IL RITORNO DEL FIGLIOL PRODIGO

velleità, distruzione, ricostruzione

Silvia Casanova

05-06-2004

Altri occhi sulla giornata

Il convegno si apre con lo scritto di Umberto “l’Orologio a pendolo”.
Viene corredato e approfondito da un testo di Aparo, “Il tempo della domanda”.
Entriamo nel vivo del tema della giornata con la lettura del pezzo di Marcello “il Figliol Prodigo”.

La prof.ssa Tirelli fa una lettura dell’opera di Rembrandt sulla quale abbiamo basato i nostri lavori, collocandola nella storia e descrivendone la struttura.
Vengono letti altri documenti del gruppo.

Luca avvertendo il silenzio della platea propone una domanda: “cosa ci si aspetta dal carcere? Quale funzione deve avere? Se riteniamo che non serva a granché perché lo teniamo in vita?

La professoressa Alfieri invita gli studenti al dialogo, soprattutto coloro che durante i dibattiti in classe si erano opposti alla questione del perdono.

Viene letto lo scritto di Ivano Longo “Chicchi di grandine”, scritto che “permette di accedere ad una delle verità dell’animo umano arrabbiato e che proietta sul quadro i sentimenti di un uomo trionfante e vincitore sulla debolezza dei figli”.

Rossella legge il suo “Monologo del padre”.

Giunge una domanda da parte del pubblico: si vuole conoscere l’esperienza dei detenuti in relazione ai fatti commessi e gli stati d’animo legati ai momenti di cambiamento dall’evento ad oggi.

Aparo segnala che l’obiettivo della giornata è promuovere una riflessione collettiva sul rapporto genitori e figli e sul quadro, anche se …

Ricostruire come la storia personale incida sulle scelte che si compiono è un lavoro che facciamo continuamente con il contributo attivo dei membri non detenuti del gruppo.

In queste giornate di contatto fra detenuti e mondo esterno, si tende a pensare che il nostro gruppo voglia chiedere al cittadino di perdonare chi ha commesso reati. Non è questo il nostro obiettivo!

Quello che cerchiamo di fare è entrare nei vicoli storici che hanno fatto sì che alcune scelte distruttive siano diventate più facili e probabili da seguire rispetto ad altre. In questo modo si garantisce alla società un dialogo aperto con le persone che hanno una reale esperienza dei comportamenti e dei sentimenti devianti.”

 

Vicolo, Alessio Ferraro

 

Poi racconta del suo stato d’animo di fronte ad alcune multe prese a distanza ravvicinata: "Il senso di impotenza di fronte a una punizione che sembra arbitraria può attivare delle fantasie distruttive; se questo avviene a 50 anni, se si ha una funzione sociale riconosciuta, la frustrazione può essere arginata in qualche modo; ma se a subire ripetutamente abusi e ingiustizie è un bambino, questi finirà per vivere stabilmente la sensazione dell’abbandono, dell’impotenza, della rabbia."

La disperazione parte da lontano, è legata al senso di smarrimento e di abbandono. Molto probabilmente prendono avvio da qui le fantasie distruttive che, non trovando possibilità di elaborazione, portano gradualmente al desiderio di farsi giustizia con la forza.

Le prime domande che da bambini rivolgiamo ai genitori possono trovare delle risposte che ci confortano e ci danno fiducia che il nostro ingresso nel mondo possa portare piacere e gioco; altre volte le risposte non rassicurano sul fatto che il mondo abbia bisogno di noi. Quando le domande rimangono deluse, può accadere che esse a poco a poco si dimettano e si faccia largo, allora, la rabbia e il desiderio di farsi giustizia da sé e a qualunque costo.

Cosimo racconta di un pomeriggio trascorso con Umberto. Guardando la neve, dopo diverso tempo che non aveva più l’occasione di toccarla, Umberto comunica a Cosimo la gioia di sentire che “la neve gli appartiene”.


Sergio Cusani
parla delle domande che le persone rifiutano di farsi.
Esiste un cestino interno dove noi buttiamo momentaneamente tutto quello che non riusciamo a tollerare, ma i file rimangono nell’hard disk anche se vengono buttati nel cestino. Mettere le mani nella “cartaccia” equivale a riprenderci qualcosa di nostro. Il carcere offre diverso tempo e costringe a riflettere; tutte le domande non poste o abortite e la rabbia a esse legata riemergono. Pensiamo alle scritte sui muri: sono visibili a tutti, il muro è un luogo di riconoscimento e chi scrive non pensa al danno che fa perché non sente che il mondo è anche suo. Scrive perché ha comunque bisogno di essere riconosciuto, visto, cercato. Come le domande. Il carcere, la malattia, la vecchiaia spingono verso la superficie queste domande.”

 

Aparo
Studiare insieme con chi commette reati fa evolvere il rapporto fra società e devianza più di quanto possano lo studio del reo e la pena che il condannato sconta in carcere. Ci si può evolvere più facilmente se si lavora insieme; è più difficile che l’evoluzione avvenga se si sente che un insegnante o un operatore sociale impone dall’alto come si debba guardare il mondo. Di questo la società deve tener conto per ottenere dalle persone l’evoluzione che la pena ha fra i suoi obiettivi.”

Non si nasce solo venendo alla luce; nascere è un processo che nella vita si può riproporre molte volte; in un gruppo di lavoro le persone possono contribuire a mantenere attivo questo processo accogliendo e valorizzando l’impegno degli altri.

Fabio prende la parola. Dice che sta tremando, un po’ per la paura, un po’ perché è la prima volta che esce dal carcere dopo otto anni. Racconta che è in carcere per aver ucciso in una rissa un ragazzo poco più grande di lui. La platea si zittisce, nella mia mente è sparita, c’è solo Fabio.

Continua: “Affronto questa esperienza di oggi con la voglia di essere parte di voi, senza dimenticare il mio passato. Porto con me quello che ho fatto e che mi ha tolto il sorriso. Immagino il giorno che sarò fuori, con un lavoro, una famiglia; ma ho tanti dubbi perché non so se la società mi accetterà. Il rimorso per aver danneggiato la società lo provo continuamente, è pesante, ti isola, ti emargina. Non so se quello che dico riesce a farvi capire il dolore che si prova nel sentire di non avere un posto nel mondo. Sono contento oggi di essere qui e di avere degli amici.

Mi ha colpita l’intensità del suo discorso e come, parlando a braccio, Fabio sia stato lucido e commovente al tempo stesso. Poi legge il suo scritto con la voce stentata; e mi colpisce adesso che, con le sue parole sotto gli occhi, tremi e lasci trasparire così tanto la sua emozione, la sua paura, la sua fragilità.

Uno studente prende la parola, vuole dare la sua lettura al quadro. Forse l’intervento di Fabio ha fatto sì che qualcuno riuscisse a prendere coraggio, che sentisse che il lavoro comune può servire davvero.

Dario, lo studente, vede nel padre una figura che ha accettato le decisioni del figlio, un figlio che lascia la famiglia perché non riesce a tollerare le regole imposte. Dice: “Lo sbaglio può essere uno dei motori della crescita; non tutti i genitori accolgono le domande e i desideri dei figli, non per precludere delle vie, ma perché scorgono pericoli che mettono così tanta paura da paralizzare la comunicazione. Andarsene come tornare non è una decisione facile da prendere.”

Cusani
Dario ha detto che un figlio se n’è andato perché non riconosceva le regole poste dai genitori. Entrambi i personaggi vivono il dramma perché sono in qualche modo corresponsabili, sia quando si lasciano che quando si rincontrano.

Sono andato via da casa quando avevo 17 anni cercando delle figure referenziali potenti o grandi, che all’epoca erano per me gli industriali. Mi sono riavvicinato a mio padre quando l’ho visto debole, negli ultimi due anni della sua vita; ne avevamo bisogno entrambi; io per poter continuare con maggiore serenità a cercare la mia strada e a individuare le persone con cui percorrerla."

Conclude la prof.ssa Alfieri con il ringraziamento a tutti i presenti.

 

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