IL RITORNO DEL FIGLIOL PRODIGO

velleità, distruzione, ricostruzione

Antonella Cuppari

01-06-2004

Alcuni passaggi della giornata

 

Aparo, Introduzione

“Negli incontri del gruppo della trasgressione detenuti e studenti si interrogano su diversi temi (trasgressione, imperfezione, sfida) e su come le esperienze e i sentimenti possano incidere sulla nostra percezione delle cose e sul nostro divenire.

Recentemente ho preso due multe perché ho superato di 13 km orari il limite di velocità consentito dalla legge. L’essere stato punito per una trasgressione che sentivo innocua mi ha fatto provare frustrazione, rabbia, sfiducia; tutto questo mi ha portato a delle fantasie distruttive.

Se un bambino si sente abbandonato o poco sostenuto nei momenti più difficili, reggere il peso della solitudine, dell’abbandono, del senso di ingiustizia può diventare per lui ben più frustrante e destabilizzante delle multe per me; nella sua testa può farsi strada l’idea che l’arroganza e una solida mazza possano essere gli unici strumenti per farsi riconoscere dai suoi genitori e dal mondo. Con questa idea in testa il bambino diventa adulto, fino a quando, un giorno, decide di rompere la vetrina di una gioielleria. Il gioielliere si accorge che qualcuno sta cercando di derubarlo; anche lui è arrabbiato e stufo perché il suo negozio è stato rapinato più volte nel corso dell’anno; così prende una pistola e spara al ladro.

Questi due esempi non hanno lo scopo di giustificare il reato o il rancore; vogliono solo ricordare come il percorso che si conclude con una tragedia possa avere una origine remota, quando il senso di impotenza del bambino di fronte a eventi che lo sovrastano favorisce una certa gamma di emozioni e di scelte; giorno dopo giorno emozioni e scelte fanno sì che le cose peggiorino, fino a che si giunge a un bivio cruciale, un bivio dove il ladro può decidere di rompere la vetrina della gioielleria e dove il gioielliere può scegliere di sparare.

Anche nella vita di tutti i giorni, del resto, accade di vivere difficoltà e di fare delle scelte più o meno appropriate a seconda del proprio equilibrio personale e queste scelte, giorno dopo giorno, allargano o restringono lo spazio utile per crescere e stringere alleanze con gli altri.

Il gruppo della trasgressione non vuole studiare chi ha commesso reati; venticinque anni di esperienza in carcere mi confermano che lo studio con chi commette reati fa evolvere il rapporto fra società e devianza più di quanto possano lo studio del reo e la pena che il condannato sconta in carcere.

Le persone scoprono il piacere della relazione se possono lavorare con gli altri, se si sentono riconosciute, se sentono di avere un posto attivo nel mondo e non se il loro ruolo è limitato alla ricezione passiva di aiuto e di insegnamenti. Più una persona lavora e consegna agli altri i frutti del suo lavoro, più avrà il piacere di appartenere alla società e di riconoscersi nella società.

Per tutto questo proviamo oggi a consegnare ai presenti in sala il frutto del nostro ultimo impegno su “Il ritorno del figliol prodigo”.

 

 

Sergio Cusani, ex membro del gruppo, durante il convegno, ha proposto un argomento, il “tema del cestino”:

Il cestino è costituito da tutte quelle domande che rifiutiamo di porci, o che ci poniamo e poi cerchiamo di cancellare perché senza risposta. Il cestino non può essere svuotato ma rimane nella parte più profonda di noi. Ripescare nel cestino è faticoso e richiede tempo e lavoro.

In carcere, il tempo trascorre in funzione dell’attesa della scarcerazione; a seconda delle condizioni questo tempo può diventare fertile o meno; il tempo dell’attesa, in carcere, può acquistare senso se il rancore, il senso di colpa riescono a riemergere dal cestino e ad essere riconosciuti. Ma perché questo accada occorre che il legame fra chi è dentro e chi è fuori venga alimentato e lavorato

Subito dopo l’intervento di Cusani, Aparo ha letto una poesia della sezione “Rancore” del sito della trasgressione, “Voglio seppellirti”:

Il fatto che questa poesia sia sul sito non vuole essere una lode all’odio, bensì un riconoscimento e uno studio dell’odio. Il rancore, se viene ignorato e negato, prima o poi torna su dal cestino e causa disastri.”

Una persona che è riuscita nel gruppo a trasformare il tempo dell’attesa in carcere in un tempo per porsi domande è stata Umberto Picone.

Uno dei suoi scritti più belli, “L’orologio a pendolo”, parla di un rapporto interrotto con il padre, un orologio che attende di ricominciare a battere il tempo per riscoprire domande sepolte da rabbie e paure.

Aparo
Parlo delle domande che l’uomo si pone già ai suoi primi passi, quando chiede ai genitori che cosa si aspettino da lui, come funziona il mondo, cosa egli potrà fare nel mondo. Le loro risposte possono dare al bambino fiducia sul fatto che la sua presenza nel mondo è desiderata, oppure, al contrario, possono deluderlo, mortificarlo. In questo secondo caso, gli interrogativi sulla nostra funzione nel rapporto con gli altri, progressivamente, si contraggono, si raggrinziscono, si dimettono e allora “l’idea della mazza” si può fare strada.”

Giocare nella relazione con gli altri le proprie somiglianze e le proprie differenze rivitalizza le domande sopite e permette quel processo di gestazione reciproca grazie al quale studenti e detenuti del gruppo scoprono e utilizzano le loro risorse creative. La gestazione reciproca è il contributo che, all’interno di un setting definito, ogni persona può dare affinché altre persone esprimano le loro potenzialità.

Umberto oggi è fuori dal carcere, intenzionato a coltivare la sua vitalità. Cosimo durante il convegno ha raccontato così di una domenica trascorsa in montagna con Umberto e i suoi amici e riporta le sue parole: “Ora sento che una parte di mondo è anche mia”.

Marcello Lombardi è stato il primo membro del gruppo a beneficiare attivamente della “domanda” di Umberto; riflettendo sull’orologio a pendolo e sul rapporto genitori-figli, Marcello ha ricordato le sue prime impressioni di fronte a un “Poster di Rembrandt” e ha prodotto il primo scritto del gruppo su “Il ritorno del figliol prodigo”.

Il divertimento di un’operazione culturale è nell’intrecciare brani del nostro piccolo o grande sapere con esperienze che ci appartengono e nelle quali ci riconosciamo; conoscenze ed esperienze, che diventano tessere della nostra identità.” (Aparo)

“Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt” è diventato lo spazio dove detenuti e studenti si sono trovati a vivere e scambiarsi le emozioni che i personaggi dell’opera suscitavano.

Queste emozioni provengono dai “nostri cestini” e ci appartengono; Marcello si è giovato dello scritto di Umberto e lo ha collegato con l’opera di Rembrandt e con il ricordo del rapporto con suo padre; noi abbiamo invitato un docente di storia dell’arte a parlarci del quadro: “I personaggi di un quadro - dice il prof. Zuffi - sono imprigionati dentro la tela, dove aspettano che dia loro voce chi va a visitarli”.

Noi abbiamo provato a dare voce ai personaggi del quadro e, servendoci di loro, alle nostre domande. Abbiamo proposto il convegno agli studenti di Carate per avere altre voci e altre domande. Mi ha colpito molto l’intervento di uno di loro:

Forse, è proprio la fuga del figlio l’evento che riapre una domanda nella relazione tra padre e figlio, mettendo a nudo una realtà del loro rapporto che prima negavano.”

Speriamo ne possano giungere degli altri, anche a convegno concluso.


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