Chi sono i belli?

Cosimo Colbertaldo

30-01-2004  

“Perché alcuni ce la fanno e altri no? Perché alcuni seguono una strada "pericolosa" e altri no? Perché alcuni sopravvivono a tanto dolore e altri soccombono? Perché alcuni distruggono e altri costruiscono? Basta una mamma sufficiente buona, un padre che t’insegna il senso del limite e un ambiente capace di accoglierti per come sei, perché tu riesca a diventare una persona felice e per bene? “
da Qual è il tuo posto? Di Livia Nascimben

Non trovando una risposta, ho pensato a questa poesia di un autore che mi è rimasto impresso nella memoria fin dai tempi dell’adolescenza. Non significa che io condivida il punto di vista sulla questione trattata o la visione del mondo da cui deriva. Certo ritengo interessante la tematica e molto belle le parole con le quali essa è espressa.

Che te ne fai di un titolo?

Non ce la fanno
I belli muoiono tra le fiamme;
sonniferi, veleni per topi, corda,
qualunque cosa….

Si strappano le braccia,
si buttano dalla finestra,
si cavano gli occhi dalle orbite,
respingono l’amore,
respingono l’odio
respingono, respingono.

Non ce la fanno
I belli non resistono,
sono le farfalle
sono le colombe
sono i passeri,
non ce la fanno.

Una lunga fiammata
Mentre i vecchi giocano a dama nel parco
Una fiammata, una bella fiammata
Mentre i vecchi giocano a dama nel parco
Al sole

I belli si trovano nell’angolo di una stanza
Accartocciati tra ragni e siringhe, nel silenzio,
e non sapremo mai perché se ne sono andati,
erano tanto
belli

non ce la fanno,
i belli muoiono giovani
e lasciano i brutti alla loro brutta vita.

Amabili e vivaci: vita e suicidio e morte
Mentre i vecchi giocano a dama sotto il sole
Nel parco.

C. Bukowski


Chi sono i belli? Forse coloro che restano nella condizione di eterno fanciullo, di “puer aeternus “? (J. Hillman). Sono coloro che non riescono a scendere a compromessi, a trovare la forza di risolvere i conflitti interiori, tanto meno quelli che si annodano ai conflitti e alle contraddizioni della realtà sociale?

Forse sono quelli che vedono nella sofferenza, non un materiale da modellare, non gli effetti di un lavoro e di una fatica orientati sulla realtà e verso la propria realizzazione, ma una condizione immutabile e lacerante, che rende impossibile cogliere della vita altro senso che non sia quello della sua cessazione.