Mercoledì 27 marzo 2002

Thomas Quasthoff: il mio successo come baritono nonostante gravissimi handicap fisici.
Il cantante tedesco, 42 anni, applauditissimo interprete per Abbado a Salisburgo: «E ora affronterò anche l’Opera»

 

Una Grande voce, la vittoria della volontà

 

di Giuseppina Manin

SALISBURGO - Ovazioni l’altra sera alla Grosses Festspielhaus per Faust di Robert Schumann eseguito dai Berliner e diretto da Claudio Abbado. Ma le Scene dalla tragedia di Goethe (replica domani) hanno riservato anche la sorpresa di una voce d’eccezione, quella del baritono Thomas Quasthoff. Un nome noto nell’ambiente musicale internazionale, una scoperta emozionante per questa ribalta. Ma anche uno choc. Perché Quasthoff, 42 anni, volto intenso, sguardo dolce, è portatore di gravi handicap. Qualche crudele alchimia della natura non gli ha mai consentito di crescere oltre la statura d’un bambino e lo ha praticamente privato delle braccia. Una condizione da togliere speranza a chiunque. Ma non a lui: «Per mia fortuna ho avuto genitori previdenti. Pensavano che mio fratello e io dovessimo avere un hobby, lui era dotato per il ping pong, io ovviamente no. Allora mi suggerirono qualcosa di più adatto: il canto. Subito l’insegnante disse che nella mia voce c’era qualcosa che l’attirava. Avevo 13 anni».

Il primo riconoscimento importante arrivò a 29 anni, quando vinse un concorso a Monaco. «Sì, per farcela ho dovuto faticare più degli altri. La voce era pronta, ma non bastava. C’era il problema del palco, di apparire nella mia fisicità. Superarlo non è stato facile: ho dovuto convincermi che quel che conta è la qualità artistica. Le carte del successo, oggi lo so, sono emozione, intelletto, esperienza. E il carisma. O c’è o non c’è. La musica - continua - è stata un grande aiuto. Non potendomi esprimere con i gesti, mi ha dato la possibilità di farlo con il canto».

Certo, cantate da Quasthoff, le parole di Faust che sogna eterna giovinezza e bellezza fanno pensare. «Questa corsa a non invecchiare mai è un’ossessione dei nostri tempi. Brutto segno. Rinnegare il tempo che passa e la morte significa non accettare la vita. I lifting mi fanno orrore, è meraviglioso veder brillare gli occhi d’un volto rugoso. Quanto alla morte, il grande tabù di oggi, è sempre presente in questo Faust , una filosofia della morte messa in musica. Ci insegna a non averne paura». Ad Abbado lo lega ormai una solida consuetudine. «E’ molto piacevole lavorare con lui perché non impone mai nulla, al massimo suggerisce poche cose. Quando si usa la stessa lingua non serve parlare di musica, basta farla». Senza confini, nel caso di Quasthoff: dopodomani, rompendo la sacralità del luogo mozartiano, terrà qui un concerto jazz.

E l’opera? Per lui parrebbe relegata alle sale da concerto e ai dischi (appena uscita dalla Deutsche Grammophone una sua antologia di arie liriche dirette da Thielemann). «E’ così, ma non ancora per molto. Simon Rattle, mio caro amico, mi ha convinto. L’anno prossimo, proprio qui, debutterò con lui come Don Fernando in Fidelio . Se qualcuno resterà turbato, sarà un suo problema. Io non ne ho».