GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE

da Silvia Casanova

05-02-2005

Il gruppo si apre con “Lettera dalla madre”, uno scritto di Silvia che tratta del tema del Figliol Prodigo.

Armando interviene per primo: Nello scritto trovo diversi punti significativi. Il primo somiglia a un tentativo della madre di giustificarsi col figlio; il secondo riguarda la partenza del figlio da casa e comprende una riflessione della madre sulle sue mancanze nei confronti del figlio; il terzo esprime la rabbia di questa madre per non aver compreso le esigenze di suo figlio (non ha aiutato a far crescere i sogni del figlio, con il risultato che il carico di aspettative è solo sulle spalle di lui); infine si coglie che la madre vorrebbe conoscere davvero chi ha cresciuto e non più specchiarsi in lui.

Marcello sottolinea la frase: “…troppo debole per non amare le tue debolezze…” e dice che in questo modo la madre afferma e ammette di essere stata in qualche misura colpevole.

Enzo interpreta lo scritto come un desiderio della scrivente: “è una ricerca di come vorresti che questa ipotetica madre si fosse comportata con te. Forse avresti voluto essere cercata di più, coccolata di più, forse vorresti che tua madre ti dicesse quello che hai fatto dire alla madre dello scritto.”

Armando: Ti sei fatta un regalo per il tuo venticinquesimo compleanno. Senti di aver voglia di esprimere che è giunto il momento per sfruttare la tua farina, per fare un tuo cammino personale e indipendente dal passato.

Enzo: Immagino che durante la strada tu abbia perso qualcosa… devi ricongiungere delle parti.

Giovanni: Vuole riprendersi la cassetta degli attrezzi di cui Silvia parla sempre.

Armando: l’uomo curvo è la parte che le manca. Scrivendo questo, esprime un desiderio di completezza.

Aparo: la madre denuncia più o meno esplicitamente le proprie responsabilità sulla relazione problematica tra padre e figlio.

Eric: è un messaggio di un figlio al genitore. La frase “…tu troppo indifeso per difenderti dai miei sogni svaniti…” la sento molto vera.

Enzo: in realtà ora mi sembra uno scritto che ha per tema centrale il rancore; non verso il padre ma verso la madre che, anziché mediare, ha diviso.

Aparo:  lo scritto può essere inteso anche come un discorso di chi scrive con se stesso. Una parte dice all’altra: ti ho coperto troppo con le mie fantasie di perfezione; ti ho protetto fino a ostacolare il tuo rapporto con tuo padre e col mondo e la tua evoluzione. La protezione ha attutito le frustrazioni, ma ha anche ovattato la capacità di sognare e di potersi esprimere spontaneamente, con il risultato che la parte piccola è scappata. La  protezione ha ostacolato la possibilità della parte più piccola di fare esperienza delle sue fragilità di fronte al padre e alle pressioni della realtà.

Massimo: sento il timore della madre di aver trasmesso oltre ai suoi sogni, anche il suo rancore.

Tirelli: questa madre ha agito il proprio rancore attuando una protezione soffocante nei confronti del figlio.

Nicola: sento il tema del rancore e la paura che non possa esserci più il tempo per rimediare ai danni fatti. Mi viene in mente una canzone di De Andrè, in cui c’è una frase che dice così: Come potrò dire a mia madre che ho paura?.

Dino: il rancore di questa madre è solo verso se stessa, il padre è solo un male necessario.

Eric: Silvia che scrive parla della sua rabbia verso le cose che ha dentro e verso il percorso che deve fare per tornare all’origine.

Massimo: è una richiesta di incontro sul reciproco rancore, per conoscersi sul serio.

Eric: è un invito rivolto a una parte di se stessa che desidera tornare a casa.

Walter: si parla di rancore, verso entrambi i componenti dello scritto. Il punto centrale è chi l’ha scritto; ha subito il rancore. Il rancore ti spinge in direzioni non giuste per te, ma anche l'eccessiva protezione. Una pelle che non è abituata al sole, non ha sviluppato melanina e non riesce perciò a proteggersi da sola; se si toglie d’improvviso la coperta che la protegge, la pelle si ustiona.

Chi scrive cerca di ricostruire il suo passato mettendo sul tavolo quello che ha in tasca. Mi viene in mente la cassetta degli attrezzi; ci sono strumenti da recuperare, la stima, la forza, per resistere al sole.

Non c’è stato un equilibrio giusto fra i genitori, nel loro apporto e nel loro intervento col figlio.

C’è una richiesta di incontro con la madre che è andata via; non per realizzare i vecchi sogni, ma per tornare da se stessa e riabbracciare la madre che ha dentro di sé.

Armando: Il rancore della madre è verso se stessa; non ha compreso che il padre poteva essere suo alleato per tracciare una strada. Sento il rancore dato dalla paura di non essere ancora grande abbastanza. Il rancore adesso è del figlio, verso i geni dell’incomprensione (timore di non riuscire a guardarsi con i propri occhi).

Tirelli: il rancore della madre è una difesa verso i propri fallimenti.

Enzo: può essere che il figlio ce l’abbia con il padre che non è intervenuto energicamente nella relazione vischiosa tra madre e figlio? Forse il figlio vorrebbe dire a suo padre “sei venuto solo per chiedermi di lavorare, non per darmi anche affetto”. Forse un padre più affettuoso avrebbe mosso nella madre il desiderio di allentare le tenaglie sul figlio

Marcello: la madre é impotente di fronte a una relazione guasta tra padre e figlio. Lei condivide un dolore che la lega a questo figlio, che accomuna madre e figlio di fronte al padre. La madre è vittima anch’essa di questo padre.

Walter: sento la debolezza della madre e provo tenerezza, perché si è accorta di avere sbagliato. Il padre mi ispira stima: chi l’ha detto che il lavoro era davvero troppo pesante per suo figlio? Il lavoro era un input per la costruzione. La madre portava verso il mondo dell’illusione, fra santi, santini e streghe, in cui ci si perde. La terra, invece, ti tiene ancorato a un progetto di costruzione. Ricordo quando abbiamo parlato della differenza fra il sogno e la fantasticheria.

Dino: la riflessione ora è questa: non sempre chi ti mette nei pasticci è quello che ti vuole male e chi ti toglie dai pasticci è quello che ti vuole bene.

Cristian: quando mio padre mi ha dato uno schiaffo per amore e io me ne sono andato. Ecco cosa mi ha fatto pensare questo scritto. Poi, quando sono entrato in carcere i primi a venire da me sono stati i miei genitori.