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Nessuno è perfetto

Erika RIva

Che l'imperfezione sia insita in tutte le cose è dato per scontato. Sarà il retaggio di una religione cattolica che insiste sull'inferiorità dell'uomo di fronte a Dio, fatto sta che nessuno al giorno d'oggi si azzarda a definire qualcosa "perfetto", men che meno l'uomo.
Perfetta può essere una macchina, un prodotto tecnologico, qualcosa in grado di svolgere compiti di portata eccessiva per la nostra mente. Tutte queste cose "perfette" hanno una caratteristica comune: sono prive della componente emotiva.
Mi sembra assolutamente illogico cercare di raggiungere una perfezione di questa portata: è un dato di fatto che il nostro corpo e la nostra mente non sono "programmati" per determinate esperienze: non possiamo volare, né vivere sott'acqua, né fare calcoli con migliaia di cifre…ma questo secondo me non è essere imperfetti, è semplicemente essere uomini.

Penso invece che sia più interessante ribaltare il problema e partire dall'imperfezione: come possiamo dire di una cosa che è imperfetta, quando non conosciamo la perfezione? E se in realtà nulla fosse imperfetto? Secondo me, l'imperfezione ha un forte nucleo propulsivo.
Considerare l'imperfezione solo come un'anomalia, un limite, è riduttivo: non è forse dalla diversità che trae origine la forza innovativa dell'evoluzione? Certo, qualcuno dovrà soccombere, e quello potrebbe essere "l'imperfetto", ma in fondo si tratta pur sempre di imperfetto in quel contesto…

Voglio dire che tutto è relativo e non esistono definizioni rigide e univoche della perfezione, tutto va ridotto entro le coordinate di uno spazio-tempo ben preciso. Basti pensare agli effimeri canoni della bellezza, a come cambiano da epoca a epoca e da cultura a cultura.
Certo, non posso negare che l'imperfezione esista…ma è un termine scomodo, a mio avviso un po' impreciso o comunque fuorviante, perché non riesco a immaginare nulla che sia in tutto e per tutto imperfetto.
Anzi, in un certo senso l'imperfezione è positiva: si potrebbe considerarla come quel qualcosa che ci fa muovere, che ci dà lo stimolo per lavorare su noi stessi e cercare di migliorarci.
In questo caso sì, sarebbe utile fare riferimento a una sorta di "perfezione", un ideale che ci guidi verso nuovi traguardi del nostro sé. Ma dobbiamo sceglierci un ideale realistico, fattibile: certe mete assurde non possono che portare alla frustrazione; questo avviene quando l'uomo vuole trascendere la sua natura e rinnegare parti di sé in realtà fondamentali, quelle parti peculiari dell'essere umano in quanto tale.

Penso ora all'imperfezione interiore…imperfezione come senso di inadeguatezza o di incapacità, come desiderio strenuo di fare qualcosa, di cambiare, di sentire che non si è ancora arrivati e che c'è molta strada da fare. In questo senso mi sento imperfetta…la perfezione sarebbe allora una sorta di equilibrio illuminato, di profonda conoscenza di se stessi, la capacità di non farsi travolgere dagli eventi e dalle persone…
In un certo senso sono grata alla mia imperfezione perché mi dà modo di osservarmi con occhio critico, di sperimentare nuove e sconosciute parti di me, di vivere emozioni belle o brutte che la calma del perfetto equilibrio non mi darebbe.

Ma la mia imperfezione è anche quel qualcosa che mi fa dubitare di tutto, che mi fa star sveglia la notte pensando ai problemi della giornata, che mi fa sentire perennemente in balia degli eventi, mai sicura di me stessa.
L'imperfezione ha questa duplice natura: propulsiva da un lato e destabilizzante, svilente dall'altro.
Probabilmente la cosa migliore da fare sarebbe riconoscere i propri limiti e far leva su quelle parti di noi ancora inespresse, "imperfette", per farle venire alla luce.
Piuttosto che marchiarsi indelebilmente con il pesante timbro dell'imperfezione, è preferibile far luce sul lato emancipativo dell'imperfezione: non sono un essere imperfetto, ma un essere in divenire.

Solo così non si rischia di essere schiacciati del peso dei propri limiti.
Perché in fondo essere imperfetti non è poi così male, se si pensa che anche da un baco poi nasce una farfalla, che il brutto anatroccolo cresciuto è diventato un cigno…