Il male: presenza costante nella storia dell'uomo

 

Giulia Spoldi

 

Nelle primitive espressioni religiose, il male è identificato con una o più divinità ostili che si contrappongono a quelle benefiche. Il bene ed il male derivano da forze superiori a quelle umane.


Nella tradizione ebraica e cristiana il male è mitologicamente fatto discendere dalla rivolta degli angeli contro Dio, un peccato di presunzione commesso da esseri creati da Dio molto simili a lui. La cacciata degli angeli, la loro stessa rivolta, è un modo simbolico di raccontare l'origine del male. L'episodio della Genesi, il serpente, la mela, l'albero del bene e del male, è un altro modo simbolico di descrivere l'origine del peccato, del male, il "peccato originale".


Il pensiero filosofico greco delle origini individua il male nella materia e nella corporeità; il male è quindi ineliminabile dalla realtà.
Nel "Timeo" Platone attribuisce la malvagità umana alla mancanza di educazione e agli influssi negativi del corpo sull'anima. Il male nasce quindi dalla scarsa conoscenza del bene e dall'imperfezione della materia.

Per quanto riguarda invece la trasgressione, in questo caso legata al concetto di male, nella cultura greca veniva utilizzato un termine, hybris, il cui significato stava ad indicare la violazione dei limiti imposti dalla propria condizione. Nel mondo umano, il termine hybris si applica a coloro che trasgrediscono i limiti dati dagli dei agli uomini. In questa accezione, l'hybris rappresenta il tema centrale delle tragedie di Eschilo; qui l'uomo è un ente responsabile di sé e non è più la pedina di una divinità. Gli dei sono caratterizzati dalla Dike, l'ordine delle cose, il bene; l'uomo è libero di accettare questo ordine, ma se non lo fa ne deve subire le conseguenze. In Eschilo il male è un'entità concreta e risiede nelle cose.

La presenza del male nel mondo rappresenta un tema eterno di riflessione. Di fronte al suo verificarsi sorge spesso spontanea la domanda: "Perché il male? Perché alcuni scelgono il male?". Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: azioni malvagie sono compiute ad ogni secondo.

Le spiegazioni più recenti di questi atti devianti sono diverse: alcune privilegiano l'aspetto soggettivo, vedendo la colpa come la condizione più propria dell'uomo. Heidegger sostiene che qualunque cosa l'uomo faccia, la fa a partire dal suo poter essere incolpato. L'impulso ad essere deviante, cioè, viene dall'individuo.

Altre teorie invece sottolineano la componente ambientale: Rousseau aveva assolto l'individuo accusando la società. La natura umana è buona e senza colpa, ma diventa colpevole là dove un'istanza d'ordine superiore la reprime.
Anche Nietzsche si era posto sulla stessa linea, accusando prima Dio, poi i nobili e i monarchi ed infine la società di imporre all'uomo comportamenti che vanno contro la sua stessa natura.
Questa strada è la stessa seguita da Freud che analizza il comportamento deviante nello scritto "I delinquenti per senso di colpa", pubblicato nel 1916. Secondo Freud esiste un senso di colpa originario che viene mitigato dal commettere un atto illecito. Il senso di colpa deriva dal complesso di edipo, come reazione al desiderio di uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre. E' evidente anche nei bambini che "diventano cattivi per provocare la punizione e dopo essere stati castigati si tranquillizzano e si pacificano".( Freud)
Il delinquente compie delle azioni che lo caricano di una colpa in modo da accantonare un'altra colpa più destabilizzante e di maggiore portata.
Franz Alexander, come Freud, notò che alcuni criminali vivono un senso di colpa nevrotico a causa di desideri o fantasie interne che sentono sbagliate o proibite. Il loro comportamento criminale è il tentativo di comportarsi in modo tale che il mondo esterno li punisca mettendo a tacere la loro coscienza.

Winnicott, parlando della tendenza antisociale, sostiene che il bambino quando ruba, non vuole le cose che ruba ma è alla ricerca di qualcosa a cui ha diritto; egli reclama dalla madre e dal padre questo qualcosa perché si sente privato del loro amore. Il bambino, che ritiene sua la mamma, quando capisce che gli sta venendo tolta, reagisce sentendosi tradito.
Esiste quindi un rapporto tra tendenza antisociale e privazione: quando c'è una tendenza antisociale significa che si è verificata una vera privazione. Al bambino è stato tolto qualcosa di positivo di cui aveva goduto per un certo periodo. Questo ritiro è durato più a lungo del periodo di tempo in cui il bambino riesce a tener vivo il ricordo dell'esperienza; il desiderio di riappropriarsi dell'oggetto mancante, la frustrazione, la rabbia lo indurranno a reagire difensivamente.
Il bambino che ruba, secondo Winnicott, sta solo riappropriandosi di ciò che è suo.
La delinquenza, quindi, rappresenta la fame oggettuale primitiva e precoce della madre che una volta era stata posseduta, e poi era stata perduta, la madre che il delinquente spera di riconquistare con questo comportamento. Egli considera questa soluzione un segno positivo perché significa che il delinquente sta ancora cercando e non ha ancora rinunciato.

Per quanto riguarda la famiglia del giovane deviante, essa è spesso costituita da una figura materna fragile e priva di competenze educative, che pone il figlio sul suo stesso piano chiedendogli non solo sostegno ma anche rivalse nei confronti degli uomini. Dal canto suo spesso il padre è debole sul piano affettivo ed educativo, malato o depresso, oppure è una figura autoritaria e aggressiva che sostituisce con l'onnipotenza fallica una carente potenza virile.
Se il ruolo paterno è carente, per queste caratteristiche del padre o perché la madre non gli lascia spazio nella relazione con il figlio, viene a mancare allo sviluppo del giovane deviante chi lo separi dalla madre e ne consolidi l'identità di genere.


L'impulso a trasgredire si collega inoltre al concetto di spazio, costituito dalle risorse di una persona, dalle sue possibilità oggettive, ecc..
Lo spazio risulta tanto più angusto quanto maggiore è la rabbia, il senso di tradimento, la consapevolezza di aver perso qualcosa.
L'atto della trasgressione nasce come risposta all'esigenza di avere uno spazio per cercare, per delineare una identità personale che, nello spazio in cui il soggetto dispone non riesce ad esprimere.
Quindi la problematica della trasgressione è collegata con la necessità di trovare dei supporti per la propria identità. Molte volte infatti la trasgressione è legata alla mancanza di strumenti utili per costruire la propria identità e perseguire i propri obiettivi all'interno di spazi riconoscibili.

Il tema della scoperta e dell'affermazione della propria identità riguarda soprattutto la fase dell'adolescenza, quando nel tentativo di rassicurarsi circa la superiorità del proprio corpo e del proprio sé, gli adolescenti insicuri possono compiere azioni illegali o addirittura criminose, nel caso in cui non riescano a trovare modi più positivi per affermare il proprio valore.
Questi atti rappresentano un modo per dichiarare la loro superiorità nei confronti di una società di cui disprezzano i principi e dalla quale si sentono a loro volta disprezzati.
Il bisogno di sfidare i genitori o la società costituisce un fattore importante nella formazione della personalità delinquenziale ma alla fine è la mancanza di rispetto per se stessi la causa del comportamento delinquenziale. La delinquenza rappresenta un tentativo disperato di ignorare l'idea di essere una nullità, di non valere niente.
Spesso queste idee nascono da esperienze infantili che avevano fatto sentire al bambino che il suo corpo, e insieme ad esso la sua persona, non avesse valore.

Le cause che possono portare alla devianza quindi sono diverse e, in generale, sono rappresentate da fattori di malessere individuale molteplici ai quali vengono assommati fattori esterni conseguenti per esempio a marginalità sociale. Spesso questa inadeguatezza della persona a inserirsi in un determinato contesto sociale viene attribuita sia a fattori interni al soggetto, sia , soprattutto, a una generalizzata incapacità del mondo adulto a riconoscere le sue esigenze e il suo bisogno di realizzazione.

Dalla cronaca recente: una madre uccide il figlio, il figlio uccide il padre, un altro la madre e si potrebbe continuare all'infinito…La spiegazione qual è? Perché proprio loro, che erano persone come tante altre? A queste domande sono state date diverse risposte: per alcuni il male risiede nella società, nella famiglia; per altri nell'individuo. Probabilmente sono vere entrambe le spiegazioni ma una domanda del genere non può avere una risposta certa e univoca.

L'unica cosa sicura è che questi "devianti", sicuramente colpevoli, sembrano a loro volta vittime di qualcosa che si è abbattuto su di loro.