Singolari trasgressioni

Livia Nascimben

16-03-2004  

Ho iniziato a leggere lo scritto di Ivano divertita, curiosa nel vedere quale idea creativa gli fosse venuta questa volta. E il suo modo di scrivere semplice e diretto mi ha portato nel suo mondo, tra le emozioni, indietro nell'infanzia.

Mentre leggevo vedevo quel bambino giocare con la sabbia, andare avanti e indietro a prendere l'acqua dal mare, lottare contro un evento fisico naturale, arrabbiarsi nel non riuscire a riempire il suo fossato.

Lo vedevo correre dal mare al suo castello, poi, senza preavviso, mi sono rivista andare avanti indietro dalla cucina al bagno, riempire il mio stomaco per non sentire il vuoto e svuotarlo immediatamente dopo essermi riempita.

Mi sono sentita travolta da emozioni del passato e di un presente che ancora riempio e svuoto, seppur non di cibo; non mi aspettavo il colpo di scena, non era previsto essere portati da una realtà ad un'altra, non era nemmeno previsto trovarsi di fronte allo specchio e vedere che "non volevo accorgermi che potevo stare bene, che era mio diritto stare bene, che avevo il desiderio di star bene e la paura di riuscirci, come se qualcuno mi avesse detto che non lo meritavo."

Perché? Ivano di chi parla? Con chi parla? Dove si toccano le nostre esperienze, dove si separano?

"Chi lo avrebbe mai detto che un rapinatore prova emozioni simili a quelle che provi tu?" Era quasi severo Ivano quando al telefono diceva che è importante accettare il rischio di esprimere ciò che si vive quando si è con gli altri, che accumulare non riempie e che coprire non protegge. Gli ho chiesto se lui ci riesce sempre e mi ha risposto di no, per fortuna!

Una telefonata intensa, ricca, importante per me e per lui. Uno scambio di esperienze e il riconoscimento delle stesse strategie di rapportarsi a noi stessi e al mondo esterno, pur nelle differenze.

Lui si mangiava le unghie, la pelle delle dita, le mani ed era contento nel vedersi le mani gonfie e rovinate; io mi schiacciavo i brufoli martoriandomi il viso, alla faccia di chi mi diceva che mi sarebbero rimaste le ciccatrici. Io quelle volevo! Lui ricercava emozioni forti per tenerne a bada altre dolorose; a me vomitare nelle situazioni più assurde e pericolose dava la sensazione di essere potente e allontanare ogni paura. E poi la rabbia, la paura di esprimerla, il timore che l'altro non ci voglia bene e non si accorga di noi, il vuoto da riempire, il volersi punire, coprire, nascondere, mostrarsi. Tutto così simile, così vivo.

Mi sento su un confine, tra un mondo cupo e doloroso ma noto, dove ogni emozione viene accuratamente sotterrata, e un mondo più ricco, fatto di relazioni, di imprevisti, di singolari trasgressioni.