La capacità di intendere e di volere

 

La capacità di intendere e di volere richiesta dall’art. 85 cp è definita idoneità del soggetto a conoscere, comprendere e discernere i motivi della propria condotta, valutandone le conseguenze, e attitudine a determinarsi in modo autonomo, scegliendo la condotta adatta al motivo che appare più ragionevole. Dunque, “intendere” come idoneità del soggetto a rendersi conto del valore della proprie azioni, ma anche rappresentarsi la realtà in cui si muove così come essa è, senza distorsioni; “volere” come facoltà di volere ciò che in maniera autonoma si giudica doversi fare.

L’imputabilità è un concetto riferito essenzialmente alla maturità psicologica dell’agente e alla sua sanità mentale, le quali ne rispecchiano il contenuto più propriamente sostanziale.

Si pensi ad un soggetto affetto da mania di persecuzione che, sentendosi seguito da un passante in strada, lo aggredisce ed uccide.

In tale ipotesi è ravvisabile un “errore” commesso dal soggetto, errore nella rappresentazione della realtà che è fittizia, non reale.

Il concetto di errore richiama la disciplina all’art. 47 cp dell’errore sul fatto di reato, che, in quanto tale, esclude il dolo, mancando in capo all’agente l’esatta rappresentazione del dato fattuale della fattispecie oggettiva criminosa, incompatibile con il coefficiente psicologico doloso. Si pensi all’esempio ricorrente del cacciatore che, intravedendo una sagoma dietro un cespuglio, spara per uccidere la sua preda, cioè quello che credeva essere un animale, ma colpisce un uomo.

Tuttavia, a ben vedere, l’ipotesi di errore di cui all’art. 47 cp -che elide il dolo, ma lascia aperta la valutazione relativa alla possibilità concreta di prevedere e dunque di evitare l’evento, cuore del rimprovero normativo alla base della responsabilità colposa dell’agente, si differenzia sostanzialmente dal fenomeno della non imputabilità, in cui l’agente vuole uccidere il suo presunto persecutore e si determina a ciò proprio a cagione di tale supposta qualità.

Si è in presenza di un errore ben diverso dal precedente, un “errore sui motivi”, prendendo a prestito una terminologia civilistica, in cui la condotta materiale, pur voluta, non è stata il frutto di una libera scelta dell’autore, ma scaturita da una distorta percezione della realtà.