cerca di liberarsi dal tiranno che lo opprime ma, nel momento stesso in cui lo fa, la libertà scompare insieme a lui.

Se la libertà viene intesa solo come il “poter fare ciò che si vuole”, allora ha ragione Marcello che vede il film come un documentario sulla impotenza. Ma non solo il film, purtroppo! Se la libertà viene intesa in questo modo, saremmo tutti schiavi e infelici perché condannati a convivere con i nostri limiti che non fanno altro che tenerci in gabbia come animali in uno zoo.

Come intendere allora la libertà?

Aparo dice che la libertà può esistere solo se viene rapportata alle altre persone. Io sono libera se nella mia mente si è creato lo spazio per l’altro; altro che non viene vissuto come “parassita” e come invasore bensì come risorsa, come strumento e come possibilità di allargare i miei limiti e i miei orizzonti.

Nessuno può esistere senza gli altri e nessuno può fare ciò che vuole. Libertà è accettare di “dipendere” dagli altri, in quanto siamo persone che fanno parte di una società. Libertà è sapere accettare i propri limiti, le situazioni che a volte ci sembrano difficili perché ci impediscono di raggiungere ciò a cui ambiamo.
Un atto di libertà è quello che permette di trasformare i limiti in risorse, è il miracolo della vita, è quello che fa nascere i fiori dalla cacca. E’ libero l’artista che sa fare della propria sofferenza un’opera d’arte, è libera la bambina che gioca a fare la principessa pur sapendo di non esserlo, è libero il detenuto che sa trasformare le sbarre che lo recludono in muri che comunicano.

Ognuno ha dei muri, ha dei limiti, ha un tiranno che lo fa sentire “non libero”. Non è possibile distruggere il tiranno e non è possibile abbattere i muri; così facendo, ci comporteremmo come il suicida che uccide il tiranno non sapendo che, in questo modo, uccide anche se stesso.