Relazione finale di tirocinio

Tirocinio Post laurea in Psicologia V.O. c/o CC San Vittore - Milano

 

Eleonora Bertuzzi

12-10-2007
 

Il primo semestre di tirocinio (iniziato il 18 settembre 2006 e conclusosi il 18 marzo 2007) è stato da me svolto nell’ambito della psicologia clinica, con particolare riguardo alla devianza in età adulta presso il Gruppo della Trasgressione. Mio tutor è stato il dott. Angelo Aparo, (psicologo ministeriale e psicoterapeuta).

L’Istituto in cui l’ho svolto è la Casa Circondariale San Vittore di Milano, il lunedì e il sabato pomeriggio presso il III° Raggio dell’Istituto e il mercoledì pomeriggio presso la sezione femminile. La struttura è una Casa Circondariale che conta circa 1200 detenuti maschi e un centinaio di detenute femmine; per la maggioranza si tratta di imputati in attesa di primo giudizio o di giudizio di appello. Direttore, in carica da 2 anni,  è la dott.ssa Gloria Manzelli.

Attivo dal 1997, prima nella sezione penale dell’Istituto e ora al III° raggio, il Gruppo della Trasgressione è, per dirla con le parole di un detenuto membro “un Gruppo di persone che parla per il solo gusto della conoscenza”. E’ un Gruppo di lavoro che, fino al 2002 era composto da soli detenuti; si è poi arricchito della collaborazione stabile di studenti di psicologia (prima) e di giurisprudenza (poi), accompagnati dalla docente di Diritto Penitenziario, prof.ssa Mariella Tirelli. Attualmente sono parte attiva anche docenti di scuole superiori, esperti di diritto ed esiste una proficua e stretta collaborazione con Pubblici Ministeri e con alcuni magistrati di sorveglianza di alcuni dei detenuti che vi prendono parte. All’incirca una volta al mese il Gruppo ospita esperti in diverse discipline, che vanno dall’arte alla musica alla letteratura al diritto.

Gli obiettivi principali che il Gruppo intende perseguire sono principalmente due:

  1. Riflettere sulle varie forme di trasgressioni di cui l'essere umano ha esperienza;
  2. Coinvolgere la società esterna sul tema della vita in carcere.

Il lavoro si snoda attraverso la lettura, il commento e la discussione di scritti su svariati argomenti. Sia i detenuti sia gli studenti producono contributi scritti in merito ai temi trattati; questi sono poi pubblicati sul sito del Gruppo www.trasgressione.net e divengono materiale importante in occasione di incontri ed eventi esterni all’Istituto Carcerario a cui partecipano anche i detenuti che ottengono il permesso dal proprio magistrato di sorveglianza e gli ex detenuti che hanno mantenuto lo status di membri attivi del Gruppo.

La mia attività è iniziata con un periodo di osservazione, di circa due mesi, delle dinamiche interne al Gruppo. Nonostante la fatica fisica possa essere banalizzata e ridotta al semplice “sedersi attorno ad un tavolo e parlare”, il primo impatto è stato molto faticoso sotto il profilo emotivo e delle relazioni. Riflettendo, infatti, a posteriori sull’esperienza svolta, sono rimasta stupita di quanto sia stato difficile per me integrarmi in un Gruppo così specifico e inusuale. Ho creduto, a torto, che avrei potuto usare e consolidare il mio ruolo di “dottoressa” (volutamente tra virgolette) in Psicologia faticosamente conquistato, quindi che avrei dovuto mantenere un certo “distacco professionale” con i detenuti che avrei incontrato, supponendo che sarebbero stati loro a doversi mettere in gioco, ad aprirsi e a confrontarsi apertamente con il significato, tra gli altri temi, della devianza.

Un tale atteggiamento non poteva che rappresentare un meccanismo di difesa dietro il ruolo. Invece in questo gruppo di lavoro tutti sono sullo stesso piano e quindi tutti devono mettere a disposizione del gruppo la propria esperienza e avere la capacità e l’umiltà di mettersi in gioco.

Il Gruppo era affiatato e rodato da tempo, per cui ho provato imbarazzo ed estraneità, anche per la particolarità dei partecipanti. Sia che si trattasse di personalità del mondo della cultura e delle politiche sociali, sia che si trattasse di cittadini privati della libertà in seguito ai loro reati, sono stata “costretta” a riflettere e rielaborare le emozioni di attrazione e repulsione, i sentimenti di giudizio e condanna del reo e di solidarietà/alleanza con la vittima, che inizialmente mi accompagnavano e sui quali ero focalizzata:

Comunque, una volta superato il senso di non appartenenza al luogo ne sono divenuta parte attiva, prendendo la parola ed esprimendo con spontaneità e franchezza la mia opinione sui vari temi: il rapporto genitori/figli, il rapporto con le istituzioni e le autorità, la sfida, il giro corto e il giro lungo (le scorciatoie, il voler tutto e subito contro il raggiungere i traguardi della vita con impegno e sacrificio), il tema della maschera intesa come medio sociale e come nascondimento dell’identità personale.

La delicatezza di alcuni temi affrontati, specie all’inizio del mio inserimento, m’induceva inquietudine e vergogna.  Ho trovato particolarmente impegnativi e coinvolgenti il tema della maschera e del “giro corto/giro lungo” Ho compiuto un notevole lavoro di riflessione e di introspezione per fare miei questi argomenti e vederli in una prospettiva più ampia e ragionata (abbandonando anche la mia propensione all’assoluta condanna dei soggetti propensi solo al giro corto). Proficue sono state anche le ore spese a discutere sull’utilità delle maschere, e mi sono stupita del mio coinvolgimento nel sostenere la non assoluta negatività dell’uso di esse, riportando a sostegno una citazione di Goffman in merito: “Ciò che non possiamo mai essere è semplicemente uomini e donne. Noi siamo ciò che fingiamo di essere”.

Ogni contributo era importante, sia che provenisse dallo studente sia dal detenuto. Anzi, in un certo senso posso affermare che i contributi dei detenuti hanno avuto, per me, una valenza maggiore in quanto ho dovuto ricredermi nel pre-giudizio che sino a poco prima avevo. Alcune frasi in particolare mi hanno fatto rinsaldare la convinzione che anche nell’esperienza più negativa c’è sempre qualcosa di positivo e bello che può spronare ad andare avanti e arricchirsi, per imparare dai propri errori e fare in modo che servano per rinascere migliori.

“La legge mi ha fregato due volte: la prima quando mi ha sbattuto in carcere. La seconda quando mi ha offerto l’opportunità di partecipare al Gruppo e quindi di riflettere e ricostruirmi, facendomi perdere la voglia di mandarla a quel paese” o “Nella sfortuna, la fortuna di finire in carcere e avere così il tempo materiale per riflettere con se stessi e parlarsi, per decidere di prendere le cose in mano e rimboccarsi le maniche” o ancora “Prima ero solo un uomo con una figlia, oggi sono un padre. Quindi è per questo che allora ho sbagliato” (in risposta alla domanda di uno studente di scuola superiore che chiedeva come mai gli affetti non sono stati sufficienti per non ricadere in tentazione e finire così di nuovo in carcere) sono frasi che ho voluto segnarmi per non dimenticarle. Sono state pronunciate da detenuti del Gruppo, da cui traggono tutto il buono per potersi reinventare, consapevoli dei propi errori e delle aspettative che la società ha su di loro.

La società non ci richiede ma ci esige”. Sono parole di un detenuto del Gruppo per una notevole serie di rapine, e ben esprimono questa consapevolezza ma, allo stesso tempo, la paura verso una realtà esterna che è lontana, che tutto sommato ignora la città dentro la città che è il carcere. Ed è importante il lavoro del Gruppo, che auspica di coinvolgere il più possibile le realtà esterne più dissimili.

Con il tempo ho compreso e apprezzato l’approccio non convenzionale utilizzato dal tutor verso determinati contenuti, anche molto intimi e non facili da affrontare. Mi ha segnato in particolare l’approccio irruento con un detenuto membro, condannato per omicidio.

Allo scompiglio provocatomi dalla presenza di questo detenuto e dal riuscire a rapportarmi con lui come ad un altro studente si era aggiunta l’incredulità di veder trattare per la prima volta in modo così aperto e sfacciato un omicidio così violento. Questo atteggiamento apparentemente rozzo ha avuto, invece, più di una volta la funzione di scossa verso noi membri del Gruppo, dormienti magari per timidezza o incapaci di scavare nel profondo delle tematiche proposte e dentro noi stessi.

Nel periodo di attività all’interno del Gruppo della trasgressione ho anche prodotto uno scritto su uno dei temi affrontati insieme, l’identità. Il titolo del brano era Lascio… no rimango!” e mi ha costretta a riflettere su un periodo particolare della mia vita, di transizione da un ruolo ad un altro che prevedeva maggiori responsabilità e soddisfazioni ma anche, per questo, più difficoltà. Riuscire a mettere nero su bianco quella fase della mia vita, raccontando un episodio importante mi ha aiutato a comprenderlo meglio e, ascoltando gli interventi e la successiva discussione dei membri del Gruppo ho potuto osservarlo da più punti di vista e collocarlo così tra i ricordi positivi e favorevoli alla mia crescita personale. 

Parte del mio impegno ha riguardato l’organizzazione dei convegni e degli eventi programmati dal Gruppo. Durante il mio tirocinio ho potuto partecipare a diversi incontri che si sono svolti nel mio semestre di tirocinio: nell’ottobre 2006 presso la Comunità Exodus di don Mazzi è stato organizzato un concerto: “La fecondità dell'imperfezione nelle canzoni di Fabrizio De André, concerto della Trsg.band” che ha riguardato l’aspetto produttivo e creativo della trasgressione, correlando canzoni del cantautore con scritti e interventi dei membri del Gruppo.

Nel mese di novembre 2006, presso la scuola alberghiera Carlo Porta (Milano), il Gruppo si è incontrato con alcune classi della prof.ssa Marasco, membro costante del Gruppo, per discutere di argomenti quali il sogno della crescita, come l’adolescenza sia un’età a rischio perché il sogno s’impregna della superbia e dell’arroganza della gioventù e come si può fare affinché si possa recuperare la vitalità di questo sogno perso per strada. Quindi è stato indagato anche il binomio giro corto/giro lungo.

Qualche giorno più tardi, presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale di Milano, ha avuto luogo il convegno “La percezione della Legge, la legge che compone, la legge che divide. Tavola rotonda con docenti, magistrati e Gruppo della trasgressione che cercano di rispondere alle stesse domande“. Sono state proposte riflessioni sul senso di appartenenza alla collettività, su come questo possa influenzare la percezione che ognuno ha della legge e su come il divenire dell’Identità favorisca l’evoluzione della percezione della legge. "Legge che compone" perché media tra i cittadini e riconosce le diverse esigenze che non sempre, però, sono le stesse per tutti. Legge che allo stesso tempo divide perché ci si “ricorda” di essa solo quando ci si entra in conflitto. Le riflessioni di un detenuto membro hanno portato a riconoscere che percepiamo la legge quando siamo costretti a rapportarci alla sua funzione punitiva.

Successivamente, il 16 dicembre il Gruppo ha incontrato i cittadini milanesi presso la sala convegni dello stesso Istituto di San Vittore. Il convegno-concerto dal titolo ”L'autorità del bambino: una risorsa per l'evoluzione dell'adulto” ha trattato, appunto, l’importanza del rapporto con i figli nella stimolazione dell’adulto a diventare un adulto cittadino. Inoltre ha indagato l’autorità del bambino che, però, può esistere solo se ha accanto un adulto disponibile all’ascolto. Non è quindi un’autorità che scende dall’alto, ma è un’autorità che chiede. La riflessione è stata accostata all’interpretazione di due dipinti: Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt e Il ritorno del padre di Adriano Avanzini.

Per finire nel marzo 2007, sempre presso l'Istituto Mattei di Rho (Milano) è avvenuto un altro incontro del Gruppo con alcune classi dell'istituto su progetto, questa volta, della Prof.ssa Irene Netti (altra presenza fissa al Gruppo) sui temi proposti a novembre con le altre classi.

Ho anche potuto conoscere le altre realtà di occupazione di uno psicologo ex art. 80 nell’Istituto San Vittore. In particolare, come il Servizio Nuovi Giunti, sito al V° raggio e il Servizio DARS, sito al I° raggio. Il Servizio Nuovi Giunti si occupa di detenuti appena giunti in Istituto e provenienti dalla libertà,  con l’obiettivo dell’accoglienza nell’immediatezza dell’arresto e  di valutazione nell’impatto, del rischio di suicidio. Il servizio DARS articola un intervento individualizzato nei confronti di quei soggetti che sono considerati a rischio suicidario.