Traccia del film di Sisto,
dopo colloquio Machisella, Rossi, Conti

 

In carcere c'è un detenuto (S) piuttosto problematico, dal carattere difficile, che spesso ha dei problemi con la custodia per motivi d'ordine disciplinare. Ha nel contempo una grande affezione per un compagno un po' anziano che divide la cella con lui. Costui una sera si sente male, è cardiopatico ed ha un attacco di cuore, i soccorsi arrivano in ritardo e questi muore tra le braccia di S..

Rimasto solo in cella nella notte ricorda la sua donna, Claudia, che non molto tempo prima si è tolta la vita in carcere perché non sopportava più quello stato senza speranza; e molti altri compagni che ha visto morire vicino a lui.

Dà fuori da matto e in un primo tempo spacca tutto quello che gli viene a portata di mano, poi, verso l'alba, sembra calmarsi e prende una decisione importante.

Scrive due lettere, una al Direttore del carcere e l'altra a una televisione privata nelle quali comunica la sua intenzione di togliersi a sua volta la vita per protesta se di lì a cinquantun giorni le cose non cambieranno radicalmente per quanto riguarda la situazione dei detenuti malati.

Ricevuta la lettera il Direttore del carcere si reca a parlare con S. pensando che si tratti di una presa di posizione velleitaria, dettata dall'emotività di quel particolare frangente. Nel corso del colloquio comincia a rendersi conto che le cose non stanno come aveva pensato, ma che S. è freddo e determinato nel suo convincimento.

In quei giorni una giornalista di quella televisione alla quale S. aveva scritto entra nel carcere per un servizio sulle condizioni degli extracomunitari detenuti. Un cameraman si ricorda della lettera ricevuta il giorno prima da un altro giornalista che non l'aveva presa in attenta considerazione, così indica il nome del detenuto alla giornalista che sta passando davanti alla sua cella. Questa decide d'intervistarlo per scoprire che tipo sia. Durante il colloquio si rende conto anche lei che S. fa tremendamente sul serio, familiarizza con lui ed alla fine gli garantisce che seguirà da vicino la vicenda documentando tutto finché le sarà possibile.

Da questa prima notizia data alla televisione si scatena un forte interesse mediatico per l'intera vicenda, diversi giornalisti indagano su chi sia S., cos'abbia fatto e vanno a cercare tutte le persone che lo hanno conosciuto o hanno avuto rapporti con lui.

Un giornalista si reca dal magistrato che ha avuto l'incarico di occuparsi della faccenda di S.. Questi in un primo momento lo riceve perché crede che il giornalista voglia intervistarlo a proposito di un'importante inchiesta che sta conducendo in quel periodo; quando invece capisce che è per S. diventa all'improvviso vago e sbrigativo, non ha ben presente la pratica, poi è convinto che si tratti di una messa in scena o comunque di una "montatura giornalistica".

Il Direttore del carcere incarica uno psicologo di parlare con S. per convincerlo a desistere, questi passa la "patata bollente" ad un suo collega perché ha già avuto problemi in passato proprio con quel detenuto. Lo psicologo che incontra S. è invece sensibile e motivato; dal lungo colloquio emergono i conflitti interiori di S. e il suo dramma esistenziale che era stato occultato dal quel suo continuo atteggiamento di ribellione ed opposizione a oltranza. La problematica si allarga quindi al conflitto interiore del protagonista, le parti con le quali è in lotta non sono più solo quelle esteriori della situazione contingente, ma coinvolgono strati profondi del Sé che a sua volta è costretto a mettere in gioco trascinato dagli eventi. Rimane comunque sulle sue posizioni, pur cominciando ad avere dei dubbi sulla dinamica del suo conflitto.

I media si occupano molto del caso, anche se spesso in modo invasivo e morboso, tuttavia dalla miscellanea di discorsi vengono fuori le reali condizioni in cui versano i detenuti afflitti da gravi patologie.

Ascoltando tutte le chiacchiere che si fanno all'interno del carcere, un altro detenuto (Z.) prende posizione a favore di S. pur non condividendone i metodi, ed organizza tra i compagni un Gruppo di solidarietà che si prefigge di mediare i conflitti con i medici e le autorità allo scopo di cercare possibili soluzioni per porre rimedio al drammatico stato di cose vigente.

Il magistrato viene a sapere che il figlio di sedici anni è stato infettato dal virus dell'AIDS per colpa di una trasfusione di sangue in un paese straniero dov'era stato in vacanza. La notizia in un primo momento lo sconvolge, in seguito attraverso quest'esperienza riesce ad avvicinarsi ai problemi che i prigionieri vivono nel nostro paese questa particolare condizione di trascuratezza. Si reca in carcere per incontrare S. che invece non vuole nemmeno parlare con lui perché ha letto le sue precedenti dichiarazioni ai giornali, incontra invece i detenuti del Gruppo che gli espongono civilmente dei problemi reali, girando per i reparti può in seguito constatare di prima persona la veridicità delle loro affermazioni. Alla fine questo magistrato si impegnerà concretamente per migliorare la situazione, diventando un prezioso alleato invece che l'antagonista di tale Gruppo.

La custodia ha un atteggiamento ambivalente nei riguardi di S., alcuni gli rinfacciano il passato trasgressivo e lo disprezzano, altri cominciano a comprendere le sua ragioni. Nel frattempo arrivano molti messaggi di solidarietà e partecipazione da comuni cittadini che sostengono le ragioni di S., altri invece lo invitano a farla finita e di togliere così il disturbo.

S. ha un ultimo colloquio con uno psichiatra, nel quale devono emergere i cambiamenti che nel frattempo sono intervenuti nella sua presa di posizione; la maggior consapevolezza che ha acquisito anche grazie al lavoro che nel frattempo i suoi compagni hanno portato avanti per dar voce alla sua rabbia espressa in modo troppo aggressivo per essere compresa dalla gente comune come dagli stessi rappresentanti delle istituzioni. A questo punto S. è combattuto tra l'orgoglio di non voler dar ragione a chi aveva sempre pensato che in fondo bleffava e la convinzione che il suo gesto non cambierà in ogni caso le cose, che sono altri i modi efficaci per affrontare i problemi.

Incontrando rappresentanti dell'Amministrazione Z. riesce ad ottenere precise assicurazioni sul cambiamento delle pratiche sanitarie per i reclusi, e proprio mentre parla con S. per convicerlo a desistere dal suo proposito suicida viene scarcerato un altro detenuto (che si era già intravisto: vecchio e acciaccato), e questo fa in modo che S. si convinca della veridicità delle promesse ottenute dal suo nuovo amico.

S. e Z. si incamminano verso una direzione comune

 

the end

 

 

Commenti della stampa specializzata:

Panorama: un film senza azione, senza culi e tette che film è?

La Repubblica: nemmeno Bergman si è mai impegnato nella esclusiva rappresentazione di un conflitto interiore.

Il Corriere: ricoprire nella vita dei ruoli non significa per questo saperli rappresentare. Gli attori, sebbene autentici detenuti ed agenti sono nel contempo poco credibili, il realismo è una categoria estetica complicata, che richiede per la sua efficace riuscita il massimo dell'artificialità.

Il Manifesto: questi carcerati giudiziosi fanno rimpiangere la crudezza dei duri di Tornatore, che si accoltellavano o dal cortile della galera gridavano: "o' Malacarne è nu guapp e' cartone".

Famigli cristiana: il percorso del protagonista verso un'autentica conversione morale ci sembra degno di attenzione e interesse per il fatto che la trama è stata concepita e realizzati da degli autentici carcerati.