Cosimo Colbertaldo, Antonella Cuppari

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Intervista sulla sfida

Alejandro Jaraj

musicista ed educatore nella casa circondariale di S. Vittore

Se l'ideale della persona non è legato intimamente con il cambiamento del mondo e la lotta per un mondo più giusto e solidale, la sfida muore.

 

Senza pensarci troppo, quali immagini ti evoca il termine sfida?

Una bandiera, la gente per la strada, qualcuno che lotta costantemente per un ideale, una partita di pallone, un bambino che fa il suo primo scalino, un albero che nasce in mezzo al cemento e sfida questa legge della fisica che dice che quello spazio è chiuso e da lì non passa niente, il popolo, la gente che si esprime con libertà.
La sfida è anche qualcosa che ciascuno fa con se stesso -come diceva Che Guevara- per "ammazzare il piccolo borghese che c'è in ognuno di noi".
La sfida per me è sempre una bandiera.

 

Quali personaggi della storia, della letteratura, della mitologia e dell'arte ti vengono in mente pensando alla sfida?

La prima figura che mi viene in mente, e non sono certo obiettivo perché lavoro con loro, sono le madri di Plaza de Mayo, le madri degli scomparsi argentini.
Mi viene in mente il "Che".
Mi viene in mente Beethoven, quando inventa una musica che anticipa di duecento anni la storia di quel periodo e dicono che è pazzo.
Mi fa pensare al bambino palestinese che lancia una pietra davanti a un carro armato.
Un sacco di gente che non sta scritta nei libri di storia, ma che sfida costantemente il proprio destino giorno per giorno.
Penso a Cortazàr, uno scrittore argentino, a Victor Hara, al quale hanno tagliato una mano e ha continuato a cantare e suonare, a compagni scomparsi ammazzati dal neoliberismo, che, mentre sapevano che li avrebbero fucilati, cantavano l'Internazionale. Questa non è una questione di sinistra o destra, è una questione di etica.
Mi viene in mente ancora il bambino che sale la scala.
Altri personaggi della storia. Gesù: è stato un grande.
La sfida di Shakiamuni, il buddha indiano che voleva porre fine al sistema delle caste indiane.
Non ci credo ai personaggi della storia: la sfida la fa la gente comune.
Ai grandi personaggi tocca il compito di essere il ponte che trasmette questa sfida alle generazioni future. E' solo una missione.

 

Mi dai qualche aggettivo per definire una persona che lancia una sfida?

Coraggioso. Fondamentalmente coraggioso. Sognatore. Una persona che ha un amore profondo per la gente. Rivoluzionario. Sovversivo.

 

Quali possono essere le cause e le finalità che spingono gli individui a rischiare lanciando delle sfide?

Credo possano essere due tipi di stimolo.
Uno stimolo che porta all'individuale: lanci una sfida per ottenere qualcosa che ti interessa, una donna che vuoi conquistare, una sfida nella sfera personale. Credo che questa sfida dopo un po' si prosciughi… diventa sterile come un fiume che non riceve più acqua.
La vera sfida parte dall'individuo, ma è profonda, è fare una rivoluzione interiore per cui si cambia la qualità dei propri desideri. Poi si trasforma perché è collegata all'ideale. Se l'ideale della persona non è legato intimamente - non solo a livello razionale, ma anche a livello vitale- con il cambiamento del mondo e la lotta per un mondo più giusto e solidale, la sfida muore.
Penso che la cosa importante sia in questo momento approfittare di questa possibilità del "primo mondo" di fare una sfida personale, però che non si chiuda in sé, se no muore, ma approfittarne per fare un lavoro militante, per fare politica, intesa come agire per la polis, cioè la preoccupazione per l'altro, non nel senso partitico, ma nel senso politico vero ed etico. Ovvero diventare un essere umano.
Uno di questi grandi personaggi della storia vivente tuttora è la signora Hebe Bonafini, la presidentessa delle madri di Plaza de Mayo; dice che la politica è la unica azione dell'uomo che libera ed è importante capire il profondo senso che lei dà alla parola libera. La domanda serve se lo scopo generale delle due sfide è la liberazione, cioè la sfida individuale che deve portare alla rivoluzione, ad un cambiamento profondo del sistema attuale su cui si regge il mondo.
Un sistema assassino, genocida.

 

 

Possiamo provare a individuare alcune categorie di sfida? Secondo te quanti tipi di sfida esistono al mondo?

Infiniti. Come anche sono infiniti i livelli della sfida. La cosa importante secondo me è stimolare alla sfida gli esseri umani da quando sono nati. La sfida è il sale della vita, se non c'è sfida non c'è gusto; non a caso in Svezia si suicidano parecchio.

 

Qual è il rapporto fra sfida e conflitto? E fra sfida ed evoluzione?

La sfida non è per forza un conflitto.
Per me la parola conflitto appartiene alla cultura del potere e non appartiene alla mia cultura.
Se analizziamo la situazione attuale dopo l'11 settembre, vediamo che è "con noi o contro di noi". Allora io sono contro. Allora io sono un uomo pericoloso. Questa cultura del potere fa sì che uno colleghi la sfida a un senso di colpa insieme al conflitto. La sfida non è conflitto, credo sia collegata alla giustizia e all'amore.
Il conflitto lo impone il sistema, la cultura del potere. Quello che bisogna fare è non crederci, verificare, denunciare, essere disposti a non abbassare il proprio livello di denuncia, nel senso della propria vita.
L'evoluzione ci fa tornare allo stesso punto: l'analogia è poter trasformare la sfida verso gli altri. Se tu non senti "gli altri sono me", la tua sfida è sterile.
Questa domanda ha un trabocchetto che arriva dalla cultura del potere.
Il conflitto bisogna accettarlo e gestirlo. Io sono pacifista, ma non sono pacifico. Penso che ci voglia la violenza e il conflitto. Quando c'è un sopruso il livello di violenza lo decide chi fa il sopruso. Dicono: "fai le cose, sfida però non violentemente per carità". Invece se vogliamo veramente una sfida, dobbiamo utilizzare l'odio contro la ingiustizia come motore per non fuggire al conflitto perché abbiamo paura; trasformare e riconoscere tutte e due (odio e conflitto), senza moralismi.

L'evoluzione della sfida è il secondo scalino del bambino, quella bandiera che non è più macchiata di sangue, ma dipinta dalle urla della gente per liberarsi.
Ci sono esempi di sfida trasformata: l'evoluzione è collegata alla sfida perché c'è trasformazione; l'arte deve evolvere l'immagine per creare qualcosa di legato all'azione. Non deve rimanere in mente come una masturbazione mentale. Altrimenti resta sterile.

 

Cosa rimane alla persona di una sfida?

La voglia di un'altra sfida.

 

C'è un'età in cui la sfida è più frequente?

Dipende dall'amore che la persona avrà per gli altri. Se tu hai una sfida che guarda una situazione dal punto di vista personale, puoi cadere nel tranello di essere sempre insoddisfatto perché hai ottenuto il tuo scopo e ti manca sempre qualcosa. Quando questo diventa il modo di pensare, abbiamo quello che avviene con il neoliberismo, cioè che in nome dell'avidità si creano dei genocidi.
Dall'altra parte la sfida che porta all'individuale può essere stimolata a tutte le età però la cosa importante è "che valore crea". Io girerei la domanda: "C'è un'età in cui la sfida crea più valore?" Ogni età ha una sfida gigante e l'importante è trasmettere questa voglia di sfida. Non penso che la sfida sia collegata all'età. Penso che sia collegata all'intensità del proprio cuore.

 

Secondo te ci sono delle somiglianze e delle differenze fra la sfida di un adolescente e quella di una persona adulta?

Da un certo punto di vista sì, da un altro no. E' differente perché si trova in momenti della vita molto diversi e con esigenze o cose da risolvere molto diverse. L'intensità della sfida è la stessa. La cosa bella è ascoltare l'intensità della sfida dell'altra persona per poter dialogare con molto rispetto dell'altro.
Non penso che ci sia una profonda differenza, perché la sfida è una cosa insita nell'uomo, da quando nasce a quando muore. Una delle mie sfide è: il giorno che muoio voglio morire contento e per questo devo vivere bene.

 

Come si può pensare a un dialogo migliore fra il mondo adulto e il mondo dei giovani?

Credo che, più che pensare, dobbiamo trovare azioni da fare. Io ho trovato nell'arte un eccellente mezzo per mettere tutti sullo stesso piano di umanità pur mantenendo i ruoli. Lavorando in carcere, devi stare molto vicino con il tuo cuore alla persona con cui lavori, però allo stesso tempo hai un ruolo ben preciso. L'arte può alimentare un dialogo profondo.
Secondo me, la cosa importante è creare delle situazioni, cioè offrire alle persone una situazione di confronto. Questa penso che sia l'unica maniera.

Parlando della cultura del potere, non possiamo non vederla continuamente, perché altrimenti la trasgressione diventa una cosa borghese e intellettuale; è necessario il riferimento al sociale, nel senso della polis, della politica. Penso che dalle domande che nascono, per questa sfida dell'unione fra la gente, debbano venire fuori delle azioni trasformative e uno deve vedere che c'è qualcosa che è cambiato dopo la propria azione.
Anche in piccolo, senza aspettarsi la comunicazione sui media, che non serve a niente.
Io faccio questo lavoro con umiltà. La sfida è mantenere il proprio credo.
Se tu hai un grande credo che coltivi tutti i giorni e io anche, anche se abbiamo situazioni e tante cose diverse, ci troveremo sempre a dialogare, ci troveremo sempre disponibili alla risoluzione del conflitto.

Bisogna mettere azione per creare il dialogo, lottare, a costo di qualche batosta, per evitare che il sistema crei la peggiore cosa di tutte che è il divide et impera, da un livello molto superficiale e visibile a uno più profondo molto difficile da percepire.
Io non credo che ci sia un mondo adulto contrapposto o favorevole o insieme a un mondo giovanile, anche se la cosa può apparire contraddittoria.
La cosa importante è ascoltare il proprio momento: sicuramente ci sono ruoli diversi, ma il punto è che pur mantenendo quei ruoli, che sono normali e fanno parte della vita, ci sia un dialogo profondo, una sfida, il trovare sempre dei collegamenti fra le persone.

 

Cosa è la sfida per un bambino?

"Prima non lo sapevo, adesso lo so; prima non riuscivo a farlo, adesso sì".

 

La sfida della donna è diversa da quella dell'uomo?

Dipende dalla donna, se mi parli della Tatcher o di Margaret Albright o dell'amica di Clinton, è meglio non nominarle, si rovina la stirpe delle donne.
Penso che la contrapposizione donna uomo sia un'altra cosa creata dal "divide et impera". Non ci credo. Credo che se uno ascolta la natura delle cose, vede che ci sono solo dei ruoli diversi. Purtroppo la donna deve sfidare molto di più perché c'è una società maschilista. Però non credo nella sfida uomo contro donna, questa è un'altra cosa che ci separa.
Dipende dalla classe sociale cui appartengono, questo è il problema, sono molto marxista in questo. Dipende dalle qualità, dagli scopi, dai desideri della persona. Ci sono un mondo maschile e un mondo femminile che non si capiranno mai reciprocamente, ma questo è un altro paio di maniche: è una cosa superficiale che arriva dalla seduzione, dal contatto fra i due sessi. Penso che la sfida non debba separare, ma nella diversità far comunicare.

 

La società oggi lancia dei messaggi di sfida?

Totalmente fuorvianti. Non manda dei messaggi di sfida. Molto furbescamente utilizza per i propri fini l'energia e l'attitudine naturale degli uomini a sfidarsi. Gli fa fare una sfida del tipo "prenditi questo motorino e questo telefonino, se non hai un miliardo sei un perdente" e questa è una cosa assassina e porta a compiere dei genocidi, perché la pensano, lavorano molto forte su questo.
La parola società può essere intesa in diverse maniere: io la intendo dal punto di vista della cultura del potere.
Poi ci sono altre sfide, come quella del lavoro in carcere, ma non vengono lanciate dalla società. E' qualcosa che sfugge al controllo, che scappa, poi io mi ci sono messo. Nessuno ufficialmente mi ha detto: venga a fare questa sfida.

 

Pensi che fare delle sfide nel corso della vita sia inevitabile?

Penso che sia molto divertente. Totalmente inevitabile. Sta a ognuno di noi trasformare questa inevitabilità in una grande gioia di vivere.

 

Puoi parlarci della tua sfida come musicista e come educatore in carcere: come è nata e dove vuole arrivare?

E' nata per caso. Tutti i musicisti e gli educatori hanno una strada difficile: non vivono nell'abbondanza; il lavoro è scarso, non vendi nessun prodotto, non crei consumatori. Non lasciano queste porte aperte. Stavo mandando curriculum dappertutto e mi è capitata questa occasione. Io avevo già esperienza nel disagio, vivendo in Sud America per forza ne hai.

Dove voglio arrivare con la mia sfida: diventare un buon istruttore e utilizzare l'arte per far sì che i detenuti da capricciosi diventino militanti, cioè capiscano quanto sia importante che loro stiano fuori e che lottino per un mondo migliore, un mondo più giusto e solidale, usando la propria esperienza e sofferenza trasformando questo ego in vero io.
La mia sfida è una scommessa: vai a capire come va a finire.
La scommessa è che l'arte è una cosa molto rivoluzionaria.

Uno non deve creare una struttura o una filosofia pedagogica per gli altri, ma per se stesso e magari altri seguiranno. Io me la sono presa sul serio questa idea: ci proviamo, la portiamo fino in fondo. La sfida è ciò che porta avanti. Le sbarre interiormente si sciolgono: è vero e non è vero.
Da una parte dove c'è arte non c'è carcere; ma in realtà il carcere c'è e manca molto perché non ci sia.

Parlavamo dei personaggi della storia: quelli veri insegnano che i processi storici sono lunghi. Io non ho fretta di vedere il risultato. Avrò fatto la mia parte nella costruzione di questo ponte, quello che mi toccava, con umiltà.

Il mio lavoro è in primo luogo politico, il mio stimolo principale e vero è politico.
Ho avuto la fortuna e una serie di circostanze che mi hanno permesso di unire al politico l'artistico e l'educativo. Una volta un ragazzo mi ha detto: "sei un bravo istruttore" e mi ha aperto gli occhi. Mi ha insegnato qual è la tecnica didattica più adatta per certe cose: io non devo insegnare né educare niente e nessuno. Devo essere solo un mezzo per cui la musica e l'arte, cioè l'espressione profonda della persona, creino uno stimolo perché la persona diventi rigorosa con se stessa e si prepari per il fuori. L'arte in questo è un elemento molto bello e potente.

Come dice Rodari nel "Grammatica della fantasia"? "il dono della parola a tutti, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo". La sfida deve liberare profondamente l'uomo. Dico quello che secondo me è giusto, io mi sono espresso così: perché la parte di te che già sta entrando in compromesso con il potere deve dire no e censurare. Tutti abbiamo quella parte; pochissime persone non ce l'hanno più, i veri rivoluzionari della storia: M.L.King, Hebe de Bonafini, Ernesto "Che" Guevara, Gesù, Sakyamuni.
La parte legata al potere e che impone certi comportamenti non esiste perché ti dà sicurezza, ma perché hai paura. La vera sicurezza c'è quando tu hai deciso di portare fino alle ultime conseguenze quello che senti e pensi. E' un cammino duro. Nel lavoro in carcere capisci che l'unica cosa da fare è lavorare sull'umanità, mantenendo i ruoli, senza fare i fricchettoni o seguire le pedagogie del laissez faire, perché così ti prendi una martellata.
Diceva Woody Allen: "Che Guevara è morto, Gesù Cristo anche e io incomincio a sentirmi un po' male".

 

Cosa ha permesso ai detenuti di cimentarsi nel cantare e suonare?

La musica. Perché la musica tocca un punto che è la saggezza innata della vita.
Io cerco di essere un mezzo di collegamento, un radiotrasmettitore. Poi fa la musica. Io non voglio mettermi a educare. L'espressione umana profonda si fonda sulla parte pulita e intatta della persona e se uno prende quella parte riesce a fare un lavoro di trasformazione della persona. Il punto è "perché vuole fare questo cambiamento?". Per ributtarlo nella cultura del potere? No, allora è meglio che stia lì. I detenuti hanno capito questo: hanno sentito che la musica toccava quel punto e hanno lavorato tantissimo. Provando, esercitandosi, anche se si lamentavano. E io gli dicevo: ma chi ti credi di essere? L'aspetto bello del carcere è che puoi comunicare senza problemi di etichetta, direttamente e sinceramente. Questo è molto bello.

 

Cosa rende la musica così magica, un linguaggio che accomuna tutti gli esseri umani?

Non lo so e non vorrei saperlo adesso, la verità quando si svela troppo dà il mal di testa.
Non lo so e non lo voglio sapere, perché il giorno in cui lo so non è più magico.
Come i binari del tram: non lo so come fanno a cambiarli. Certe cose è molto più bello non saperle. E' il non sapere che ti porta alla sfida.
L'espressione profonda tramite le attività umane, oltre alla musica, l'arte, lo sport, estrae l'essenza incontaminata che va poi versata nella cultura rivoluzionaria, parola che ha un senso di amore bellissimo e ce ne dobbiamo riappropriare.
L'arte serve a riappropriarsi della propria capacità di espressione.