L. Nascimben, M. Macis

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Intervista sulla sfida

Prof. Fulvio Scaparro

 

Quali immagini le evoca il termine sfida?
La letteratura di viaggi, di avventura dell'800.

Quali personaggi della storia, della mitologia, della letteratura, dell'arte, della scienza o dello sport Le vengono in mente pensando alla sfida?
Di personaggi me ne vengono in mente molti. Quando io ero piccolo l'educazione maschile era centrata tradizionalmente sul tema della sfida, c'era l'idea che la vita fosse da affrontare combattendo. Al bambino maschio si diceva di non piangere e di non aver paura, ma visto che lui aveva paura e voglia di piangere, gli si doveva raccontare qualche storia: storie di gente coraggiosa che non si ferma a quello che vede e non lo accetta. Un'idea un po' eroica della vita che poi si scontra con la realtà che è più terra, terra. I personaggi che venivano presentati come modelli andavano da quelli tradizionali della mitologia a quelli delle storie d'avventura, dove il protagonista era un bambino che non aveva il padre o la madre, o che comunque era sfigato in partenza, che poi, grazie alle sue risorse e all'incontro con qualche modello o personaggio importante, si tirava fuori e viaggiava con le proprie gambe. Per esempio le storie di Stevenson, come "L'isola del tesoro", o di Conrad.

Possiamo provare a individuare alcune categorie di sfida? Quanti tipi di sfida esistono?
Ci sono tante possibilità di categorizzazione, ma in questo momento mi viene in mente una distinzione fra SFIDA INTERIORE e SFIDA PUBBLICA.

La sfida interiore è qualcosa che io faccio con me stesso, cercando di non farmi condizionare dall'esterno. Si tratta delle mie mete, dei miei obiettivi… che presuppongono un impegno e un coraggio. Il coraggio sta nel muoversi da una posizione di comodo già raggiunta. Esiste una vita che ognuno di noi ha conquistato, che può non essere un granché ma è abbastanza sicura; "…e chi me lo fa fare di andare a cercare le rogne altrove, anche se questo mi porterebbe ad un livello diverso di vita?" Questa possibilità di muoversi non tutti la attuano.

L'altra è quella della sfida pubblica, nel senso che voglio provare a vedere se riesco, ad es., a fare la maratona di New York; questo è un limite che mi sono posto, "ci riesco o non ci riesco?" Però è chiaro che se me lo tengo come mio desiderio personale, a un certo punto, posso anche non farla e non succede niente, ma se lo dico a tutti quanti, si creano delle aspettative, e tu sei impegnato e trascinato ad accettare una prova che da solo magari avresti già mollato; per questo dico "privata" e "pubblica".

Per avere un riferimento letterario di cosa si intende per sfida "privata" e "pubblica" basta leggere un libro, oggi non più diffuso, che si intitola "Tartarino di Tarascona" di Alphonse Daudet. Mostra un personaggio che di per sé sarebbe "un pantofolaio" e che però pubblicamente passa, per motivi misteriosi, come un eroe, uno che ha viaggiato tanto anche se non si era mai mosso dal suo paese. Lui deve vivere all'altezza delle attese dei concittadini anche se non ha nessuna voglia di farlo.


Quali possono essere le cause e le finalità che spingono individui a rischiare lanciando delle sfida? Cosa sta alla base di una sfida?
Noi siamo fatti letteralmente in questo modo: per sfidare.

Il mio campo di osservazione è il bambino piccolo, che è curioso a 360 gradi anche se ha dei mezzi fisici limitati: il bambino appena nato non è autonomo, ma mostra immediatamente l'interesse per l'ambiente, l'ambiente corpo della madre e piano piano tutto il resto.

E allora la domanda è "perché noi non siamo più così?" Non mi devo porre il problema di che cos'è la sfida; è la nostra natura. L'essere umano è diventato uno dei dominatori del mondo, perché è un essere curioso e avventuroso (gli altri dominatori sono i batteri e i germi, ma siccome sono poco visibili, noi pensiamo che non esistono, ma sono loro che mandano avanti questo mondo…). Il tema della sfida è connaturato all'essere umano. L'essere umano se non fosse naturalmente aggressivo e curioso non sarebbe andato avanti. Il problema è capire come mai non viene rispettato quest'aspetto, o meglio, come mai avviene la trasformazione di una sfida in un'apparenza di sfida.

Un individuo non nasce sfigato o timoroso, nasce essere umano, membro della specie umana, che, come tutte le altre, ha alcuni dati di fatto che non cambiano. Poi culturalmente diventiamo altro: diventiamo opportunisti, cioè sfidiamo solo quando è strettamente necessario, oppure, meglio ancora, abbiamo scoperto che possiamo far finta d'essere gente coraggiosa.

Il coraggio ce l'ha un uomo o una donna che non ha una lira, lavora dalla mattina alla sera, per vivere deve affrontare quotidianamente delle sfide e non ha nessuna soddisfazione: questo è un uomo coraggioso, ma nessuno se ne occuperà. Anzi molti diranno "questo qui ha la sfiga, speriamo di non diventare mai come lui "; in realtà è uno che sa affrontare la vita per quello che è, ma non fa audience.


Che rapporto c'è fra sfida e narcisismo?
Ne ho già parlato facendo la distinzione fra sfida privata e pubblica.

La sfida è il prodotto della mia relazione con gli altri, sono di fatto condizionato dall'altro e dal fatto che io voglio apparire in un certo modo, non sono totalmente me stesso. Io mi specchio nella sfida. Do un giudizio su di me o voglio che gli altri me lo diano. Questo è un tipo di sfida che fa parte della nostra natura. Oggi è prevalente. Il narcisismo è in auge. Tant'è vero che stiamo parlando della sfida dello sportivo e non parliamo della sfida del quotidiano: il coraggio di vivere senza rubare e senza ammazzare.


E fra sfida e conflitto?
Questo è per noi pane di tutti i giorni!

Tartarino di Tarascona vive in una casa tranquilla, la mattina si sveglia e Rosina, la sua governante, gli porta sempre la cioccolata con i biscotti. Vive da pantofolaio e gli piace, però sente la pressione del paese che gli chiede quando farà il prossimo viaggio e lui deve rispondere.

Questo è il conflitto. All'interno del personaggio convivono due personaggi. Questo è il nostro conflitto, questa è la sfida. Il conflitto non ci sarebbe se noi fossimo o tutti pantofolai o tutti avventurieri. Secondo me noi siamo così, mezzo pantofolai e mezzo avventurosi: sono due parti della nostra personalità da rispettare, troppo pantofolaio fa male, troppo avventuroso senza una base da mantenere diventa temerario.

Noi abbiamo risolto il nostro conflitto facendo finta di fare delle sfide. E' preoccupante oggi che ci siano molti individui che risolvono il problema dell'avventura guardandosi un film in televisione, vivendo emotivamente la sfida, purtroppo però senza muoversi dalla poltrona ma viaggiando di fantasia. La sfida vera comporta un rischio vero; se tu non prendi questo rischio, tutto il resto è fantasia.

Cosa rimane ad una persona di una sfida?
Intanto bisognerebbe vedere come si è conclusa.
In generale, se per sfida si intende una messa alla prova personale, tentare i limiti, lottare con limiti culturali, fisici, psichici, chi lo fa ne parla con orgoglio; noi siamo contenti quando abbiamo rispettato la nostra natura.

Molte persone quando dicono "quello è un matto, ha passato la nottata a dormire a 800 metri". Questa è una sfida: lì, in quel momento non c'era nessuno e potevi crepare nell'assoluta indifferenza dell'umanità, ti sarai chiesto chi te lo fa fare. Una persona normale se lo chiede.

Tu sei una persona coraggiosa se hai paura; se sei pazzo come un cavallo quello non è coraggio e non è neppure sfida. Anche quelli che noi consideriamo degli eroi o dei miti della sfida sono persone che hanno paura. Allora la domanda è: perché lo fai? Certo, c'è lo sponsor che ti dà soldi, ma molti compiono imprese al limite senza prendere una lira, e allora vuol dire che ti rimane qualcosa dentro: tu ti misuri e ti senti più forte internamente.


C'è un'età in cui la sfida è più frequente?
I primi anni dopo la nascita sono una sfida continua, anche se non si è coscienti di sfidare; il bambino fa quello che la natura gi dice di fare. Ma la sfida vera è quando io conosco il rischio e malgrado questo sfido.

L'adolescente, da questo punto di vista, è il massimo perché ha coscienza del rischio, ma non ha il senso del limite. L'adolescente, se corre come un pazzo con la moto senza casco e contromano è consapevole di quel che fa, nel senso che a tavolino è cosciente di tutti i rischi, ma in quel momento è inebriato dalla sua sfida: "se va, posso raccontarla a questo e quell'altro, ho fregato questo e quest'altro." Nell'adolescenza è normale tentare e andare a vedere fin dove ci si può spingere, sarebbe preoccupante il contrario; e questo è uno dei motivi per cui un adolescente ha bisogno sempre di una guida che gli indichi fin dove può spingersi a misurarsi, altrimenti non ci sarebbe per lui nessun limite alla trasgressione.

Nell'adolescenza entra in gioco anche la parte pubblica: non sfido solo per me stesso, ma anche perché gli altri mi devono accettare. E' una situazione pericolosa perché c'è anche una spinta sociale dei suoi pari. Ciò vale sia per i ragazzi che per le ragazze.

Per il resto, la sfida è presente a tutte le età; anche a 90 anni se hai ancora le forze, anche intellettuali, sfidi o altrimenti è finita la vita.


Quali differenze e analogie possiamo cogliere fra la sfida di un adolescente e quella di un adulto?
In sostanza, c'è l'idea di dare un senso personale alla vita; devo costruirmi la vita tenendo presente quali siano le mie risorse, sfruttandole al massimo considerando anche quali siano i limiti; per entrambi la sfida nasce dalla non accettazione dell'esistente. L'età non fa passare la voglia di sfidare; la maggior parte delle parsone fa una punta massima di prove dopo di che si mette in riposo; ma si può andare in pensione anche a 18 anni.

Se noi teniamo presente il rispetto per quel che siamo, sia l'adolescente che l'adulto hanno questo compito evolutivo. L'adolescente siccome sta provando quali sono i suoi limiti, non ha la stessa "saggezza" dell'adulto. Ma non è saggezza non sfidare più, quello è opportunismo che fa male perché hai smesso di crescere e diventi "parolaio": "questo non sa far questo, quello è matto, io ai tempi miei.." e fai il tifo per chi le sfide le fa sul serio: tu non fai niente però agisci tramite terzi, faccio il tifo per Totti, ma io non attraverso nemmeno la strada senza prendere la macchina.
Potresti non far male a nessuno, in realtà diventi, molte volte, cattivo, pretenzioso, vuoi dagli altri ciò che tu non fai. Basta andare in un bar per trovare esempi di persone che non sfidano e stanno bene aggrappati ai propri privilegi; però sono cattivissimi con tutti quanti, chiacchierano, ma le chiacchiere poi diventano pericolose perché si trasformano in un voto. A questo punto il pantofolaio è diventato più pericoloso dell'avventuroso, perché il pantofolaio vota, l'avventuroso viaggia.

C'è poi una sfida a non fare, a non dire. La sfida non è sempre un agire. Esiste anche la sfida in cui ci si impegna a non reagire, ad esempio di fronte alla provocazione, dove la sfida diventa il riuscire a rispondere su un altro registro, evitando che la provocazione determini la qualità dello scambio fra le due persone.


La sfida della donna è diversa da quella dell'uomo?
Il fatto che il maschio facesse in passato alcune cose pericolose che la donna non faceva (la guerra e il cacciare) ha alimentato l'idea che la sfida fosse solo maschile; ma la donna ne ha di quotidiane, solo che non sono quelle che non fanno spettacolo.

Ciò è una conferma di quello che stiamo dicendo oggi: esiste una sfida personale e la sfida per la gente, tant'è vero che la donna ha mediamente un'interiorità più ricca, più complessa rispetto all'uomo. La sfida è anche il riuscire a tener insieme l'essere donna, madre, amante, lavoratrice.

La donna è curiosa almeno quanto l'uomo, vogliosa di non essere pantofolaia almeno quanto l'uomo, soltanto che le manifestazioni nel corso dei millenni hanno fatto in modo che la donna avesse questa immagine sempre poco legata alla sfida pubblica.

La questione oggi si sta modificando, anche se ci sono molti pregiudizi: "datemi uno spazio e vi farò vedere io cosa diventerò". In alcuni campi la donna marcia un po' meglio, nel cinema, in letteratura, ma sempre con fatica perché chi giudica poi sono i maschi.
Quando poi la donna comincerà ad uscire fuori dal voler sempre rappresentare il proprio mondo e fare quello che ha fatto anche il maschio e rappresentare vari mondi, e toccare i temi dell'avventura avrà lo stesso successo dell'uomo.


Secondo lei, oggi la nostra società lancia dei messaggi di sfida al cittadino?
La società? Non la conosco! Per me esistono degli individui e delle organizzazioni. Anche lo Stato è un termine troppo vago, posso parlare di alcuni personaggi, di un governo, di un partito, di un movimento.. che può lanciare delle sfide, non lo Stato, non la Società.

Chi governa dà a chi l'ha votato l'idea di partecipare ad un grande progetto di trasformazione per il quale ci vuole coraggio: palle, palle storiche! D'altra parte come si fa a mandare un soldato in guerra a farsi ammazzare con una bella bandiera e una fanfara, gli devi raccontare qualcosa che lo motivi, deve andarci con una "droga". La droga può essere questa: te la racconto tanto bene per cui ti senti il difensore dell'umanità che lotta contro il nemico. O muori tu o muore lui. Noi abbiamo dei "maestri" che raccontano come deve essere la sfida, come deve apparire, poi nella sostanza è tutta un'altra faccenda. Le sfide vere ci sono, ma sono quelle più intime, più quotidiane. Oppure quelle di grandi personaggi.

Il clima culturale nel quale noi viviamo è tendente a "far vedere che" e non a essere. Noi potremmo per 15 giorni non farci vedere da nessuno e poi inventarci una storia, un'avventura e noi siamo quella cosa lì, abbiamo fatto quel viaggio, abbiamo sfidato. Oggi noi viviamo in una cultura di sfida virtuale, nel senso che a parole siamo tutti il padre eterno. Basta entrare in un salotto e ascoltare discorsi sul tema del viaggio: tutti viaggiano come dei disperati anche se vanno in posti dove in altri tempi si sarebbe andati solo per disgrazia o per lavoro. La sfida è: prendo un aereo e vado in Patagonia. E' una sfida molto relativa perché è molto protetta poi ce la si gioca pubblicamente e gli altri dicono "lui è quello che è stato in Patagonia" quindi posso parlare della Patagonia.

Tutte le sfide di oggi presuppongono il fatto che "a forza di pregare ti viene la vocazione" quindi a forza di viaggiare diventi un viaggiatore, ma non è così.

Le sfide sono preparate, elaborate, faticose, passo per passo te le fai tutte quante; poi ci sono le scorciatoie, c'è molta gente arrogante e senza sostanza che di fronte ad una sfida vera scappa.

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Breve scheda e riferimenti bibliografici di Fulvio Scaparro