Atti di libertà

Cosimo Colbertaldo

Può esistere, in una condizione di non libertà, una qualche forma di libertà, che si sviluppi e si concretizzi attraverso la creazione, la comunicazione, la condivisione di un lavoro, di un prodotto comune?

La persona detenuta resta fisicamente reclusa.
E' possibile che, dialogando e scrivendo con persone della società civile, di cui è costituzionalmente parte, costruisca per sé e per gli altri uno spazio di libertà interiore ed esteriore?

Io mi aspetto che gli scouts, i detenuti e gli studenti, incontrandosi, possano contribuire a rendere questa domanda un'affermazione.
In fondo il gruppo della trasgressione lavora per questo.

Dato che il carcere esiste, il vero problema da porsi è quale carcere sia possibile.
I detenuti possono essere una risorsa per la società.
Le persone che hanno attuato un comportamento deviante e antisociale non devono essere esclusivamente punite, ma principalmente reinserite costruttivamente nella società, com'è stabilito e previsto dalla legge.

Il gruppo della trasgressione si prefigge di contribuire a che il detenuto si esprima e faccia esperienza di ciò che nella sua vita potrebbe essergli mancato: scambio e confronto personale, culturale, sociale, politico.

Cerchiamo di riflettere sul rapporto con noi stessi e con i nostri vicini, giovandoci degli strumenti che la nostra cultura ci mette a disposizione e perseguendo una evoluzione del nostro rapporto con la società.

Ma cercare la propria evoluzione nel rapporto e nella collaborazione con gli altri non costituisce già di per sé un atto di libertà?

Vorrei concludere con una citazione:

Come osservazione finale vorrei dire anche che se oggi è impossibile a chiunque di sentirsi innocente, se in qualsiasi cosa che uno fa o dice possiamo scoprire una motivazione segreta, quella dell'uomo bianco, o del maschio, o del fruitore d'una certa rendita, o dell'appartenente a un dato sistema economico, o di chi soffre d'un certo complesso nevrotico, questo non dovrebbe portare a un senso di colpa universale né a un universale atteggiamento d'accusa.

Quando ci rendiamo conto della nostra malattia e delle nostre motivazioni segrete, abbiamo già cominciato a metterle in crisi.
Ciò che conta è il modo in cui accettiamo le nostre motivazioni e viviamo la loro crisi. E questa è l'unica possibilità che abbiamo per diventare diversi da come siamo, cioè l'unico modo di metterci ad inventare un nuovo modo di essere.

Italo Calvino, "Usi politici giusti e sbagliati della letteratura" (1976) in "Una pietra sopra"