Nuvole

Fabio Licciardi

17-02-2004  

Sabato 07 febbraio, per la prima volta ho partecipato al gruppo della Trasgressione. Era una riunione un po’ particolare poiché quel giorno il gruppo aveva partecipato ad un convegno, e solo alcuni detenuti avevano avuto l’autorizzazione ad andarci.

Era molto tempo che seguivo il gruppo di nascosto, sentendo il bisogno di farne parte, ma nello stesso tempo mi dicevo che non era una situazione adatta per me, vista la mia ignoranza e la mia difficoltà a scrivere.

Un giorno mi sono fermato per assistere all’incontro con i ragazzi della scuola di Carate e devo dire che, pur partito solo per curiosare, sono rimasto affascinato dal coinvolgimento che avvertivo fra le persone, tanto da non accorgermi del tempo che passava. Ho notato che tutti i partecipanti erano gratificati e sentivano compensati gli sforzi che il lavoro aveva richiesto. Ho visto in quella situazione persone commosse per la felicità di quello cui stavano partecipando.

Sabato pensavo al gruppo che si trovava al convegno; non pensavo molto a cosa sarebbe potuto accadere durante l'incontro, fuori, ma mi chiedevo se nel pomeriggio il gruppo si sarebbe riunito. Avevo voglia di provare nuovamente quell’emozione vissuta durante l’incontro con gli studenti di Carate.

Alle 15 il gruppo iniziò regolarmente, ma mi accorsi subito che l’aria non era quella che mi aspettavo. Ho provato imbarazzo nel trovarmi lì, col gruppo dove ero appena arrivato, in quel momento cosi difficile di comunicazione, ma desideravo capire come mai si era creata quella situazione. Mi chiedevo insistentemente cosa non andava.

Pensai che il problema fosse che solo alcuni avevano potuto partecipare al convegno, e che gli altri ne provavano invidia. Poi mi ritornò in mente il precedente convegno, e capii che in quel momento eravate tutti uniti, cosi che le vostre sensazioni s’intrecciavano fra loro. Credo di capire perché quella situazione si è creata: per la prima volta non è stato possibile condividere quella esperienza tutti insieme.

Nella riunione di sabato, il problema si è incentrato su come mai chi non era uscito in permesso non riusciva ad entusiasmarsi per l’ottimo risultato ottenuto con la partecipazione del gruppo al convegno e come mai chi c’era stato non riusciva a comunicare le emozioni provate.

Pur non provando alcun tipo d’invidia verso coloro che erano andati al convegno (non potevo, sono l’ultimo arrivato), neanche io riuscivo a ben intendere quali fossero state le emozioni di coloro che c'erano stati.

Penso, però, che sia normale provare un poco d’invidia quando non si può partecipare ad una manifestazione per la quale si è molto lavorato. Inoltre, devo dire che è comprensibile il motivo per il quale i partecipanti al convegno si siano limitati solo a raccontare i fatti accaduti, senza trasmettere grosse emozioni: la tristezza di chi li aspettava in carcere, ma sopratutto la delicatezza di non mettere in disagio gli amici del gruppo.

In questo momento provo una profonda invidia per voi, non per i permessi che alcuni miei compagni hanno avuto, ma per quello che siete. Vedo in voi una profonda amicizia per il quale ognuno di voi ha il merito di aver fatto crescere il vostro sogno comune.

Nell’incontro di sabato, Dino è riuscito a mettermi paura quando con ha detto: ”è pericoloso parlare di permessi, perché cosi facendo si può distruggere il gruppo”. Ho temuto di perdere la possibilità di iniziare il lavoro con voi. Penso che quest’esperienza del gruppo sia importantissima per i suoi obiettivi. Oggi contento di aver scelto di venire e voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno fatto superare la mia resistenza.