GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE
Riunione del 20-02-1999


Verbale redatto da Alberto Spada

Il Dottor Aparo introduce l'ospite odierno, il Signor Paolucci, padre del piccolo Stefano ucciso da Luigi Chiatti, facendone una breve presentazione.

Romeo - Interviene premettendo che il Signor Paolucci ha fatto in un periodo relativamente breve un percorso che lui stesso ha affrontato, ma che ha iniziato a produrre i suoi effetti dopo circa 9 anni.
Chiede poi come ha fatto a superare la bestia che è in ognuno di noi e che ci fa reagire con odio ad un dolore simile a quello che lui ha provato per la tragedia subita.

Paolucci - Risponde che è essenziale, in questi casi, prendere atto della specifica situazione; riflettere su come un ragazzo di 20 anni come il Chiatti possa fare quello che ha fatto.
Sicuramente vi sono delle esperienze nel suo passato che lo hanno costruito come è ora ed hanno profondamente condizionato il suo agire tanto che l'efferato gesto da lui compiuto non ha provocato solo la morte delle sue vittime ma anche la sua.
Per soddisfare qualcosa di represso ha utilizzato le due creature uccise per cui bisogna tenerlo sempre isolato, anche nel suo specifico interesse, per evitargli che possa ripetere la sua azione.

Stefanini - Ribadisce che non ritiene possibile, per lui, essere comprensivo come il nostro ospite e gli chiede specificatamente se, sollevando Chiatti dalle sue responsabilità, non sposti conseguentemente queste ultime su altri soggetti.

Paolucci - Sostiene che arrestando un Chiatti non si risolve nulla in quanto ve ne sarà sicuramente in circolazione un altro.
Bisogna invece andare all'origine del problema, per educare questi soggetti prima che assumano le caratteristiche che li portano poi inevitabilmente al delitto.
Se rancore esiste, quindi, questo sarà rivolto a chi non li ha educati ed aiutati prima.
Ricorda che lo psicologo dell'Orfanotrofio dove Chiatti ha trascorso la sua infanzia riferì che da quella struttura sono usciti sicuramente tanti potenziali Chiatti, che non si sono poi fortunatamente espressi come lui.
Lo stesso operatore disse anche che, conosciuti i genitori adottivi, si rese conto della loro inadeguatezza in quanto mentre la madre voleva a tutti i costi un figlio da adottare, il padre non era assolutamente dello stesso parere e subiva semplicemente il desiderio della moglie. Era quindi questo un contesto familiare che non avrebbe mai consentito una serena e positiva formazione dell'adottando.
Conclude così che la colpa va ricercata non tanto nel mostro quanto in chi ha contribuito a crearlo; ed in questo senso gran parte di responsabilità va attribuita anche alla Società in genere che di fronte a certi problemi fa solo parole e pochi, se non niente, fatti.
Passando poi al problema personale specifico di Chiatti, è sua opinione che non sia possibile, a questo punto, recuperarlo in alcun modo.

Diego - Interviene chiedendo a Paolucci se lui e la moglie sono stati aiutati da qualcuno nel percorso da loro effettuato.

Paolucci - Ricorda che fino a 6 anni fa era molto diverso; si è poi verificata in lui una profonda metamorfosi, originata dal prendere coscienza di principi ed eventi trascendenti.
Innanzi tutto l'esistenza di Dio. Racconta che un giorno, su un portone imbrattato da uno schizzo di fango gettato da un camion, è rimasta indelebilmente impressa la figura di un volto identico a quello raffigurante il Gesù nella Sacra Sindone.
Scosso da questo evento chiese aiuto ai suoi fratelli, anch'essi sino ad allora non certo ferventi credenti, ma anch'essi dovettero ammettere la eccezionalità del fatto.
Da quel segno di rivelazione ebbe quindi inizio il suo cambiamento.
Un secondo fatto determinante è stato quello di poter parlare con il figlio Lorenzo che gli si è rivolto dall'Aldilà per spiegargli il loro mondo che rappresenta un ritorno ad una diversa dimensione di vita, e per invitarlo a perdonare il suo assassino in quanto lui lo aveva già fatto.
Afferma poi di poter dar prova di questo tipo di dialoghi in quanto li ha potuti registrare.

Gianquitto - Dichiara che nell'accostarsi al problema di Paolucci ha avuto alcune titubanze dovute alla scarsa informazione sul fatto specifico, ma ricorda di aver prodotto uno scritto sul rapporto vittima/carnefice in cui osservava che la diversità di fondo consiste, a suo parere, nel fatto che il carnefice effettua una scelta mentre la vittima la subisce.
Richiamava a tale proposito anche l'atteggiamento che le Scritture attribuiscono a Dio sia relativamente al momento in cui chiede al Figlio di morire sulla croce sia, antecedentemente, quando chiede ad Abramo di dimostrare la sua fede sacrificando il figlio Isacco.
Domanda quindi a Paolucci innanzi tutto cosa ne pensa di questo modo di porsi da parte del Signore, e se c'è poi analogia col suo sacrificio, nel senso che la morte del figlio lo abbia avvicinato a Dio.

Paolucci - Per rispondere a questa domanda si richiama prima di tutto a quanto gli riferisce il figlio Lorenzo nei loro incontri.
Egli sostiene che Dio non ha alcuna responsabilità sulla condotta degli uomini dal momento che, per il principio del Libero Arbitrio, sono essi stessi gli unici responsabili del loro agire e del bene e del male posto in essere.
Conferma poi Lorenzo che lui ha perdonato il suo persecutore e ripete : "lui sanguinava più di me!"
Afferma ritenere che Dio vuole certamente qualcosa da ognuno di noi, ma che lui non è in grado di conoscere né i modi né gli strumenti per poter accedere al Suo volere; evita quindi di porsi domande in merito.
E' convinto che ognuno di noi è destinato ad occupare uno spazio nell'Aldilà, spazio che si deve però meritare.
A ciascuno è poi data la possibilità di rifarsi, e Dio tiene quindi sicuramente anche ad individui come Chiatti.
Dichiara infine di non andare spesso in chiesa, ma quando ci va si trova bene.

Vaiana - Osserva che a suo parere Paolucci è riuscito a trovare un suo equilibrio comprendendo che anche dall'altra parte, quella del carnefice, vi è sofferenza.
Ricorda di aver vissuto anche lui esperienze analoghe e la sofferenza patita lo ha portato a comprendere.
L'equilibrio così raggiunto porterà poi ad integrarsi nella massa o ad isolarsi.

Paolucci - Rispetto a quest'ultima osservazione afferma che da parte sua, contrariamente a quanto è accaduto agli Allegretti, genitori dell'altra vittima di Chiatti, è riuscito a rimanere tra la gente, che normalmente produce in tali situazioni una sensazione di fastidio.
E' sua opinione che bisogna sempre valutare il comportamento degli altri ed adattarsi alle circostanze non configurandoti come eccezione in quanto c'è sempre qualcuno disposto ad aiutarti. Se ti isoli sei finito.

Attardo - Si chiede se lo stimolo che ha dato impulso al percorso interiore di Paolucci, premessa la sua origine religiosa, abbia in se anche una componente umana.

Paolucci - Ricorda che anche prima si era posto il problema di Dio, ma tendeva ad accantonarlo per affrontare volta per volta i problemi del quotidiano.
Ribadisce però che gli stimoli provengono sempre da Dio ed afferma di essere contrario alle gerarchie religiose e di privilegiare invece figure come Maria Teresa di Calcutta.

Attardo - Riprende il tema della funzione rieducativa della pena e chiede a Paolucci se, una volta venisse dimostrato che Chiatti è guarito, accetterebbe l'idea della remissione in libertà di quest'ultimo.

Paolucci - E' convinto che chiudere ed isolare per sempre un essere umano può risolvere solo un aspetto del problema, mentre elimina una parte dell'esistenza.
Fondamentale è aiutarsi reciprocamente ed è necessario comprendere anche chi è in carcere.
Qualsiasi manifestazione, anche la più nobile, è priva di valore se non è seguita da impegno ed attività concrete.
Nell'operare quindi insieme come Associazioni si deve far in modo di essere il più incisivi possibile per sensibilizzare le Istituzioni.
Conclude infine che il dialogo è essenziale per i rapporti umani.
Anche il parlare con un bambino di 5 anni può essere fonte di insegnamento.

Carrino - Pone una serie di domande che si possono riassumere in questi termini.
Innanzi tutto chiede se e cosa è rimasto dell'uomo di prima; in secondo luogo se la moglie ha fatto lo stesso percorso da lui svolto; come reagirebbe poi di fronte ad una richiesta inoltrata da Chiatti per incontrarlo o ad una sua lettera ed infine cosa farebbe se potesse disporre di una bacchetta magica.

Paolucci - Quanto al primo quesito risponde che è rimasto assai poco del Paolucci di una volta mentre riguardo a sua moglie conferma che vive la sua medesima esperienza sin dal momento del processo.
Lui era allora intervenuto con la precisa volontà di uccidere Chiatti, ma all'ingresso di quest'ultimo lo ha visto invece improvvisamente come una vittima di se stesso e dei precedenti umani ed ambientali che lo avevano portato ad agire in quel modo e che la medesima reazione aveva avuto contemporaneamente sua moglie.
In ordine invece ad una eventuale iniziativa da parte di Chiatti di avere un contatto con lui, sinceramente dichiara di non sapere quale esatta reazione potrebbe avere trovandoselo faccia a faccia.
Sicuramente gli fa pena perché è convinto che è quello che è in quanto certamente condizionato dagli altri e lui lo ha perdonato.
Se invece dovesse ricevere una sua lettera gli risponderebbe sicuramente confermandogli che Lorenzo lo ha perdonato per quello che gli ha fatto.
Riguardo poi all'ultimo quesito risponderebbe che se fosse nelle sue disponibilità, farebbe in modo che si creasse in tutto il mondo una sana democrazia improntata al massimo rispetto reciproco.
Sotto questo aspetto, conclude che la nostra esperienza potrebbe essere di massima utilità.

Teti - Chiede all'ospite come abbia reagito alla sofferenza in considerazione anche della sua intensità e come vive oggi le piccole sofferenze e le emozioni del quotidiano.

Paolucci - Dichiara di essere oggi molto più sensibile di quanto lo fosse un tempo e quindi di attivarsi dinanzi ad ogni forma di sofferenza per cercare di portare quanto più possibile il suo aiuto.

Teti - Ne prende atto dichiarando che la sua opinione propendeva invece per una reazione contraria a quella esposta da Paolucci.

Martel - Richiamandosi ad uno scritto letto nel '94 sul problema del recupero della fede, sottolinea come ognuno di noi sia destinato a raggiungere nuovi traguardi solo attraverso la sofferenza.
Ricorda come fosse stata evidenziata allora l'equazione ugual premio/uguale sofferenza.
Chiede quindi a Paolucci se ritiene che l'avere vissuto una sofferenza come quella da lui provata sia stato lo strumento per ottenere il privilegio di conoscere l'Aldilà.

Paolucci - Secondo lui non esiste una simile equazione.
Sicuramente l'emozione lo ha aiutato ma non vi è alcun rapporto, a suo parere, tra la scoperta di questi nuovi valori e l'intensità della sofferenza.

Cristina Nutrizio - Si richiama a quanto in precedenza osservato da Paolucci in ordine alla necessità che venga diffuso il più possibile, nel mondo, il senso di democrazia, ricordando che negli Stati Uniti, universalmente riconosciuti come il Paese democratico per eccellenza, è in vigore la pena di morte e viene riconosciuta la responsabilità per reati come quello che lo ha colpito anche ai minori ed agli incapaci.

Paolucci - Ricorda di essersi già espresso ufficialmente contro la pena di morte in occasione di un incontro con il giornalista Enzo Biagi.
Infatti la vita è un bene prezioso ed inalienabile per chiunque, ma proprio per questo non va sprecato.
Chi muore ha in un certo senso raggiunto una soluzione mentre chi ha ucciso ha rovinato per sempre la sua vita a venire.
Bisogna quindi innanzi tutto avere rispetto della propria vita non facendo del male agli altri.

Vaiana - Si riporta a quanto in precedenza affermato da Paolucci per chiedergli cosa lo porta a sostenere che non saprebbe cosa fare se si trovasse improvvisamente a tu per tu con Chiatti.

Paolucci - Ribadisce che non è in condizioni di sapere con certezza quale potrebbe essere la sua reazione in una simile circostanza.
Sostiene poi che ritiene assai difficile che una persona come Chiatti possa ritornare normale; se così fosse potrebbe tornare anche libero, ma proverebbe certamente una indicibile sofferenza per il profondo rimorso che lo assalirebbe nel prendere piena coscienza del proprio operato.

Aparo - Tiene a ricordare che stiamo parlando con una persona che si è confrontata coraggiosamente con i propri limiti, ma che non possiamo pretendere che questa persona abbia polverizzato ogni limite.

Nieto - Chiede all'ospite se prima dell'evento che lo ha colpito non avesse mai assunto a sua volta il ruolo di carnefice e, in caso positivo, che approccio ha avuto con la sua vittima, allora ed oggi.

Paolucci - Confessa di essere stato in passato molto violento, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze del suo operato. Se però vedeva un atto di violenza esterna, anche allora interveniva per prendere le difese del più debole.
Ora invece non riesce più ad essere aggressivo come un tempo. Si ricorda che due anni fa, dinanzi ad una aggressione subita stava per reagire, ma si è fermato dinanzi alle scuse che l'altro gli ha tempestivamente presentato.
Ora l'unico modo per essere carnefice può essere solo nei confronti della propria famiglia, nel trascurarla per impegni esterni.

Carrino - Nella ricerca delle attribuzioni di responsabilità per il proprio operato sostiene, come già in passato, di sentirsi l'unico responsabile delle proprie azioni; ma vi possono essere anche dei fattori esterni che possano condizionare in modo determinante?

Paolucci - Sostiene che tutti noi facciamo parte della Società per cui sicuramente ciascuno ha, chi più chi meno, una parte di responsabilità, lui compreso.
Infatti il male della Società è quello di ignorare certi problemi e dimostrarsi indifferente a certe situazioni.
E' convinto ad esempio che non siamo un Paese razzista, ma abbiamo atteggiamenti ostili nei confronti degli extracomunitari perché temiamo che vengano ad occupare il nostro spazio.
Bisogna a tale riguardo organizzare sicuramente l'accoglienza, ma dovremmo prima di tutto adoperarci per aiutare le persone nel loro ambito originario. In fin dei conti il Mondo intero deve essere considerato casa nostra.

Teti - Ritornando al tema specifico di Chiatti, chiede a Paolucci se lui crede veramente che possa un giorno guarire.

Paolucci - Sostiene che il pedofilo non potrà mai guarire in quanto, trovandosi di fronte ad una certa situazione, scatta irrimediabilmente la sua reazione; capisce che è sbagliato ma pur tuttavia è più forte di lui e si giustifica attribuendo la responsabilità ad altri.
Bisogna quindi ritornare alla radice e alla origine degli eventi se si vuol ottenere un qualche risultato positivo.

Gianquitto - Premette che all'inizio aveva delle perplessità nei confronti di Paolucci ma che poi, ascoltandolo, si è dovuto ricredere valutandolo una persona profondamente sincera.
Ha anche la sensazione, pur non avendolo conosciuto prima, che egli abbia maturato un sicuro miglioramento. Chiede pertanto se ritiene che per ottenere certi miglioramenti sia necessario subire direttamente certe sofferenze.

Paolucci - Risponde che non è questo l'aspetto del problema. Tutte le persone hanno del buono dentro di sé ma si vergognano di esprimerlo.
Richiamandosi alla esperienza odierna , dichiara che è la prima volta che oltrepassa le mura di un carcere, ma questo confronto sostenuto oggi gli ha dato l'impressione di trovarsi di fronte a persone eccezionali.
Ognuno dei presenti potrebbe, con la sua storia, essere di estrema utilità alla Società esterna.
E' anche convinto che alla fine del nostro lavoro la documentazione raccolta possa dare innumerevoli frutti positivi.

Diego - Chiede a Paolucci se l'Associazione che lui rappresenta è sostenuta da qualcuno e se questo incontro può far si che venga portata al di fuori la sofferenza del carcere per poterla confrontare con la sofferenza esterna.

Paolucci - Ribadisce che personalmente non ha certo la sensazione di trovarsi al cospetto di delinquenti, ma aggiunge che le finalità dell'Associazione non contemplano il rapporto con i detenuti ma si prefiggono essenzialmente di aiutare i bambini mettendo a contatto i propri figli con quelli degli altri.
In particolare, per portare un esempio, ricorda il fatto di aver aiutato una famiglia che aveva subito una esperienza di violenza ospitandola presso di loro. In questo modo il bambino è stato insieme ai loro figli e questo fatto ha avuto per lui una valenza terapeutica sicuramente superiore a quella di una seduta di analisi con lo psicanalista.

Attardo - Illustrando la nostra posizione dichiara che molti di noi, se non la totalità, ha subito dei torti e questa circostanza è divenuto motivo per separarci e giustificare il nostro operato.
Avremmo quindi bisogno di un percorso alternativo.

Paolucci - Ritiene che la soluzione sia quella di guardare al futuro facendo tesoro degli errori commessi. Il comprendere i propri errori può essere condizione per aiutare gli altri a capire.
Non solo quindi ci si può riscattare nei confronti di noi stessi, ma possiamo anche essere particolarmente utili agli altri mettendo a loro disposizione la nostra esperienza.
Invita quindi ognuno a parlare della propria.

Carlo Grande - Riprendendo il tema della sofferenza s'interroga se esiste, e in caso positivo quale è, il momento in cui la sofferenza raggiunge un livello tale da rendere ognuno cosciente del proprio errore tanto da fargli iniziare un nuovo percorso.

Carrino - Ricorda che in un primo momento voleva farla finita, tanto che è stato salvato in extremis da un tentativo di suicidio.
Un giorno però suo figlio, in occasione di un colloquio avuto in carcere, ha detto: "Non voglio che papà muoia!". Questa è stata la sua ancora di salvezza e l'inizio del suo recupero.

Diego - Sostiene che anche lui ha avuto un grande aiuto dai figli e ribadisce che ognuno si può e si deve aggrappare a qualcosa o a qualcuno per superare il suo stato di disperazione.

Gianquitto - Afferma che in carcere gli è scattata la molla di migliorarsi in senso egoistico, cercando di utilizzare il tempo per curare il proprio fisico ed arricchirsi culturalmente.

Stefanini - Dichiara di essere nato in un quartiere dove delinquere era abituale.
La sua vita è sta quindi una continua trasgressione ed un peregrinare da un carcere all'altro.
Proprio all'interno del carcere ha avuto però l'occasione di conoscere dei personaggi che gli hanno fatto svelato dei valori da lui sempre ignorati o trascurati.

Teti - Ribadisce che la sua maggiore angoscia è dovuta al dolore che ha reso, con la sua condizione, alla propria moglie e ai propri figli.
Solo il lavoro recentemente intrapreso con il Gruppo lo aiuta ad esprimersi e contestualmente a non fissarsi su questo problema.

Mariella Tanzarella - Chiede di poter avere maggiori notizie sulla Associazione rappresentata da Paolucci e su cosa fanno in concreto gli associati.

Paolucci - Dichiara di essere l'unico, all'interno dell'Associazione, ad aver subito una esperienza come la sua; gli altri sono tutte persone normali.
Attivi sono solo una decina e hanno previsto un incontro mensile per dibattere i vari problemi.

Cristina Nutrizio - Fa riferimento alla recente trasmissione Porta a Porta che lo ha visto tra gli ospiti per chiedergli come si è sentito di fronte alle opposte reazioni avute dalle altre due famiglie invitate e se il suo atteggiamento cristiano è stato attaccato da qualcuno.

Paolucci - La trasmissione è certamente da censurare; sia sotto il profilo della partecipazione in quanto i politici in particolare si sono dimostrati assolutamente indifferenti ai problemi reali dibattuti, premurandosi unicamente di coordinare la schermaglia con i rispettivi oppositori.
In ordine invece alla partecipazione delle altre famiglie, era palese che quella che si trovava dietro di lui aveva profittato dell'occasione per dare libero sfogo alla loro rabbia, essendo stata la loro figlia uccisa solo pochi mesi prima.

Scravaglieri - Chiede quale sia il rapporto che ha avuto all'inizio con gli Allegretti, genitori dell'altra vittima di Chiatti, e quale sia quello attuale.

Paolucci - Afferma che gli Allegretti non hanno avuto la forza di reagire e sono divenuti dei morti viventi, chiusi nel loro dolore.
Il padre ha addirittura smesso di lavorare e vivono isolati dal resto del mondo.

Martel - Ricorda che anche lui, nei primi anni passati nel Reparto di Massima Sorveglianza, si era posto il problema della sopravvivenza e lo aveva fortunatamente superato scegliendo la vita.
Chiede quindi a Paolucci cosa pensi del futuro.

Paolucci - Ribadisce che si può e si deve sicuramente migliorare, ma si può raggiungere un risultato seriamente e concretamente positivo solo con l'apporto di tutti.
E' necessario un continuo scambio di idee e di esperienze per aiutarsi reciprocamente a non sbagliare. L'inedia è infatti il massimo dei mali.