Prima giornata

Relatrice:
dott.ssa Marina Gasparini

Elaborazione:
Antonella Cuppari

Questo percorso di formazione ha come finalità lo studio dei codici affettivi nelle relazioni gruppali, facendo in modo, però, che esso diventi un laboratorio di approfondimento e di interrogazione. Le riflessioni che ne usciranno potranno diventare oggetto di un convegno aperto ad un pubblico più ampio.

Le relazioni gruppali e l'assunzione di sostanze stupefacenti sono scenari poco esplorati e con poche certificazioni cliniche; i codici affettivi costituiscono una lente teoricamente precisa attraverso cui guardare questi fenomeni.
E' importante ricordare che bisogna continuare a studiare, a confrontarsi e a creare progetti come questo laboratorio di ricerca.
In letteratura, i contributi a cui riferirsi ci sono; la difficoltà nel campo della "non ortodossia esplicita" è quella di rileggere i contributi scientifici per declinare in maniera saggia e consapevole la specificità del setting. Ogni volta è necessario "reinventarsi" gli strumenti: questo non vuol dire improvvisare ma adoperarsi per acquisire una strumentazione teorica e metodologica che permetta, consapevoli dei rischi che si corrono, delle variazioni utili all'interno delle varie situazioni.


I minori antisociali e con procedimenti penali rappresentano una casistica poco trattata dai manuali ortodossi; per rapportarsi ad essa può essere utile far riferimento sia ai "sacri testi" (Freud, Winnicott…) che all'approccio estetico riferito all'arte in quanto ci offre un surplus di quella simbolizzazione di cui l'antisociale è carente.

Il capolavoro artistico può essere visto come un testo onirico, la cui decodifica dalla scena manifesta a quella latente, consente di vedere come l'artista operi la trasformazione psichica delle motivazioni sottese all'ispirazione in un "messaggio per sempre" e quindi in un processo creativo.

L'approccio al testo artistico non è quello che mira a "spiegarne" i contenuti, ma è quello che cerca di imparare e capire il problema che l'artista assume, ed i motivi che lo hanno portato a focalizzare certe tematiche e a trasformarle in qualcosa di diverso e creativo. Ci si riferisce all'artista perché si tratta di un personaggio dotato di qualità particolari, che sa immergersi nel "magma del non ancora pensato" e che, attraverso una trasformazione creativa riemerge con un messaggio che accomuna l'interlocutore. Il testo artistico sa rispondere ad una domanda individualizzata perché si propone come un recettore proiettivo e al tempo stesso restitutivo di una risposta individualizzata.

Un esempio emblematico è Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, artista del tardo Rinascimento che uccide un compagno di gioco e che, a seguito di questo tragico evento, è costretto a fuggire dalla sentenza capitale pronunciata contro di lui. L'artista vive una situazione psichica particolare che richiede l'elaborazione del misfatto. Egli si trova davanti al problema di comunicare il suo psichismo in relazione al reato e alla necessità quindi di mettere in atto capacità elaborative che possano riparare il suo mondo interiore e gli consentano di sopravvivere all'interno di una creatività salvifica.

CARAVAGGIO Decollazione del Battista - 1608-
tela- 361 x 520 cm- La Valletta (Malta), Cattedrale di San Giovanni


Può essere utile e interessante riferirsi ad una sua opera particolare, la "Decollazione del Battista" perché in essa si ritrovano tematiche devastanti, evidenti anche negli adolescenti che commettono reati.

Nell'approccio a questo lavoro è interessante vedere come l'artista raccolga sollecitazioni provenienti dallo psichismo individuale e da uno psichismo gruppale.
Prima di tutto è da notare come l'opera sia di dimensioni immense, così come immensa è l'angoscia dell'artista. L'autore utilizza i vari personaggi come parti del sé:

Carceriere: colui che addita il contenitore dove deporre la testa del condannato. E' la proiezione dell'imperiosa certezza del "pensiero mancato" che impone l'esecuzione dell'azione.

Condannato: giace per terra e ormai sta per esalare l'ultimo respiro; nel rivolo di sangue che gli esce dal collo si legge la firma di Caravaggio (unico quadro firmato dall'artista). Questo mette in evidenza l'intensa immedesimazione dell'autore col condannato.

Boia: viene definito dai critici "l'unico boia triste della storia". La riluttanza è malcelata, la sua fronte è molto corrucciata come se eseguisse malvolentieri il compito e quasi volesse esprimere il desiderio di essere altrove. Nel boia Caravaggio proietta il contrasto dei sentimenti relativi al rigetto dell'azione violenta e all'obbedienza automatica alle parti distruttive della personalità.

Salomè: per lei la tragedia è lontana. Ella rappresenta l'assenza del pensiero, la mancanza di una condivisione minima della tragicità della scena, ma proprio per questo la tragedia diviene la sua.

Vecchia fantesca con le mani fra i capelli: rappresenta il personaggio centrale. Ha un'espressione di compresa tragicità, che indica la capacità di sentire il dolore per la violenza avvenuta, questo personaggio rappresenta la parte del sé dell'autore conscio della tragedia che è nell'impossibilità di fermare l'azione, ma è recettivo alle emozioni devastanti del dolore. Il sentire un'emozione rappresenta infatti il primo passaggio per poterla "pensare" e quindi trasformare in qualcosa di simbolizzato e comunicabile; ciò apre la strada ad una possibile risoluzione del problema.

L'autore ci comunica che, nonostante la tragedia devastatrice della violenza, è importante mantenere il legame emotivo con il divenire degli eventi, anche dove il paesaggio sembra completamente desertificato.

Questo è l'approccio necessario per poter affrontare la casistica particolare degli adolescenti che commettono reati o che fanno uso di sostanze stupefacenti.
L'approccio è, però, bidirezionale; si rende infatti necessario anche un lavoro sull'assetto mentale dell'operatore che, se per un controtransfert negativo fa fatica a recepire le emozioni devastanti dell'adolescente e la parte del sé del ragazzo potenzialmente recuperabile, perde gli unici strumenti che ha a disposizione per rapportarsi ad esso.
Se quindi è essenziale focalizzarsi sullo psichismo dell'adolescente, bisogna però contemporaneamente prendere in considerazione anche lo psichismo dell'operatore.

A questo livello può essere utile introdurre il concetto di campo:

Il campo è un sistema dinamico, cioè essenzialmente un sistema di forze. Le leggi di un campo non dipendono pertanto solo dalle caratteristiche singole degli elementi presenti nel campo, ma dalla configurazione e dal movimento (interno) del campo globalmente considerato. Gli eventi che si verificano in un campo dato, ad un momento dato, non hanno quindi altra spiegazione valida se non quella che deriva dalle proprietà del campo stesso, così come esso è, in quel momento in cui l'evento si verifica. […] L'enfasi non è sull'elemento in sé ma sulla relazione tra gli elementi.
Fondamenti teorici di psicologia sociale - Piero Amerio - Ed. Il Mulino - pag. 101

Il campo, nel nostro caso, non è solo la somma degli psichismi di chi è coinvolto in una relazione d'aiuto ma è un risultato completamente nuovo che deriva dall'interazione fra questi.
Ciò è però possibile solo se lo psichismo dell'operatore è recettivo alle proiezioni massive e continue che l'adolescente si trova a fare.
Per questo è necessario mettere da parte l'approccio diagnostico con intenti nosografici per concentrare invece l'attenzione sulla relazione che si viene a creare all'interno del campo, trasformando il setting in un'esperienza che di per sé è già terapeutica e trasformativa.

La funzione terapeutica può essere comune a tutte le relazioni d'aiuto se rimanda ad un operatore capace di recepire le proiezioni dell'interlocutore, decodificarle e, una volta rese pensabili, restituirle disintossicate.
Questo non è un compito semplice dal momento che le proiezioni massicce dell'adolescente in difficoltà hanno l'effetto di mobilitare immediatamente una risposta che, se non è pensata e decodificata, diventa facilmente un vero e proprio contro-agito dell'operatore.

Lo scopo della relazione d'aiuto deve essere quello di scoprire, insieme, le ragioni emotive per le quali il ragazzo è arrivato a sabotare le proprie capacità di crescita.
In questo processo di scoperta è importante il coinvolgimento della famiglia, perché in quest'opera di sabotaggio, spesso entra in gioco una sorta di "mito familiare", cioè un coacervo di fantasie circa l'ineluttabilità di vivere diversamente specifiche emozioni. Ogni famiglia ha il suo mito familiare che viene tramandato di generazione in generazione e che rimane compensato se non è eccessivamente disfunzionale; arriva però il momento in cui il reato del ragazzo scompensa la dinamica e impone all'ambiente di trovare una risposta evolutiva al problema.

L'adolescente è, nonostante tutto, portatore di una grossa vitalità e di una grossa voglia di crescere e il reato può essere ricondotto a quello che Novelletto chiama "Fantasie di recupero maturativo", fantasie onnipotenti di tipo maniacale, di negazione massiccia della propria inadeguatezza di fronte alla grandiosità del compito della crescita. Queste fantasie spingono l'adolescente a fare qualcosa sentito come grandioso e puntano a by-passare la passività regressiva, declinandola in una formazione reattiva.
Novelletto a questo proposito scrive:

[…]Mi è venuta l'idea che certi adolescenti possano essere indotti a compiere delitti dalla fantasia inconscia di interrompere, con quegli atti, in pochi istanti, un blocco maturativo che essi percepiscono oscuramente dentro di loro. In questa fantasia (o condensato di fantasie) che chiamerò provvisoriamente Fantasia di Recupero Maturativo (FRM) il soggetto, sulla base di un funzionamento mentale dominato dal pensiero magico-onnipotente e dalla grandiosità del Sé, con l'impiego di atti fortemente carichi di significato simbolico, immagina non soltanto di uscire dalla situazione di blocco, ma anche di colmare rapidamente il ritardo evolutivo del proprio sviluppo psicosessuale o delle istanze o dei meccanismi costitutivi e difensivi che quello sviluppo e quelle istanze contribuivano a tenere bloccati, così da poter raggiungere istantaneamente un ideale punto di arrivo.
"Psichiatria Psicoanalitica dell'adolescenza" - Arnaldo Novelletto - Ed. Borla - pag 206

L'adolescente, con un comportamento disfunzionale e che rischia di essere autosabotatore, mette in realtà in luce una parte autentica del sé. Egli dichiara in questo modo di non stare al gioco di un falso adattamento e sviluppa una dinamica estremamente vitale e di salvezza del sé, pur se dall'interno di un assetto di tipo narcisistico. E' evidente che il comportamento in questione è disfunzionale per quanto riguarda l'esame di realtà, ma proprio qui entra in gioco il ruolo dell'operatore che deve offrire all'adolescente un "apparato per pensare i pensieri" in attesa che il ragazzo se ne appropri e lo usi in maniera autonoma.

Questo è, sostanzialmente, quello che prevede il modello della mente proposto da Bion, che ruota attorno a due concetti importanti:

Relazione contenitore-contenuto: la madre funge da contenitore in quanto è in grado di accogliere le sensazioni del neonato e di farsi carico delle proiezioni dei bisogni del bambino, attribuendo ad esse un significato e il valore di pensiero. Questa funzione è possibile perché la madre è dotata di una particolare capacità definita da Bion "reverie". Si tratta di uno stato sognante della madre (che è in posizione privilegiata, avendo vissuto una situazione particolare quale quella della gravidanza) che le consente una regressione psichica parziale a livello dello psichismo neonatale del bambino. La reverie uno stato completamente aperto alla ricezione degli stati emotivi del bambino qualsiasi essi siano.
Gli stati psichici del neonato rappresentano invece il contenuto. A questo proposito può essere utile richiamare un passaggio di Bion:

Per la sua immaturità il neonato è ancora incapace di elaborare i dati sensoriali: può solo evacuarli nella madre conferendo a lei la possibilità di eseguire quelle operazioni necessarie a convertire i dati in una forma utilizzabile per essere impiegati dal neonato come elementi alfa. […]
Modelli genetico-evolutivi in psicoanalisi - A.Aparo, M.Vigorelli, M.Casonato - Ed. il Mulino - pag. 276

Il passaggio dall'ambiente pre-natale a quello post-natale, segnato dalla nascita, porta il bambino a vivere una serie di angosce neonatali definite da Bion e da Winnicott come angosce di cadere per sempre, di essere senza confini, di perdersi in un mondo esterno sconfinato. Egli ha bisogno attraverso modalità ancora sensoriali di recuperare la fusionalità perduta con la madre in una sorta di "festa del ritrovamento" (Fornari 1985) di qualcosa in questo mondo che è già stato conosciuto in un altro mondo (voce materna, ritmo cardiaco, respiratorio, nel contenimento seno-brachiale). Ciò fonderà, se confermata dall'intesa la "fiducia di base" come capacità appunto di avere fiducia e come fondamento quindi di ogni speranza.

Se la madre è in grado di recepire gli stati psichici del neonato e di restituirglieli gradatamente resi pensabili attraverso l'attribuzione di un significato, allora al bambino viene restituito un livello di angoscia disintossicato e mentalizzabile. La restituzione è però duplice perché il bambino riceve anche le qualità mentali del contenitore, cioè la capacità che l'oggetto di relazione ha di tollerare il dolore e di poterlo digerire mentalmente. Viceversa, se la madre non sopperisce a questa funzione, rimanda al bambino quello che Bion definisce "terrore senza nome" che potrà avere delle conseguenze devastanti sul suo processo di crescita:

Se la relazione seno-bambino permette al neonato di proiettare una sensazione, per esempio quella di stare per morire, dentro la madre, e di reintroiettarla dopo che il suo soggiorno nel seno l'ha resa assimilabile per la sua psiche, allora si avrà uno sviluppo normale. Se invece la madre non raccoglie dentro di sé la proiezione, l'impressione che il neonato avverte è che la sua sensazione di stare per morire è stata spogliata di senso: ciò che reintroietterà non sarà più una paura di morire resa tollerabile, ma un terrore senza nome.
Bion 1967; trad. it. 1979, pag 178

Da questo punto di vista c'è un'altissima correlazione tra primo processo di separazione-individuazione e secondo processo di separazione-individuazione adolescenziale che del primo riedita rischi e potenzialità.

Oscillazione dalla posizione persecutoria a quella depressiva

Il secondo concetto importante del modello della mente di Bion è la relazione dinamica tra posizione schizoparanoide e posizione depressiva che rimanda alla capacità del bambino di tollerare una certa soglia di frustrazione. Queste due posizioni rappresentano livelli psichici che vengono adottati dal bambino, ma che possono continuamente essere persi e raggiunti di nuovo durante l'intero ciclo di vita.

Posizione schizoparanoide: in questa situazione il bambino è come se dicesse: "Io muoio e non c'è nessuno che mi aiuta. L'altro non è un aiuto per me ma solo una fonte di pericolo. Ciò che mi resta da fare è attribuire a lui ogni mia negatività e difendermi, combattendo o fuggendo".

Posizione depressiva: l'altro non è soltanto fonte di proiezione della negatività o del bisogno irrisolto, ma è anche una risorsa preziosissima dal quale poter dipendere e accettare di dipendere. L'interlocutore diventa qualcosa da cui attingere per crescere con lui; rappresenta un lato diversificato e differenziato da sé che nello stesso tempo viene vissuto come una parte da salvaguardare.

Nei bambini ci sono una varietà di psichismi, di risorse psichiche e diversi gradi di tolleranza della frustrazione; ciò nonostante è importante interrogarsi sempre sulla storia relazionale madre-bambino, sullo psichismo materno e su come la madre ha vissuto il passaggio tra bambino fantasticato (durante la gravidanza) e bambino reale.
C'è una storia relazionale pregressa alla nascita ormai molto ben documentata e ciò è una dimostrazione dell'importanza dell'interlocutore ambientale. Ciò significa che un bambino con una soglia di tolleranza della frustrazione estremamente bassa ha, a maggior ragione, bisogno di una madre particolarmente sensibile nel captare gli stati psichici del bambino.

Se trasferiamo questo importante concetto in una relazione d'aiuto, laddove esiste metaforicamente un paesaggio molto desertificato, è necessario un assetto mentale dell'operatore estremamente sensibile e recettivo, disponibile a tollerare un livello di frustrazione molto diverso da quello che attualmente il ragazzo possiede.

L'approccio artistico consente all'operatore di raggiungere, prima dentro se stesso, un livello comunicativo fondato sulle emozioni e sulle sensazioni.
Per aspetto sensoriale s'intende la rimessa in scena di sinestesie, di quelle modalità sensoriali che si attivano in maniera sinergica e che permettono di sentire immaginativamente certe cose e di evocare situazioni, stati d'animo ed emozioni che sono tra il cognitivo e il sensoriale.
E' una condizione preliminare e necessaria al processo di simbolizzazione, processo comune a tutti gli uomini in cui "l'animarsi dell'eccitazione istintiva, il progressivo arricchimento percettivo, i continui progressi maturativi offriranno gli apporti necessari per […] lo psicologizzarsi intenzionale delle tensioni istintive"
Modelli genetico-evolutivi in psicoanalisi - A.Aparo, M.Casonato, M.Vigorelli - Ed. il Mulino - pag.281.

Per l'operatore è importante raggiungere quei nuclei sia sensoriali che cognitivi all'origine della comunicazione. A questo scopo può essere utile rifarsi al concetto di "lettura sintomale del testo" di Fornari, riferito non solo alla scena manifesta ma anche alla scena latente che sottende quella manifesta. Ciò corrisponde alla distinzione che viene fatta tra iconografia, come analisi del segno, e iconologia come il significato che al segno viene attribuito.

L'approccio artistico insegna e nello stesso tempo nutre. Il testo artistico, da un lato, mostra il modo con cui l'artista è riuscito ad affrontare il suo problema, trasformandolo in poesia e in una comunicazione per sempre, cognitiva e sensoriale allo stesso tempo; dall'altro lato, nutre chi lo osserva perché consente di riarmonizzare la propria "buona famiglia interna", come patrimonio affettivo da cui attingere per la produzione di nuove simbolizzazioni.

Con gli adolescenti, che abusano di sostanze stupefacenti e che commettono reati, bisogna andare oltre i sintomi e i segni manifesti cercando invece di capire, decodificare e al tempo stesso imparare quello che il soggetto vuole comunicare con quel segno, che avrà un significato diverso da situazione a situazione e che verrà visto diversamente da interlocutore a interlocutore.

Collegato a questo tema c'è uno straordinario quadro di Magritte, nel quale sotto l'immagine di una pipa si legge una dichiarazione sfrontatamente contraddittoria: "questa non è una pipa". La sensazione di spaesamento che Magritte vuole deliberatamente trasmettere richiama lo stato d'animo che si vive normalmente nella conduzione di gruppi di ragazzi, con i quali l'operatore sente un doloroso contrasto tra quello che si aspetterebbe sulla base dei segnali veicolati dai processi di simbolizzazione e quello che realmente accade.

Quando si parla di una relazione d'aiuto con adolescenti che abusano di sostanze stupefacenti o che commettono reati, è importante considerare le variazioni di setting in base al mandato terapeutico che all'operatore viene dato, perché è normale che agire in un ambito "coatto" è diverso rispetto a quando la presentazione del ragazzo è spontanea.

Nel caso di una scelta maturata dal ragazzo ci si trova già in un universo simbolizzato, nevrotico; qui il livello di consapevolezza indica un funzionamento della mente che lascia prevedere una possibile relazione d'aiuto.
Quando invece la relazione è coatta, la comunicazione risulta spesso centrata sull'uso della motricità e della manipolazione corporea (quindi in un universo presimbolico), al terapeuta (o a chi si trova ad interagire con questo ragazzo) si pone il problema di organizzare una risposta adeguata al fine di evitare una contro-reazione.

Una domanda importante che l'operatore deve farsi in questa situazione è: "come faccio a raggiungerti rispondendoti se tu non me lo chiedi?". Se egli non risponde a questo quesito rischia di esercitare una forte violenza intrusiva, diventando egli stesso incarcerante per il ragazzo.

A questo proposito può essere utile fare riferimento a Donald W. Winnicott . Egli è stato il primo a vedere il reato come un SOS, una richiesta di aiuto che il ragazzo invia all'ambiente relazionale per saturare bisogni di deprivazione rimasti irrisolti. Ciò significa che nel reato c'è la speranza che qualcuno raccolga la comunicazione in esso contenuta. Winnicott a tal proposito scrive:

Ciò che caratterizza la tendenza antisociale è un elemento che costringe l'ambiente ad essere importante. Le pulsioni inconsce del paziente obbligano qualcuno ad occuparsi di lui. […] Per aiutare dei bambini con tendenze antisociali è vitale comprendere che l'atto antisociale esprime una speranza.[…] Quando esiste una tendenza antisociale significa che vi è stata una vera privazione (non una semplice privazione); vi è stata cioè la perdita di qualcosa che è stato positivo nell'esperienza del bambino fino ad una certa epoca e che è stato poi ritirato.
Dalla Pediatria alla Psicoanalisi"- Donald W.Winnicott - Ed. Psycho - pagg.367-368

La richiesta di aiuto c'è ma invece di esprimersi attraverso un linguaggio condiviso e simbolizzato, si manifesta attraverso un agito (universo psicotico del non pensato) che by-passa l'aspetto simbolico e che utilizza il corpo e l'azione per poter mettere l'ambiente in condizioni di considerare il soggetto importante e bisognoso di cure.

Questo concetto mi sembra ben espresso qua di seguito:

Stiamo parlando del sintomo, dunque di qualcosa che deve essere ascoltato e compreso; cioè di una domanda. Un sintomo è la rappresentazione collassata di un problema, di un conflitto fra spinte e controspinte che la persona non riesce a conciliare dentro di sé; una implosione della capacità di rappresentare. La comunicazione, anziché articolarsi nella realtà grazie agli strumenti e ai codici comuni, viene esternata attraverso un grumo di significati. Il risultato è un urlo che chiede di essere decodificato, un urlo in attesa delle parole utili per articolarsi in un discorso. […]

Ciascuno riproduce nel rapporto col mondo quei modelli di relazione che ha assimilato nel corso dei suoi primi anni. Questa inclinazione è tanto maggiore quanto più le relazioni interiorizzate costituiscono problema. Più una cosa fa problema, più c'è bisogno di risolvere il problema e, di conseguenza, più c'è bisogno di dare una rappresentazione del problema. Ma potrebbero mancare gli strumenti per farlo, o esserci delle grosse resistenze a farlo. In tal caso, avremo un sintomo, una domanda confusa fra interlocutori che non si conoscono: non è certo facile sapere con quali interlocutori interni stiamo intessendo il nostro discorso.

Da "Il crimine e l'urlo" - www.trasgressione.net -di A.Aparo

L'immagine di quello che una mamma fa di fronte al suo bambino che piange perché ha fame, ma che non riesce ad attaccarsi al seno, è calzante; il neonato, in quella specifica situazione, non è in grado di esprimersi eppure la madre capisce che lui ha fame. Si tratta di una modalità presimbolica attraverso cui il bambino chiede all'ambiente di soddisfare un suo determinato bisogno.

Queste considerazioni hanno implicato un notevole lavoro sull'assetto mentale dell'operatore; se egli è consapevole che la richiesta d'aiuto da parte dell'adolescente tossicodipendente o che commette reati c'è, allora il suo punto di partenza sarà estremamente attivo, al contrario della passività che normalmente viene prescritta al terapeuta.

L'operatore deve diventare consapevole che il ragazzo sta facendo una richiesta d'aiuto; questo particolare assetto mentale gli permette di liberare il proprio controtransfert dalla coercitività che sarebbe un gravissimo impedimento per la comunicazione con l'interlocutore. L'apparato mentale dell'operatore non deve essere ambiguo e ambivalente ma deve favorire l'accesso ad un livello di passione e di convincimento profondo perché in quel momento il ragazzo, nonostante l'agito, sta pur paradossalmente chiedendo aiuto.

Solo dopo tale consapevolezza si può passare ad interventi di dialogo con cui l'operatore entra in contatto col suo interlocutore e regge la violenza della richiesta senza, però, essere distrutto da essa.
Egli deve superare il vissuto narcisistico negativo derivante dal fatto che la propria offerta d'aiuto non è cercata consapevolmente dall'altro. La sua funzione non consiste nel dare una ricetta, ma deve spingere l'adolescente a osservare la capacità che l'operatore ha di farsi carico della sua sofferenza e a trovare un suo modo autonomo, così come fa l'artista.

Con l'adolescente bisogna anche accettare di giocarsi in una relazione "agita" e apparentemente paritetica (anche se la relazione è per sua natura asimmetrica).
L'adolescente deve sentirsi contenuto da qualcuno che sta "dalla sua parte" e, al contempo, poter mantenere una distanza tale da essere riconosciuto come altro.
L'operatore deve lasciarsi spiazzare avendo fiducia nel proprio oggetto buono culturale interno.

Per capire meglio cosa questo significa, può essere utile richiamare l'esposizione che la Dott.ssa Gasparini ha fatto di un suo caso clinico.

Si tratta di un adolescente che aveva accoltellato il seduttore della ragazza del suo amico del cuore. Durante l'infanzia egli aveva vissuto un trauma e a seguito di ciò aveva sviluppato una balbuzie; la parola si era come "spezzata" perché non riusciva a contenere l'esplosività dei portati emotivi. L'uso del linguaggio condiviso non era tale da permettere al ragazzo di dire tutto quello che sentiva dentro di sé; la comunicazione era troppo complessa per essere contenuta in una parola che di conseguenza doveva per forza spezzarsi. Il padre aveva avuto uno scompenso psicotico durante il periodo di latenza del bambino, ma nonostante tutto il ragazzo aveva conservato un nucleo buono sulla figura paterna, come dimostrato dalla risposta data alla IV tavola del test di Rorschach.

Era stato svolto un buon lavoro terapeutico che aveva portato ad un buon contenimento della spinta all'azione, ma arrivò presto la cartolina di richiamo al servizio militare. Questa eventualità era troppo rischiosa perché avrebbe potuto esporlo al rischio di perdere nuovamente il controllo dell'impulso.
A causa di ciò si resero necessarie delle variazioni di setting; la dott.ssa Gasparini ha dovuto intervenire attivamente attraverso segnalazioni e contatti affinché tale eventualità non si verificasse.
Lei affrontò col ragazzo la questione dell'importanza di continuare il lavoro terapeutico. Al distretto militare, infine, dopo essere stato sottoposto a batterie di test, e una volta riconosciuti i rischi di un possibile passaggio all'atto, era stato congedato.

La dott.ssa Gasparini si è trovata nella situazione di dover accompagnare il ragazzo al distretto militare, e quindi in una situazione al di fuori del setting terapeutico.
Ciò si discosta dalla relazione totalmente asimmetrica e quasi impersonale propria del setting ortodosso.
L'urgenza reale era però quella di occuparsi di lui, di riprendere il setting e le interpretazioni per evitare il rischio di ricaduta in comportamenti antisociali. La peculiarità della situazione e le caratteristiche specifiche dell'adolescente avevano così comportato un rimaneggiamento delle regole del setting terapeutico.

In riferimento all'adolescenza è utile ricordare il concetto di "spazio psichico allargato" di Jeammet; a quest'età, attraverso regressioni pulsionali e regressioni degli stati dell'Io, vengono poste in essere modalità di tipo operatorio-concreto che devono necessariamente essere valorizzate perché preziose per l'ulteriore sviluppo psichico. L'appoggio sulla realtà esterna, a livello operatorio-concreto, consente all'adolescente di rimaneggiare la realtà psichica interna.

In adolescenza non c'è solo un gioco "intrapsichico", ma c'è una continua permeabilità dell'Io (continua comunicazione tra interno ed esterno), per cui l'ambiente relazionale esterno viene ad interferire ed essere massicciamente utilizzato nello spazio psichico interno sia dal ragazzo che dallo stesso ambiente che involontariamente lo usa per relazionarsi con lui. L'adolescente utilizza molto l'operatività per rimaneggiare la propria realtà psichica; si potrebbe dire che: mentre l'adulto pensa, il bambino gioca, l'adolescente facilmente agisce per comunicare.
Egli riutilizza in tal modo una modalità di approccio operatorio-concreta per poter raggiungere dall'esterno il proprio mondo interno; di conseguenza, un rinforzo che viene dato dalla sua realtà esterna, sia relazionale che concreta, è preziosissimo per potere, ad esempio, aumentare il livello di autostima.

L'adolescente riesce subito a percepire se l'operatore si allea alle parti sane della sua personalità; se ciò accade (la fantesca del Caravaggio che sa sentire il dolore) allora egli può finalmente sentire il dolore del processo maturativo e pensarlo. Questo significa che la parte sana della sua personalità si è finalmente alleata alla parte pensante della personalità dell'operatore affinché la possa gradualmente utilizzare autonomamente.

LABORATORIO

Per la prossima volta la proposta è quella di portare dei quadri rappresentativi di qualcosa, prodotti all'interno del lavoro che ogni operatore fa con gli adolescenti, al fine di fare insieme un'analisi di codice.