GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE

Livia Nascimben

Incontro del 24-11-2003

Tradizionalmente, nel mondo carcerario, i detenuti condannati per violenze sessuali su donne e bambini sono oggetto di giudizi severi e inappellabili da parte dei detenuti comuni. Il crimine a sfondo sessuale è considerato quanto di più orribile l’essere umano possa commettere e viene punito, dentro e fuori le mura, con l’isolamento più totale: pedofili e violentatori scontano la loro pena, in carcere, in un reparto considerato “al di fuori” dal resto della struttura, il secondo piano del sesto raggio.

Oggi Ivano si è presentato al gruppo con una riflessione attorno al tema della pedofilia e sul rapporto fra il pedofilo e i suoi interlocutori. Anziché comportarsi come abitualmente si è soliti fare in carcere, Ivano prova a considerare il mondo dove nascono e si compiono le violenze sessuali come qualcosa che appartiene anche ai detenuti rei di altri crimini e ai cittadini comuni. Col suo scritto, si rapporta alla questione in modo nuovo e rivoluzionario rispetto agli equilibri tradizionali del carcere e mette in discussione che ci sia un mondo diverso, dai confini netti e definitivi, un mondo che non gli appartiene.


Ecco un sunto della discussione che ne è seguita.

Marcello
Nello scritto mi sembra compaiano molte contraddizioni, la curiosità contrapposta alla paura, l’incertezza di considerare i pedofili malati o delinquenti.

Livia
Mi colpisce il bisogno di Ivano di interrogarsi su quanto accade dietro la porta del secondo piano per verificare se sia possibile trovare “qualcosa di comune”: la stessa curiosità che avevo io al corso sulla devianza verso un mondo sconosciuto, curiosità che mi ha portato a lavorare insieme.

Giovanni
Il problema della pedofilia e del silenzio che lo copre accomuna i detenuti e le persone che vivono all’esterno del carcere.

Ivano
Prima di dare un giudizio morale sul reato, proviamo a riflettere sul fatto che un rapinatore e un pedofilo causano entrambi danni a qualcuno, entrambi procurano sofferenza, pur trattandosi di due situazioni diverse.

Dino
Ivano non vuole porre sullo stesso piano le due persone dal punto di vista morale, ma in senso giuridico; entrambi i reati sottraggono risorse alla società. Io mi sento emotivamente d’accordo con Ivano, ma non sarei pronto ad affrontare un pedofilo in un confronto. Faccio notare che noi pretendiamo di reinserirci nella società e di essere compresi; desideriamo che non venga fatta distinzione tra noi, ex detenuti, e un cittadino libero; ma in carcere facciamo la stessa differenza fra noi e i pedofili di quella che fanno i cittadini comuni rispetto a noi detenuti.

Aniello
Secondo me, nessuno può stabilire se un pedofilo è un malato e ha bisogno di cure o se è un reo da punire con la galera.

Dino
Un pedofilo non dovrebbe arrivare in carcere. Il problema della pedofilia è sempre esistito, oggi le conoscenze sono aumentate, forse un giorno si arriverà a prevenire il problema.

Marcello
Questi discorsi a me non piacciono molto, mi fanno stare male.

Aparo
Il discorso sulla pedofilia è difficile. Come gli studenti si sono sentiti dire all’epoca del corso, è importante interrogarsi su fenomeni che sono manifestamente incomprensibili per affinare gli strumenti grazie ai quali formulare domande su questioni apparentemente più chiare e scontate. Fino a quando non si fa un discorso sulla natura e sul processo che porta alla scelta di crimini dissennati, non viene in mente di mettere in discussione le scelte personali di ogni giorno.

E’ interessante riflettere sui passaggi che conducono alla scelta: lo spazio per scegliere può essere a volte stretto, a volte più ampio, ma accade sempre che, in funzione delle microscelte compiute in precedenza, e le cui conseguenze apparivano al momento irrilevanti, si prepara il terreno per altre scelte i cui effetti potranno essere a volte devastanti e altre positivamente rivoluzionari.

Di solito, noi tutti confidiamo nella nostra capacità di scegliere; l’apparato giudiziario, a sua volta, ha bisogno di appoggiarsi su una supposta coesione interna fra ciò che il soggetto vuole e ciò che fa. Giudicare una persona che non possiede la volontà e il senso di ciò che fa renderebbe il processo e la condanna assai più problematici. E tuttavia, nella sua realtà quotidiana, ogni individuo produce ogni giorno micro-trasformazioni che portano a delle piattaforme a partire dalle quali rimangono possibili solo una gamma limitata di ulteriori scelte.

Questo vale tanto per la donna depressa che uccide il proprio bambino (in questo caso si intuisce che il suo gesto si sia verificato in una situazione psichica confusa e dove i margini di scelta erano ridotti), quanto per il rapinatore (la cui scelta si dà per scontato che sia integralmente consapevole e rispondente all’obiettivo di un guadagno economico). Ovviamente, questo processo riguarda anche il pedofilo.


Giulio
Vi racconto un episodio che mi è successo: il giorno prima di essere arrestato ho visto un pedofilo davanti ad una scuola che spaventava i bambini col suo comportamento, l’ho fermato, gli ho chiesto cosa stesse facendo e lui continuava a rispondermi “non sto facendo nulla, non sto facendo nulla”, come se non si rendesse conto della gravità di ciò che aveva fatto. Poi è giunta la polizia e lo ha arrestato.

Mariagrazia (insegnante d’arte ospite al gruppo)
Provo emozioni viscerali di disgusto verso chi infligge danno ad un bambino; secondo me la pena dovrebbe prevedere la castrazione chimica.

Dino
Il problema della pena è complesso, un pedofilo è un malato o un delinquente?
In ogni caso, con una pena che comporti un punto di non ritorno, come la castrazione, si andrebbe a creare una classe diversa di persone; peraltro questo non garantirebbe dal rischio che la malattia possa manifestarsi in altro modo o che quella stessa persona possa commettere altri reati.

 

Alla fine dell’incontro, il gruppo concorda sul fatto che Ivano ha aperto un tema delicato, dentro e fuori le mura. Ivano, però, mette in discussione la dichiarazione di completa estraneità con la quale di solito si prendono le distanze dalla pedofilia e da quanto non si capisce o risulta mostruoso: “il mondo degli uomini è vario e tutto ciò che è umano in un modo o nell’altro è intrecciato”.

E’ legittimo avere una reazione violenta nei confronti di un pedofilo? Ma il problema che ci poniamo non riguarda la liceità delle reazioni verso il comportamento del pedofilo; la questione, per buona parte del gruppo è: possiamo porci domande attorno a questo tema o no?

D’altra parte, il gruppo porta avanti una ricerca su affinità e differenze fra chi trasgredisce senza danneggiare la libertà altrui e chi abusa del proprio potere sull’altro.


Da Aparo, La tripla carcerazione

“La violenza sessuale, tanto più se su bambini, suscita in chiunque reazioni emotive molto forti. Anche le persone più tranquille e benevole si lasciano catturare da fantasie punitive molto drastiche nei confronti del violentatore. Di fronte allo stupro della donna indifesa, alla seduzione e alla violenza sui bambini, la persona che non ha un rapporto diretto con il reo viene generalmente invasa da un desiderio di vendetta che azzera la voglia di conoscere l'origine di tali comportamenti. Questo tipo di violenza suscita, infatti, una spinta a identificarsi con la vittima e un incontenibile impulso a prendere le distanze dall'aggressore: il suo comportamento viene significativamente definito "mostruoso", "bestiale", "disumano". Da qui, l'impossibilità di chiedersi quale particolare rapporto questi abbia con chi subisce la sua azione.

[…] Lasciando a chi è fuori l'indignazione, la Legge non può trascurare che chi agisce la violenza sessuale è, a sua volta, vittima coatta, incapace di riappropriarsi dei propri desideri in altro modo che non sia quello di strapparli all'altro.
Se da un lato è giusto che vi sia una condanna, dall'altro non possiamo trascurare che il violentatore, prigioniero delle vicende che lo hanno reso incapace di rispettare lo spazio dell'altro, ha bisogno di recuperare un proprio spazio per riconoscersi. L'obiettivo della Legge non può quindi limitarsi a ridurre ulteriormente gli angusti confini entro cui questi soggetti vivono, nemmeno se l‘isolamento cui essi vengono costretti in carcere risponde all'obiettivo di "proteggerli" dal giudizio e dalle rappresaglie degli altri detenuti.”