IL FARO - Riunione del 27-02-2004

Regole e libertà

 

da Antonella Cuppari

Ieri l’incontro si è sviluppato a partire da uno scritto di Walter che rifletteva sul significato delle pene accessorie (negazione del diritto di voto, ritiro della patente…) e sul rapporto di queste con la libertà.

Aparo ci ha invitato a riflettere sul rapporto tra regole e libertà: esse la riducono, la ampliano, la definiscono, la tutelano?

C’è stato un giro di risposte; c’è chi ha fatto riferimento alle regole personali che ognuno si impone, c’è chi ha parlato delle regole della società, c’è chi si è collegato alle regole familiari. Sono emerse emozioni contrastanti: se da un lato le regole sono viste come necessarie, dall’altro lato spesso, per diversi motivi, calzano strette, risultano limitanti.

Ieri abbiamo anche avuto la fortuna di avere con noi Alessandra, studentessa di giurisprudenza e una docente di diritto penitenziario, la prof.ssa Tirelli.
Riporto i loro interventi:

Alessandra: “E’ importante capire il perché di una regola; ciò permette ad una persona di decidere se accettarla o rifiutarla, avendo però un motivo valido. Le regole non sono paletti fini a se stessi, ma sono punti fermi che garantiscono l’autonomia dell’individuo e la possibilità per lui di compiere delle scelte, senza privare gli altri della sua stessa possibilità. Se una persona ha bisogno di prendere l’autobus per raggiungere dei suoi obiettivi, e nella tabella degli orari c’è scritto che ogni giorno quell’autobus passa alle tre, la persona deve poter avere questa certezza.”

Tirelli: “Esistono tre tipi di regole: 1) regole che tutelano i diritti fondamentali; 2) regole che ci diamo tutti i giorni e che ci permettono di adattarci al mondo che cambia; 3) regole che si fondano sui principi a cui lo stato fa riferimento. Queste ultime regole possono essere considerate più o meno giuste dal singolo a seconda che egli condivida o meno i principi dello stato, e hanno a che fare col rapporto col potere.”

Il concetto di potere ha poi portato Eric a vedere in esso uno strumento negativo che può portare alla megalomania, mentre per Fulvio il potere non può essere visto solo in questo modo; molte persone, infatti, lo hanno utilizzato per produrre cose buone e favorire il progresso della società.

Parlare di potere mi ha fatto anche tornare in mente il tema della nullatenenza. Chi si sente nullatenente, chi crede di non aver nulla da scambiare col mondo, si sente solo, un pesce fuor d’acqua, sente di non avere gli strumenti per rapportarsi e per lasciare le proprie orme nella realtà. Ad un certo punto Walter ha detto: “Spesso molte regole non vengono rispettate perché ci si sente soli. Io spesso, infatti non mi sentivo partecipe delle regole e non mi riconoscevo come parte della società.”

Aparo è poi intervenuto parlando di due risvolti delle regole:


Ogni regola è sia misura che orientamento. Quali sono le condizioni ambientali ed emotive che fanno sentire la regola come orientamento o come misura?

Per rispondere a queste domande, Aparo ha approfondito i concetti di misura e orientamento:

Misura: la misura è un concetto importante e al tempo stesso antipatico perché l’uomo, per sua natura, è spinto a desiderare l’infinito. E’ difficile tollerare la morte e i limiti. L’uomo quando sogna ha mete molto alte; al tempo stesso però egli è fatto di carne e materia. Questo richiama il rapporto tra la dimensione del finito e dell’infinito. Così la regola può risultare mortificante perché l’infinito, a cui l’uomo tende, non è misurabile. Al tempo stesso, però, la regola può aiutarci a entrare in relazione col fatto di essere finiti. La misura frustra perché ricorda all’uomo che non può puntare sull’onnipotenza e che gli obiettivi che si prefigge, per essere raggiunti, devono avere a che fare con la materia e la realtà.

Altra domanda: La misura schiaccia l’individuo o gli dà strumenti per costruire la realtà?

Aparo sottolinea che in realtà non esistono situazioni nelle quali le persone non si misurino. Piuttosto esistono condizioni in cui, di volta in volta, la misura si lega a diverse motivazioni: volontà di schiacciare e tiranneggiare l’altro; sentimento di amore e desiderio di prendersi cura di qualcuno. In questa ultima situazione la misura diventa un mezzo per calibrare il compito da affidare alla persona di cui si vuol promuovere la crescita.

Orientamento: la regola diventa orientamento quando viene vissuta come qualcosa che permette alle persone di esprimersi.

Tutto questo discorso è legato a come la mente del bambino comincia a vivere le prime regole. Ciò mi richiama inevitabilmente un autore che a tal proposito ha detto molto, Winnicott, e delle cui considerazioni il Gruppo si è molto servito.
All’inizio il bambino piccolo, se vi è una “madre sufficientemente buona”, vive nell’illusione di produrre da sé quanto necessario per soddisfare i suoi bisogni istintuali. Questa illusione è molto importante perché permette al bambino di relazionarsi con oggetti della realtà esterna senza sentirsi schiacciato e oppresso.
Solo dopo questa fase è possibile per il bambino tollerare l’inevitabile scoperta dell’Altro, e quindi la consapevolezza che i pezzi di realtà utili a soddisfare i propri bisogni sono fuori da sé, e che per raggiungerli è necessario non distruggere l’altro ma, al contrario, cercare di entrarci in relazione.

Di nuovo viene chiamato in causa il tema del potere. Così mi viene in mente che il potere, al pari di altri concetti come la misura o la libertà, può essere vissuto in modi diversi:

La prof.ssa Tirelli ha poi voluto sottolineare come in alcune famiglie in cui le regole sono state arbitrarie e negative spesso i figli siano riusciti a confrontarsi con esse, rielaborando una nuova regola più positiva.

Aparo ha posto così una nuova domanda: Dove reperire il materiale e il supporto emotivo per reagire ad una regola che schiaccia, attraverso l’elaborazione di una nuova regola per svincolarsi dallo schiacciamento?

Alessandra ha fatto un intervento che per me può essere visto come una sua risposta all’interrogativo: “L’unica cosa che non cambia mai è il proprio passato. E’ importante vedere da dove si viene, ma è altrettanto importante dare senso alle proprie capacità, alle proprie attitudini e valutare le possibilità che si hanno a disposizione. Se questo lavoro personale non c’è, allora per la persona diventa impossibile partecipare al potere e la persona diventa manipolabile. Il concetto di maturazione, di cui Walter prima parlava, per me consiste nel rieducare se stessi, nel riprendere coscienza delle proprie forze, nel riprendere in mano la propria vita.”

Livia ha riproposto l’interrogativo: come fa un bambino piccolo a trovare gli strumenti per reagire alle regole dalle quali si sente schiacciato?

Aparo ha chiuso l’incontro ricordando che le regole su cui è opportuno riflettere non hanno a che vedere solo con quelle che stabiliscono il confine tra legalità e non legalità. Si tratta per lo più di criteri; così anche nelle nevrosi, che non sono punite dalla legge, spesso i criteri vengono assunti più nella prospettiva della misura mortificante che non dell’orientamento.

Così mi pongo una domanda, che ieri non ho posto per diverse ragioni, ma che mi riguarda da vicino: Cosa può spingere una persona a vivere la misura e la regola come criterio per valutarsi, nonostante la sofferenza che ciò determina?

… più timidamente: Cosa mi spinge a considerare la misura l’unico strumento per valutarmi, per volermi bene, nonostante questa regola, che mi sono autoimposta, mi fa stare da cane?

Tante domande, tanto carburante che mi spinge a guardarmi dentro, che mi stimola a confrontarmi con gli altri e con quello che di me stessa non riesco ancora a capire o non voglio vedere.