Cristina Freghieri
Patrimonio Sommerso

Tiziana Pozzetti

27-04-2009 San Vittore

Cristina Freghieri: vorrei iniziare l'intervento con questa frase: “Ognuno di noi, immerso nella profondità, è alla ricerca di un proprio tesoro. Non è importante trovarlo, quanto non smettere di cercarlo.”

Quando noi ci immergiamo in acqua, entriamo in contatto con qualcosa che è molto più grande di noi; questo risveglia in noi delle emozioni, senza tralasciare completamente la razionalità. Per me il giusto equilibrio è mantenere il 50% di razionalità e il 50% di emotività.

Vorrei in primo luogo mostrarvi le immagini di un sommergibile che si trova nelle acque francesi; si chiama Rubis.

 

 

 

Esso fu affondato volutamente dall'uomo in quanto, non più utilizzabile, sarebbe stato altrimenti demolito. Una caratteristica di questo sommergibile è che è appoggiato sulla chiglia con la parte davanti rialzata, come se fosse in procinto di muoversi.

 

Il sito di Cristina Freghieri

 

Qualsiasi relitto conserva il momento in cui affonda. E' come se quell'istante rimanesse per sempre impresso in lui, è quello che a me piace chiamare “l'ultimo respiro di un relitto”. Resta sigillato in quell'attimo.

Una cosa molto particolare è vedere la differenza tra l'interno e l'esterno dei relitti. Mentre all'esterno si formano le alghe, avvengono delle trasformazioni, l'interno resta immutato, benché vi penetri l'acqua, non avvengono grandi trasformazioni e sembra che sia ancora tutto come quando era vivo e funzionante.

Nel momento in cui si fa un'immersione è molto importante sentirsi parte di una squadra. Si lavora tutti, a turno; quando si scende sott'acqua bisogna avere la certezza che sulla barca resti qualcuno che sia capace di fare altrettanto, e che in caso di necessità sappia come agire.

Allo stesso tempo però ognuno di noi deve essere autosufficiente, sia a livello tecnico, sia nella gestione della propria emotività. Ognuno deve essere in grado di gestire i propri problemi senza aspettarsi o pretendere che qualcuno venga ad aiutarti.

Immersi nel buio per scrivere la nostra storia e le nostre emozioni”.

Le emozioni sott'acqua sono molto diverse da quelle in superficie.

(Sono poi state passate in rassegna varie foto di relitti di aerei e velieri sommersi.)

 

 

Interviene il gruppo della trasgressione.

Ivano Moccia: mi ha colpito molto la storia del Rubis perché è stato costruito dall'uomo ed è stato distrutto dall'uomo e la natura l'ha sollevato: è come se avesse ancora un’anima.

Io, fin da quando ero piccolo, ho sempre trovato affascinante il mare che però mi faceva contemporaneamente paura. Quello che mi incuriosisce è perché ha scelto proprio i sommergibili?

Cristina Freghieri: la scoperta che mi piaceva immergermi è stata un caso. In quel momento, quando ho scoperto che mettere la testa sott'acqua per me era vitale, è cambiata tutta la mia vita.

Anche la scelta di studiare i relitti è avvenuta per caso. Ero con la mia scuola e siamo scesi a vedere un relitto, ad un certo punto vidi una cernia e mi avvicinai, più mi avvicinavo più lei si nascondeva nel relitto, fino a che io non sono più riuscita a raggiungerla: si era nascosta e mi aveva lasciata lì fuori. In quel momento ho avuto un grande senso di sicurezza, mi sono sentita protetta anche io come la cernia nascosta li dentro. Da lì ho deciso che volevo accostarmi ai relitti.

Antonio Di Mauro: quando ha raccontato che, scendendo sott'acqua, uno ha intorno la squadra ma deve contare su se stesso ed essere autosufficiente, mi è venuto in mente che questo somiglia a quello che facciamo noi qui. Anche noi siamo una squadra, ma poi ognuno deve contare prima di tutto su se stesso. Io ad esempio potrei essere considerato un relitto bellico del carcere...

Mario Di Domenico: stavo per dire la stessa cosa, però, proprio per la nostra anzianità, grazie alla nostra esperienza, forse possiamo anche noi trasmettere qualcosa di buono, come i relitti sottomarini. Volevo fare alcune domande:

 

Cristina Freghieri: Per trovare un relitto ci sono due vie. La prima, la più bella, è quando i pescatori vengono da te e ti dicono “io lì ci perdo sempre le reti”. Questa è la via più bella perché, quando un pescatore decide di regalarti questa informazione, è perché ti sei guadagnato la sua fiducia e la sua stima. Questo è importante perché le persone locali devono essere sicure che tu ami il mare; c'è molto sciacallaggio e loro non amano che arrivi gente a portare via dei pezzi e a rovinare questo patrimonio sommerso.

La seconda via parte dal documentarsi sui libri, si selezionano i relitti che non sono stati ancora ritrovati e poi si cerca di ricostruirne la storia per cercare di ipotizzare dove potrebbero essere.

Per quanto riguarda la seconda domanda. Mi è successa una volta sola di trovare dei cadaveri, ma ero lì con i sommozzatori, eravamo lì apposta per recuperarli. Devo dire che non mi ha fatto un grande effetto, forse perché ero preparata, lo sapevo, o forse perché il mare in questo senso protegge molto: i corpi non erano molto riconoscibili. Comunque il motivo principale credo che sia che io sono sempre alla ricerca di qualcosa che non so, quindi sono pronta ad aspettarmi di tutto.

Ivano Moccia: prima di tutto, riallacciandomi al discorso degli altri, anche io, pur avendo 31 anni, ho le carte in regola per diventare un relitto bellico del carcere. Abbiamo qualcosa in comune, anche io mi attrezzavo e mi preparavo, ma la differenza è che io non lo facevo per immergermi nella calma del mare. Io mi mascheravo per fare del male. Sto provando però a cambiare le mie carte, sarebbe bello un giorno immergersi in passioni più regolari.

Antonio: ti sei mai immedesimata in quello che trovavi?

Cristina Freghieri: si certo, mi ricordo una volta in cui mi ritrovai nella sala motori di un relitto. Sembrava che tutto fosse immutato, sembrava che potesse bastare così poco affinché tutto tornasse a funzionare... In quella sensazione io mi sentivo come un essere umano in luogo sacro, cercavo, come sempre, di non toccare e non modificare niente di quello che mi circondava.

Mentre uscivo vidi tre pesci che dormivano in piedi, ed era la prima volta che mi succedeva, cercai di andarmene senza svegliarli. Devo dire che mi sono sentita molto toccata emotivamente da quell'esperienza.

Livia Nascimben: mi colpisce molto l'idea del relitto che fuori cambia e dentro resta immutato.

Cristina Freghieri: ...è come se un relitto, anche se ferroso, dentro conservasse un'anima.

Livia Nascimben: non vengono mai portati via?

Cristina Freghieri: in genere no, se non per necessità (ad esempio contengono scorie nucleari o altri materiali nocivi). In realtà è stata anche fatta la proposta di portarli in superficie e metterli in qualche museo, ma molte persone si sono battute affinché fossero lasciati lì al loro posto, immersi nelle acque del mare, anche perché essi diventano fonte di vita, nascondiglio per molti animali marini che verrebbero uccisi se gli si portasse via il loro rifugio.

Paolo Sorge: mi domandavo se utilizzare certe attrezzature, che là sotto fanno una parte del lavoro dell'uomo, non toglie un po' il piacere della ricerca.

Cristina Freghieri: no, avere dei mezzi che ci possano aiutare ci fa piacere, non toglie il piacere della ricerca, comunque sia il rischio poi devi affrontarlo. A meno che non si tratti di attrezzature che sostituiscono completamente l'operato dell'uomo.

Paolo Sorge: capita mai che qualcuno muoia durante un'immersione?

Cristina Freghieri: si, è capitato ad esempio alla moglie di Francisco Ferreras detto Pipin. Il 12 ottobre 2002  Audrey Mestre muore sott'acqua mentre sta cercando di stabilire il record mondiale di apneismo a 171 metri di profondità, al largo della Repubblica Domenicana.

Di solito però quando avvengono queste cose la colpa è dell'uomo e non del mare. Anche in quell'occasione pare che ci siano stati degli errori umani: il pallone gonfiabile che avrebbe dovuto usare per salire non sembrava del tutto gonfio e non c'erano sufficienti uomini lungo il percorso di risalita. Teoricamente sarebbe dovuto filare tutto liscio come era successo pochi giorni prima in prova, dove Audrey aveva già toccato quelle profondità....

Ivano Longo: è mai successo che il mare ti abbia cambiata?

Cristina Freghieri: molte volte mi ha cambiata, è lì che ho trovato il mio equilibrio, posso dire che mi ha cambiata totalmente.

Massimo: non ti è mai capitato di provare un senso di panico sott'acqua?

Cristina Freghieri: no di panico no, però delle esperienze che mi hanno spaventato sì. Ad esempio una volta che mi trovavo a Sestri Levante, il mare si era da poco placato dopo una tempesta. In quelle occasioni il mare si abbassa molto e successivamente arriva un’onda anomala che viene chiamata la “settima onda”. Quel giorno gli altri se n'erano andati un attimo ed ero rimasta lì sola davanti al mare a tenere d'occhio l'attrezzatura. Ad un certo punto è arrivata quest'onda così forte che mi ha trascinato dentro. Non credevo che ne sarei uscita, continuavo a bere e, benché cercassi di applicare le cose che mi erano state insegnate in caso di emergenza, ero già rassegnata al fatto che non ne sarei uscita viva. Invece i miei compagni, che mi avevano visto, sono venuti a soccorrermi e in qualche modo sono riusciti a tirarmi fuori.

Ad ogni modo, prima di iniziare ho frequentato una scuola molto dura. Frequentando questa scuola se c'è qualche paura emerge prima, durante le prove, e così si ha il tempo di lavorarci su.

Mario: non hai mai trasgredito sott'acqua? Nel senso, non hai mai infranto delle regole?

Cristina Freghieri: più che altro mi sono ritrovata a vivere delle trasgressioni sott'acqua, io però non sapevo che stavo trasgredendo. Ad esempio una volta, senza l'adeguata preparazione, avevo seguito una guida all'interno di un relitto. Passando da una piccola fessura pensavamo di raggiungere l'uscita ma la guida si era persa e oltre la fessura ci ritrovammo chiusi, intrappolati nel relitto. La fessura da cui eravamo entrati era crollata con il nostro passaggio e così non avevamo nessuna via d'uscita. In quel momento vidi gli occhi sbarrati della mia guida, sono occhi che non dimenticherò mai. Ma io non volevo rassegnarmi, mi sono attaccata al soffitto e ho iniziato a tirare e abbiamo visto un piccolo spiraglio di luce, così siamo riusciti ad aprire un varco e a venirne fuori. Anche in questo caso è stato un errore umano però, questo mi è servito da lezione e mi sono ripromessa che avrei imparato ad accostarmi ai relitti in modo diverso, più razionale.

Emma: cosa significa che le emozioni sott'acqua sono diverse rispetto a quelle in superficie?

Cristina Freghieri: la dimensione liquida ti permette di ascoltarti molto più profondamente, ti senti “sciolto” nell'acqua.

 

HMS THUNDERBOLT

Cristina Freghieri: vorrei ora raccontarvi di questo sommergibile verso cui è attualmente diretta la mia attenzione.

Si tratta di un sommergibile inglese della seconda guerra mondiale affondato nelle acque di San Vito Lo Capo, in Sicilia, attualmente non si sa dove si trovi di preciso. Io sono entrata per caso in contatto con la sua storia e da allora non sono più riuscita a smettere di pensarci e ho cercato di ricostruire le sue due vite.

Durante la sua prima vita il suo nome era “HMS Tethis”, affondò nel 1939 in quanto, quando lo misero in mare, non si accorsero che due lanciasiluri erano rimasti erroneamente aperti. Venne imbarcata molta acqua di mare e ciò ne causò l'affondamento. Solo quattro uomini sopravvissero.

Durante la seconda guerra mondiale venne ripescato. Da qui inizia la sua seconda vita sotto il nome di “HMS Thunderbolt”. Venne rimesso a nuovo, riattrezzato e riutilizzato per la guerra. Molti sostennero che il fatto che fosse già affogato una volta era un presagio negativo, all'interno si conservava ancora, sulle pareti riverniciate, il segno dell'acqua per il tempo che era rimasto sommerso. Il Thunderbolt entrò in guerra per tre anni fino a che non venne abbattuto, il 14 Marzo '43, dalla Corvetta Italiana Cicogna del comandante Migliorini.

Mario: non ti sei mai posta come obiettivo quello di aumentare il tuo limite di profondità?

Cristina Freghieri: c'è stato un periodo in cui per me la profondità era molto importante. Per adesso comunque la mia quota limite sono i 120 metri, più che altro per le manovre che richiede la risalita.

Quando scendi oltre 100 metri il tuo vissuto di persona scompare. Durante la discesa tu sei tutto proiettato in quell'attimo, non hai più un passato, la mente non ha distrazioni, sei proiettato solo ed esclusivamente in quella direzione. La mente registra che ti stai allontanando, lì ci siete solo tu e l'acqua. Il viaggio di risalita è invece più lento, hai molto tempo per pensare, nonostante ci siano tante cose da fare.

Angelo Aparo: potresti parlare un po’ di più di ciò che provi durante la risalita?

Cristina Freghieri: in quel momento un minuto corrisponde a mesi di pensieri e di trasformazioni. Il tempo laggiù ha un valore molto diverso, è “pieno”, gli si dà un'importanza cruciale. Respiri il privilegio di poterci essere. Ti verrebbe voglia di non venire mai via. Ma poi quando è ora di risalire scatta un meccanismo che porta a mettere da parte le emozioni, torni a pensare da umano, in modo razionale, inizi a pensare in modo molto efficiente, come quello di una macchina.

Stai lasciando il privilegio di sentirti parte di quel mondo, che ti sei guadagnato superando i tuoi freni. Quando risali provi un senso di dolore perché quel privilegio è finito. E' il privilegio di essere nel mondo liquido che ha una sua dimensione procreativa, che è superiore al pensiero dell'uomo. Mi sento molto piccola quando sono laggiù.

Aparo: una volta tornati in superficie, questa esperienza cosa porta alle persone che l'hanno fatta insieme? Cosa vi comunicate?

Cristina Freghieri: inizialmente c'è un momento di disorientamento, un contraccolpo emotivo per aver lasciato qualcosa che ci ha dato molto. Prima che qualcuno provi a dire qualcosa passa una buona mezz'ora. La prima cosa di cui si parla sono le emozioni e i racconti di ciascuno. Se c'è stato qualche problema tecnico è l'ultima cosa che viene detta.

Aparo: come incide il rapporto col mare e con le immersioni sulla relazione con te stessa?

Cristina Freghieri: devo dire che io non ho avuto una guida tradizionale, non faccio parte di quelle persone che rientrano in un percorso sereno. Io sott'acqua ho imparato a vivere in superficie. E' un’esperienza che mi ha fatto trovare un equilibrio e questo equilibrio l'ho portato anche nel mio vivere fuori dall'acqua, dove ho comunque cercato di fare un percorso personale simile a quello che fate voi. Nel mio caso però è sempre guidato dal mio essere laggiù. Prima era come se mi mancasse un pezzo del puzzle, sono dovuta scendere laggiù per ritrovarlo.

 

L'incontro si conclude con un regalo per Cristina Freghieri: un acquerello di Mario Di Domenico.

 

Navi, Mario Di Domenico - Dimensioni originali

 

La giornata vissuta da Cristina: Il sommergibile di cemento