Il ritorno non basta

Cosimo Colbertaldo

31-03-2004  

Questo quadro mi parla della separazione.

Io ho vissuto la separazione dei miei genitori, quando ero piccolo, come un evento importante, significativo e molto doloroso. C’è stato un abbandono, al quale i miei hanno cercato di porre riparo, ma io l’ho vissuto con un forte senso di colpa. Una ferita che ha creato una distanza da colmare, un vuoto da riempire, con la consapevolezza che, dopo avere conquistato autonomia e indipendenza, il ricongiungimento potrà essere solo l’inizio di un nuovo percorso.

Sono influenzato, nella lettura del quadro, dal fatto che l’altro giorno ho seguito una lezione in università su un quadro che ha lo stesso soggetto, “Il figliol prodigo”, di un altro pittore, Hieronimus Bosch.

Nella tela di Rembrandt è rappresentato il momento del ritorno a casa del figlio, con il padre che lo accoglie e le altre figure che osservano. Il particolare ho notato che la figura del figlio è senza volto. E’ in ginocchio, completamente abbandonato, ha gli occhi chiusi, ha già scelto.

Il quadro di Bosch rappresenta invece il figliol prodigo mentre è ancora incerto sul percorso da compiere. Il quadro è suddiviso verticalmente in due metà, una a sinistra, con dipinto un postribolo, dove sta la rovina, la decadenza, il peccato, lo sperpero dei beni, il male, come simbolicamente rappresentato nella tradizione, e una a destra, dove c’è la città e il bestiame, che rappresenta appunto la salvezza.

 

Il figlio è rappresentato come su una soglia, su un confine: è un uomo in crisi, che cammina verso destra, ma sta ancora guardando a sinistra, indietro; sta cercando di adottare un nuovo comportamento dopo avere lasciato quello che ha attuato per anni. E’ il momento in cui vive il travaglio e la responsabilità della scelta.
(vd. Saggio di M. Valenti)

Il quadro di Rembrandt rappresenta invece il momento del ritorno: il figlio non guarda più, ha già scelto. C’è il colore rosso a legare il padre alla figura in alto: le due figure fanno pensare all’agio e alla ricchezza, laddove il figlio appare completamente senza più averi.

 

Per questo forse viene malvisto; le altre figure non vogliono guardare, sembra che debbano tollerare la scena, la rinnovata unione fra il figlio e il padre, ma non possono vedere nel figlio un uomo, un essere umano.

Mi viene da pensare che il ricongiungimento con il padre sia soltanto un inizio; il figlio ha fatto la sua strada nel dolore e nella povertà e torna, misero, alla casa paterna. Ma ancora non ha volto: ha bisogno del riconoscimento delle altre figure, degli altri esseri umani, per acquistare una vera identità e fisionomia.