Livia Nascimben, Cosimo Colbertaldo

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Intervista sulla sfida


Prof. Pasquale Ferrante

Docente di virologia



Senza pensarci troppo, quali immagini Le evoca il termine sfida?
Vedo la parola sfida come sinonimo di obiettivi da raggiungere. Qualcosa che non abbiamo ancora fatto e che vogliamo fare è una sfida. Sul lavoro è una parola che utilizzo molto spesso in questi termini.

Quali possono essere le cause e le finalità che spingono gli individui a rischiare lanciando delle sfide? Cosa sta alla base di una sfida?
Secondo me, alla base della sfida c'è sempre la voglia di verificare il proprio potenziale, di verificarsi sia nel confronto con gli altri sia in relazione alle proprie preoccupazioni o alla percezione dei propri limiti.

Un individuo si mette in discussione con una sfida: partecipare ad incontri o a convegni in cui vengono poste domande difficili e cercare di rispondere; mettere in campo un tipo di lavoro che non si è mai fatto -e, in questo caso, penso si sfidi perché si vuole andare oltre i limiti della propria posizione attuale-, vedere fin dove si può arrivare, andare oltre i propri limiti, quelli che possono essere i limiti percepiti. A volte si ricevono dall'esterno, con comunicazioni dirette o indirette, dei messaggi che sembrano inquadrarti o metterti in una certa posizione e tu vuoi dimostrare agli altri e a te stesso che non sei in quella posizione.

Noi ricercatori abbiamo come obiettivo la pubblicazione dei nostri risultati: più la rivista a cui mandiamo i risultati è importante, più la sfida è difficile. Generalmente un giovane ricercatore alle prime armi parte da riviste di livello basso, poi l'ambizione diviene quella di pubblicare in riviste di più alto livello. Una voglia quasi automatica di andare a verificare se sei migliorato, se sei andato oltre i tuoi limiti.

Possiamo provare a individuare alcune categorie di sfida? Quanti tipi di sfida esistono?
La sfida è una costante nella vita dell'uomo:

Che rapporto c'è, secondo Lei, fra sfida ed evoluzione?
Da questo punto di vista mi trovate "allenato": questa è una delle questioni più stimolanti a cui ho pensato cercando di mettere insieme la materia di cui mi occupo, la virologia, con la partecipazione al Gruppo della Trasgressione.

Penso che ci sia un rapporto molto importante fra sfida ed evoluzione, anche da un punto di vista puramente biologico. Sono convinto che l'evoluzione della vita, più o meno consciamente, a secondo del livello (per l'uomo molte delle cose sono consce; nei processi biologici, no) sia una continua sfida: l'adattamento come risultato di una sfida continua.

Agli stadi più elementari della biologia, la trascrizione del codice genetico è una specie di sfida inconscia che mette in campo dell'acido nucleico per riuscire ad adattarsi al meglio alle condizioni ambientali e quindi essere efficace nella riproduzione.

In questo senso penso che nel divenire della vita siano impliciti il concetto di trasgressione e quello di sfida.

Nel momento in cui un codice genetico si trascrive, il potenziale errore nella sua trascrizione è insito nel codice genetico stesso, vuol dire che le specie che si evolvono hanno intrinsecamente un potenziale evolutivo, e questo potenziale evolutivo spesso si associa con la possibilità di trasgredire al proprio codice genetico e quindi derogare dalla regola; la regola è quella dell'immobilità e della perpetuazione sempre uguale a se stessa di ciò che è scritto nel codice genetico. Sfidare significa trasgredire e ciò è fondamentale per l'evoluzione.

Nel momento in cui, nel caso dei virus, si formano particelle virali "sbagliate", come risultato di questa capacità di trasgredire dal proprio codice, si creano le condizioni per evolvere e sfuggire al controllo del sistema immunitario; senza questo, molti virus non resisterebbero.

Penso che a livello degli organismi superiori, la sfida come variazione dal proprio codice, biologicamente parlando, sia un sistema per evolvere.

I grandi navigatori hanno "sfidato l'oceano" e portato alla scoperta di continenti che non si conoscevano. Ciò ha cambiato la vita dell'uomo sulla terra. Penso che questo sia derivato da un concetto di sfida e anche intrinsecamente di trasgressione: chi ha sfidato il mare era un individuo che per una serie di motivi non è stato nel suo tran tran, nella comodità della sua vita quotidiana, ma ha deciso di andare oltre.

Nel quotidiano, in tutte le professioni, è fondamentale un equilibrio fra il trasgredire e il rispettare regole e codici: è fondamentale nella professione di medico, ad esempio, che ci siano tantissimi medici che fanno le cose così come è scritto debbano essere fatte, però è fondamentale che ci sia un numero inferiore ma sufficiente di medici che sfidino ciò che si è fatto e lo mettano in discussione, perché se questo non avvenisse, non ci sarebbe evoluzione della scienza. Le due cose vanno di pari passo. Io non esalto il concetto di sfida, la realtà attuale è fatta di regole, di codici di comportamento, mentre li rispettiamo dobbiamo sfidarli e creare le basi per una loro evoluzione, per un loro cambiamento.

Ciò vale per tutto, vale anche per i pensieri: nel momento in cui sto parlando con voi ed esprimo un pensiero mi viene spontaneo metterlo subito in discussione perché, mentre lo sto formulando, mi rendo conto che la sua fissità non è sufficiente a spiegare quel che vorrei dire e quindi dovrei già essere in grado di modificarlo. Sono convinto che ci sia un legame fortissimo fra sfida ed evoluzione, sia in termini biologici sia in termini di società.

Lo stesso discorso è riproducibile, infatti, anche per la società. Non so se poi mi farete domande in questo senso, ma una sfida alle regole è comunque sempre necessaria perché le regole e le leggi sono state scritte dall'uomo e probabilmente sono attagliate ad una certa dimensione e ad una certa epoca: una sfida è necessaria per andare oltre. D'altro canto, sono convinto che, perché le cose possano funzionare, la maggioranza delle persone debba seguire dei criteri, delle norme che garantiscano un certo risultato; la proiezione verso l'evoluzione, il futuro, il miglioramento non può non tener conto del senso e della funzionalità degli equilibri attuali.

Che rapporto c'è fra sfida e conflitto?
Nel momento in cui metto in campo una sfida si genera un conflitto.

Tenendo presente che intendo per sfida la voglia di crescere, questa è sicuramente generatrice di conflitti, all'interno della persona e col mondo circostante.

Ovviamente non parlo della sfida con un altro: due laboratori che vogliono arrivare primi sembrerebbero in conflitto, ma se sono due laboratori seri, c'è una competizione leale fra di loro. In questo caso il conflitto non è doloroso: ci sono due individui che fanno lo stesso mestiere e che, come due corridori di macchina, se sono corretti e giocano in pista, non sono in conflitto, mettono in campo una sfida che è fatta entro certe regole.

Nella conferenza che ha tenuto in carcere, Lei diceva che il virus non produce sostanze tossiche ma compete con la cellula per la riproduzione; anche questa può considerarsi una sfida?
In una certa misura può essere considerata una sfida: la sfida che il virus mette in campo è quella della sua moltiplicazione; per combinazione, per il caso, e continuo a enfatizzarlo, la moltiplicazione di un virus può avvenire solo in una cellula. Nel momento in cui il virus si moltiplica danneggia la cellula, la danneggia semplicemente per un mancato funzionamento: se il virus per produrre le proprie proteine, il proprio acido nucleico, utilizza sostanze cellulari, la cellula ne ha un danno, un ipofunzionamento o la morte della cellula stessa.

Il concetto che volevo esprimere in quella sede era che il virus non è una macchina costruita per procurare un danno, non ci sono tossine, non ci sono veleni, come per esempio i batteri. Pensate ai serpenti, sono organismi complessi, se tu li aggredisci ti inoculano un veleno e muori, questa è una modalità di danno voluta, fatta per sopravvivere ma anche per danneggiare qualcosa. Se consideriamo i virus, invece, siamo in una situazione in cui la propria voglia di replicarsi, limitata all'interno delle cellule, quando si realizza, danneggia le cellule.

E' una sfida perché il virus deve mettere in campo un potenziale che gli permetta di essere più efficace della cellula nel moltiplicarsi. La sfida è: riuscirà l'acido nucleico a moltiplicarsi? Ogni volta che un virus entra in un organismo le possibilità di insuccesso sono elevatissime, per lui è veramente una sfida.

Nella sua esperienza in carcere, nel rapporto con persone che hanno avuto comportamenti devianti ha riconosciuto questa stessa spinta alla sfida e alla trasgressione? Quali sono gli elementi che portano una persona ad andare verso un'involuzione anziché un'evoluzione?
Io, pur lavorando in carcere da 28 anni, ho avuto e ho pochissimi contatti con i detenuti; se non vengo al Penale non parlo mai con nessun detenuto se non con quelli che saluto lungo il percorso che faccio per andare al laboratorio. La mia esperienza di medico del carcere è durata due o tre anni, quando mi ero appena laureato, e mi ricordo poco. Poi con l'esperienza del Gruppo della Trasgressione e facendo delle riflessioni, mi sono posto questo tipo di questioni.

Quando ero giovane, insieme ad amici, ho spesso sfidato le leggi in modo anche abbastanza marcato. Ricordo di aver fatto delle cose che erano illegali ma che per una serie di motivi, il fatto di vivere in un piccolo paese, di essere di buona famiglia, di essere dei "buoni ragazzi", e perché all'epoca la società era un po' diversa, non c'era l'attenzione che c'è adesso, in qualche modo i miei gesti non hanno avuto conseguenze gravi.

La sfida che noi ci eravamo riproposti in quel momento era andare oltre i limiti, vedere se riuscivamo ad imbrogliare qualcuno: facevamo finta di raccogliere i soldi per il Biafra, un paese africano povero, e invece ce li mettevamo in tasca. Era una vera e propria truffa! Non abbiamo avuto problemi legali, chi se ne è accorto non ha fatto denuncia perché all'epoca non si usava.

Erano truffe, non miliardarie, ma truffe, siamo stati fortunati. Forse dipende anche dall'ambiente in cui vivi, dalla società, dalle condizioni ambientali. Non so se i detenuti si ritrovano qui per aver fatto delle sfide di questo tipo, ma sono convinto che la partenza sia molto simile, c'è poi la condizione sociale, l'ambiente intorno che determinano i risultati. Io e il mio gruppo di amici abbiamo fatto magari la stessa trasgressione di un altro gruppo di ragazzi, quelli o perché erano già in una ambiente peculiare, svantaggiato, o comunque diverso, possono aver avuto dei problemi ed essere stati denunciati mentre noi no.

Nell'adolescenza è molto frequente sfidare, poi c'è il fattore caso, l'ambiente e altre cose che concorrono a farti avere o meno problemi.

La nostra truffa era una sfida, nel senso di quelle categorie che abbiamo cercato di identificare prima, una sfida non ideale. Non era una sfida volta a superare se stessi, ma per fingere di essere più grandi: "voglio vedere se sono in grado di fare 'sta furbata"; all'epoca quei soldi li utilizzavamo per andare a giocare a biliardo, andare a bere il caffè dando la mancia per far vedere al cameriere che eravamo "grandi". Sfide stupide ma sfide, sfide per immaginarci più grandi di quello che sentivamo di essere.

Al convegno in carcere Lei ha iniziato la sua relazione dicendo che alcune sue riflessioni erano state stimolate da incontri con i detenuti del Gruppo della Trasgressione in cui avevate parlato della trasgressione in biologia. Può spiegarci qual è il legame tra la trasgressione in biologia e la trasgressione in termini più generali?
Ho avuto gli input dal Gruppo poi me ne sono andato un po' per la mia strada cercando di lavorare prevalentemente sugli aspetti biologici. I nessi più stimolanti che mi sono venuti in mente li ho detti nell'incontro in carcere e al convegno sulla sfida.

Mi colpiscono le riflessioni che possiamo fare su alcuni virus, l'HIV quello dell'AIDS o il virus dell'epatite C, che non hanno cervello, finalismi, obiettivi nascosti, ma fanno della trasgressione dal proprio codice genetico la modalità per rimanere nell'organismo e quindi perpetuare, migliorare i propri potenziali replicativi. Si possono poi fare analogie fra un meccanismo biologico ed altri con processi più complessi.

Se ci riflettiamo, la trasgressione dal codice genetico è esattamente l'opposto della clonazione. La clonazione è un meccanismo attraverso il quale si individua l'esemplare, un prototipo che immagino perfetto e attraverso un'opera di clonazione lo moltiplico all'infinito. Decido, ad esempio, che per i miei scopi le pecore debbono avere le gambe corte in modo tale che non vadano troppo in giro e io non spendo tempo a raggrupparle perché voglio farne la lana e clono una pecora con queste caratteristiche; oppure in modo più pazzesco ma ipotizzabile, decido che gli uomini è bello e giusto che siano tutti biondi, alti perché se si va in guerra sono più efficaci, faccio per dire. Si identifica una condizione che ci sembra ideale e la clono.

Questo significa bloccare l'evoluzione. La clonazione è la negazione dell'evoluzione, è la negazione filosofica dell'evoluzione. Significa negare il fatto che ci sia una possibilità di miglioramento negli esseri viventi.

Un altro parallelismo un po' azzardato, ma che mi sento di sostenere, è di questo tipo: prendete l'informazione o la politica. L'evoluzione delle società, oggi, soprattutto nei sistemi che si definiscono democratici, è fatta da persone che hanno ottenuto il consenso degli elettori. Ci sono delle tecniche, che voi psicologi conoscete meglio di me, per misurare il consenso possibile e per ottenerlo: andare a vedere cosa si aspetta la gente e poi fare delle politiche che vanno in direzione di ciò che la gente si aspetta.

In altre parole, gli stati occidentali determinano le proprie politiche sulla base di quello che si aspetta la gente. Sembrerebbe una cosa positiva perché il governo decide che farà una legge perché questo vuole la maggioranza delle persone; secondo me, invece è una specie di meccanismo di conservazione che nega l'evoluzione.

Il pensiero umano si è evoluto perché è stato arricchito da gente, filosofi, artisti e altri, che la pensavano in maniera diversa dalla maggioranza delle persone. Questi sono stati considerati eretici, condannati, messi al bando in modo più o meno brutale e violento, a seconda delle epoche, perché non la pensavano come la maggioranza. Poi il loro pensiero, siccome ha avuto il permesso di essere formulato, magari è riuscito a diventare un pensiero accettato da tanti, in alcuni casi un pensiero dominante.

Allora che succede? Se una società stabilisce le proprie regole a priori sulle base di quelli che sono i desideri della maggioranza diventa conservatrice, ma conservatrice nel senso di negare la possibilità di evolvere. E una delle crisi maggiori di oggi è data dal fatto che i governi occidentali attuali non hanno il coraggio di proporre idee e, anzi, guardano con diffidenza a quelle nuove che provengono da frange minoritarie.

Invece io, rappresentante dello Stato, dico che non sono ideologico, sono soltanto uno che vuol fare ciò che la gente vuole; ma questo non è affatto positivo. Se, per ottenere il consenso, ci si limita a seguire i tracciati più collaudati, ci si imprigiona dentro la fotografia di quello che siamo adesso, ci si condanna alla non evoluzione.

Questo meccanismo è una questione su cui riflettere perché riguarda tutto l'agire umano. Nella ricerca, le riviste più importanti sono quelle che sono più lette. Le riviste scientifiche vengono classificate sulla base di un punteggio che si chiama Impact Factor. L'Impact Factor è un numero che deriva dal numero di volte che quella rivista è stata citata. Se un articolo pubblicato in quella rivista viene citato un milione di volte, l'Impact Factor della rivista sale, vuole dire che quella rivista ha un elevato numero non solo di lettori, perché i lettori non sono forse determinanti, ma vuol dire che negli articoli scientifici pubblicati in tutte le riviste scientifiche del mondo quell'articolo è stato citato molte volte. Un modo per fare una graduatoria delle riviste scientifiche consiste nel dare un diverso Impact Factor alle riviste stesse. Ci sono riviste che hanno 30 di Impact Factor e riviste che hanno 0,001 o riviste che non hanno nessun Impact Factor perché vengono citate troppo poco spesso.

Sembrerebbe un meccanismo buono per giudicare, ma che cosa avviene poi? Le riviste per aumentare il proprio Impact Factor cominciano a pubblicare con molta maggior facilità gli articoli che hanno un elevato pubblico potenziale e chiudono le porte ad articoli che hanno un pubblico molto ridotto. E allora articoli su argomenti innovativi o con tecniche innovative trovano più difficoltà ad essere pubblicati.

Esempio clamoroso: parlare di AIDS anche per noi ricercatori è un argomento che attrae molto, i laboratori che lavorano sull'AIDS sono tanti e quindi un articolo sull'AIDS verrà citato da più persone, mentre un articolo sul virus JC, di cui mi occupo io, verrà pubblicato, letto da meno persone perché interessa meno. La stessa rivista a parità di qualità prende più volentieri un articolo che è destinato a essere letto di più che non un articolo che è destinato a essere letto di meno.

Le riviste, come fanno i politici con i sondaggi, sono in grado di vedere quanto viene letto un articolo: si va al computer, si fa un giochino e si dice: gli articoli che abbiamo pubblicato l'anno scorso quanto sono stati letti? Certi argomenti hanno attratto l'80% delle persone e certi altri molto meno. E allora a priori si stabiliscono gli spazi da dedicare agli argomenti: siccome l'80% del nostro pubblico vuole un articolo sull'AIDS, vuol dire che noi diamo l'80% dello spazio agli articoli sull'AIDS, il 20% agli altri virus. La conseguenza qual è? E' una specie di fissità, una negazione dell'evoluzione.

Il rischio, in questo modo, è che la ricerca, che dovrebbe essere innovativa, diventi conservativa perché siamo tutti spinti ad occuparci delle cose che hanno maggior possibilità di essere pubblicate sulle riviste più importanti e, paradossalmente, tutto questo spinge i ricercatori ad occuparsi delle stesse cose.

Un po' come fanno i politici che propongono ai cittadini delle cose che piacciono alla maggioranza invece che magari delle cose ostiche; le cose ostiche fanno correre il rischio di perdere il consenso e quindi le elezioni. Ma dove poi ciò che ha deciso la maggioranza fa trascurare la minoranza, tipo l'esempio delle riviste o della politica, il problema diventa un po' rischioso.

E che c'entra questo con i virus? Se noi accettiamo che già dalla biologia ci viene un messaggio di questo tipo, che la trasgressione è una condizione indispensabile per l'evoluzione, dobbiamo incominciare a introdurlo anche in altri ambiti. Le idee, i concetti non possono essere troppo conservatori, anche se ci fa comodo che siano così, altrimenti va a finire che ci neghiamo la possibilità dell'evoluzione.

Socrate è stato condannato a morte per le sue idee. Però le idee di Socrate raccontate da Platone, scritte da altri, raccontateci da altri, hanno determinato la nostra evoluzione.

Voi pensate cosa può succedere se uno riesce a bloccarle prima queste idee innovative. Nessuno ha il diritto di imporre le proprie idee, però almeno ci deve essere lasciata la possibilità di manifestarle. Tutti i mezzi di comunicazione vanno nella direzione di voler per forza accontentare la maggioranza, ma così si nega la possibilità di far venire fuori idee nuove.

Cosa rimane a una persona di una sfida?
Secondo me dipende molto dalle persone. La sfida è un momento esaltante, salvo nelle sfide banali: quando io faccio una manovra azzardata per sfidare un altro automobilista poi mi rimane solo l'amaro in bocca o qualche ammaccatura, se l'ho fatta male! Questo tipo di sfide considerate a freddo ti fanno rendere conto che erano sfide talmente stupide da farti sentire male perché hai dedicato energie a una cosa che con la tua parte razionale sai o pensi di non volere. La sfida evolutiva, invece, quella di cui vi ho parlato, è necessaria per vivere, senza non ha molto senso vivere.

Cosa rimane della sfida? Appena una sfida è stata superata e sei riuscito ad ottenere quello che ti eri riproposto, ti rimane un'altra sfida. Quando io sognavo di confrontarmi con dei colleghi di cui avevo letto il nome su riviste e ci sono riuscito, sono rimasto estremamente contento, poi ho sentito la spinta di andare oltre, magari diventare più bravo di loro. Quando pubblico su una rivista, l'obbiettivo è poi quello di pubblicare su un'altra ancora. Nel momento in cui una sfida è stata superata, mi è sembrata facile e mi rimetto di nuovo in discussione, mi dico: "No, devo trovare qualcosa di più difficile". Quando mi è riuscito qualcosa che avevo desiderato, mi dico: "Non c'è stato molto gusto, chissà come sarà quell'altra cosa lì".

Solo poi quando ti metti tranquillo, fai un'analisi un po' più razionale, analizzi il tuo contesto (da dove vieni, cos'hai fatto), riesci a dare un peso diverso al superamento di una sfida, ma nell'immediato la sfida superata è soltanto la premessa per un'altra sfida. E ripeto, secondo me, questo è un meccanismo che serve per vivere, e per cui, in linea di massima, la società evolve.

Non so se per le sfide negative succeda la stessa cosa: "Se mi va bene una rapina, ne voglio fare un'altra". Però probabilmente è così anche in quel caso.

La sfida dell'uomo è diversa da quella della donna?
Nel quotidiano sono diverse le sfide, ma siamo esseri viventi e abbiamo finalità molto simili. La sfida si estrinseca in modo diverso ma penso che non sia diversa strutturalmente.

Se oggi consideriamo, ad esempio, me e mia moglie, probabilmente le sfide sembrano diverse dalle sfide di una coppia che si trova in Afghanistan o in Pakistan, fino a due anni fa una specie di ultramedioevo per le donne, oppure in Svezia, in Norvegia o in Danimarca, nazioni un po' più avanti rispetto a noi, ma di fondo la sfida è sempre e comunque fare qualcosa che appaghi, che faccia crescere. Poi in contesti diversi vengono dati spazi e margini diversi.

Se invece la domanda è posta in un altro senso, ovvero se c'è più competitività in uno o nell'altro dei due sessi, penso che nella società occidentale il maschio sia investito in modo più ufficiale e formale dell'aspetto competitivo, rispetto a quanto non sia fino ad ora successo per le donne; ma mi sembra che anche questo aspetto sia in evoluzione.

Nelle famiglie, mi pare di poter dire, l'uomo è maggiormente investito dell'aspetto competitivo in termini di aspettative. Le preoccupazioni dei genitori di figli maschi e femmine sono diverse, per cui, presumo che anche il concetto di sfida venga interpretato in modo diverso. Ma se si considera la biologia, uomo e donna hanno lo stesso obiettivo, per cui le sfide sono le stesse. La sfida ultima è quella di propagare il proprio codice genetico.

Al convegno con il Gruppo mi è venuto in mente un altro spunto di riflessione: l'essere umano maschio o femmina, desidera propagare il proprio codice genetico, ma il codice genetico dove è conservato? E' conservato in ogni cellula, ma l'attività più sofisticata che noi abbiamo è il pensiero, o almeno così ci sembra! Il pensiero è stoccato nei neuroni che sono le uniche cellule del nostro organismo che non si rigenerano. Il nostro comportamento è affidato al codice genetico di cellule che non si rinnovano.

Noi trasmettiamo il nostro codice genetico ai nostri figli, ma l'uomo ha messo appunto altre strategie bellissime per espandere il proprio codice. Il codice genetico trasmesso ai propri figli istintivamente, ci fa sperare che loro facciano o faranno quello che noi facciamo, c'è però un altro modo sofisticatissimo per spingere le persone a fare ciò che noi facciamo: elaborare un pensiero che convinca gli altri a comportarsi come noi vogliamo.

Circa 2400 anni fa, Socrate e Democrito hanno elaborato le loro teorie, 2400 anni dopo, dopo essere completamente scomparsi, indipendentemente che avessero o non avessero figli, hanno influenzato moltissimo il mio modo di pensare e spero quello di tanti altri. Lo scritto, la filosofia, l'arte in una certa misura, le forme più sofisticate del pensiero sono un modo molto efficace di trasmettere il potenziale del nostro codice genetico, di spingere individui a distanza di migliaia di chilometri, di migliaia di anni a fare quello che noi vorremmo i nostri figli facessero.

Oggi considero il più grande poeta del '900 una donna, Anna Achmatova, poetessa russa; io però vorrei dire poeta per non operare delle differenziazioni che nascondono alcuni preconcetti. Non ci sono differenze fra uomo e donna, hanno la stessa finalità: trasmettere se stessi. Questa poetessa russa l'ha fatto allo stesso livello di Leopardi. La sfida dell'essere umano è quella di influenzare l'altro, di emergere. Non c'è differenza fra uomo e donna. Le differenze però le riscontriamo nel quotidiano. Ci sono molte differenze fra me e un altro: da giovane ho fatto una bravata, oggi mi beccavano, mi accusavano di truffa, mi avrebbero messo in cella e magari diventavo un abitatore anziché un lavoratore del carcere, ad un altro può essere andata diversamente.

Sono convinto che il caso e la necessità, come dice Democrito, determinano tutto ciò che succede nell'universo e anche la nostra vita. Democrito ha scritto una frase che dice: tutto ciò che c'è nell'universo è frutto del caso e della necessità. E io sono sempre più convinto che sia così, almeno dalla biologia dei virus. Tra l'altro mi chiedo: "Ma quello là sapeva ciò che stava dicendo?". Oggi c'è uno snobismo culturale, abbiamo il computer, il registratore, 2400 anni fa giù, nel meridione, fra il meridione e la Grecia, Democrito ha pensato qualcosa che chiude il cerchio. Ogni volta che mi avventuro a riflettere sull'origine della vita sembrerebbe proprio frutto del caso e della necessità (casualmente l'aggregazione dell'acido nucleico...), a meno che uno non sia credente.

Secondo Lei, oggi la nostra società lancia dei messaggi di sfida al cittadino?
La società occidentale, come modello dominante, ho l'impressione che voglia soprattutto rassicurare le persone dandogli quello che loro si aspettano di avere e in qualche modo spingerli verso comportamenti che sono quelli del consumo in una direzione anziché in un'altra. Non vedo la società, in questo periodo storico, impegnata, in Italia, in Germania, in Francia, nei paesi ricchi, in un'opera diversa.

All'interno della maggioranza però ci sarà sempre spazio per le minoranze, spazio per singoli individui per pensare in modo altrernativo. La speranza è che, siccome le televisioni trasmettono tutte la stessa cosa, un 30, 20, 10, 5% di persone che guardano la televisione la spengano. Ciò ci metterà nelle condizioni di riflettere, di pensare a delle cose alternative.

La nostra società oggi non mi sembra ci proponga delle sfide, abbiamo biologicamente superato un sacco di difficoltà, non abbiamo il problema della sopravvivenza. Ciò è un vantaggio in termini evolutivi ma rappresenta anche uno svantaggio perché quando una specie ha il problema della sopravvivenza è costretta a mettere in campo il meglio del proprio potenziale evolutivo invece noi non abbiamo questo problema e siamo molto avviluppati su noi stessi.