Sull'incontro del 24 giugno 2006

Gabriella Gioacchini

  25-06-2006

Desidero far pervenire a tutto il Gruppo della Trasgressione il mio apprezzamento  per l’ideazione e la realizzazione dell’iniziativa del 24 giugno.

Appartengo alla categoria di persone che leggono i giornali, seguono i dibattiti, si sforzano di non avere pregiudizi (ma è sempre in agguato il rischio di essere un “razzista democratico”, per usare l’espressione della Nirenstein) e si impegnano in forme di volontariato, ma che non si sono mai accostate “fisicamente” al mondo del carcere. Perciò posso esprimere un parere sulla manifestazione del 24 veramente da “esterna”:

  1. buona la struttura dell’incontro con l’alternanza di canzoni, testi poetici e testimonianze,
  2. scontato il giudizio positivo sulle canzoni, che si ascoltano con interesse sempre maggiore nel tempo, meno scontato quello sul gruppo che le ha eseguite, visto che non era costituito solo di professionisti,
  3. luogo di svolgimento dell’incontro poco adatto a dare emozioni forti a chi le avesse attese (ma perché le si doveva attendere?!), ma sufficientemente confortevole per permettere di apprezzare ciò che veniva offerto.
  4. toccanti, misurati e privi di retorica gli interventi di presentazione e collegamento e soprattutto le testimonianze.

Proprio le testimonianze sono state il momento più significativo per me che appartengo, come probabilmente molti dei presenti in sala, a quella categoria sopra indicata.

Articoli e dibattiti mi informano sulle condizioni delle carceri e sulle problematiche della detenzione, argomenti rispetto ai quali posso fare poco (se non come cittadino votante), invece l’incontro del 24 mi ha aiutato a riflettere sulla drammatica dimensione umana della carcerazione, drammatica non solo per i motivi che tutti possono conoscere o immaginare, ma anche per la “normalità” di chi la vive: paure, speranze, consapevolezza, autoinganni, affetti nella famiglia o tra amici appartengono a tutti noi, fuori o dentro al carcere.

Particolarmente incisive mi sono sembrate le parole di chi ha detto che l’aver imparato nel gruppo della “Trasgressione” a fare qualcosa per sé e per gli altri è un patrimonio che può essere speso anche per persone care che sono “fuori”, soprattutto i figli. Che cosa significa essere figlio di un detenuto? Anche soltanto lo stimolo a riflettere su questa domanda giustificherebbe l’incontro del 24.

Quindi ancora grazie