Lo spazio per non soccombere

Rossella Dolce

2001

Buongiorno io ho scritto una tesina dal titolo "il dolore e l'arte".
Credo che questi due termini siano accomunati dall'idea di una sfida; in particolare il dolore è il motivo che spinge a lanciarla, e l'arte è uno dei suoi possibili sbocchi.
La sfida di cui parlo è quella che io credo vivano tutti i ragazzi quando si trovano ad affrontare la realtà e la società di cui si vuole far parte.
Ci si accorge però che questa realtà non è completa; è imperfetta perché non risponde del tutto ai nostri bisogni; a volte sembra proprio che le manchi esattamente quello di cui noi avremmo bisogno; a volte ci sembra che con le nostri azioni potremmo essere proprio noi a renderla più vivibile, a volte ci pare che realtà e società siano irreversibilmente e colpevolmente imperfette.

La discrepanza che si vede tra quello che esiste e quello che vorremmo esistesse è fonte di profondo disagio, un disagio che, nella sua forma estrema, diventa dolore.
Motivo del disagio è la difficoltà di ritagliarsi un posto in questa società: un posto nel quale esprimersi e individuare quello che conta per noi nella vita, un posto dove poter fare le proprie scelte in modo da non sentirsi anonimi nella folla, catturati e appiattiti dentro consuetudini che non ci appartengono.

Il posto di cui parlo è quello che in Winnicott chiama spazio potenziale e che definisce come "spazio mentale che permette alla persona di porsi nella realtà in modo positivo e creativo, così da superare più facilmente gli ostacoli che in essa si possono trovare".

Il bisogno di questo spazio è bene espresso, secondo me, nello scritto di Ivano Longo quando Ivano dice:"abbiamo le stesse cose dentro, eppure a volte sento il bisogno di essere diverso dagli altri, sento il forte bisogno di trasgredire da questo essere uguali, da questo senso d'appartenenza, d'oppressione; sento la necessità di contrariare l'etica, di lottare per il bisogno di affermare me stesso, sia con me stesso che con gli altri e questo sempre, per paura di essere schiacciato da quello che può essere l'essere uguali".

Da questo sentimento nasce sempre un'azione che per sua natura è istintiva, drammatica per il suo significato, forte per l'impatto sulla società e dettata quasi da un istinto di sopravvivenza: infatti, l'uomo che si ritrova in questa situazione di disagio si ritrova schiacciato, soffocato e quindi reagisce per affermare il proprio diritto alla sopravvivenza.

Un pittore, Munch, ha dipinto questo stato, che per lui è diventato di profonda angoscia; il soggetto del quadro ha un volto che non è più umano; somiglia piuttosto a un teschio, e ciò dà un'idea del sentimento di morte che si avverte in questa situazione (vedi anche "Trasgressione e Arte").

L'azione che lui voleva rappresentare era quella di urlare, infatti il soggetto urla tanto da stravolgere la realtà e la sua armonia: si vede infatti che la rappresentazione del paesaggio non è quella che ci aspetteremmo, ma il risultato di uno sguardo carico di angoscia che rintraccia nelle forme della realtà l'angoscia che ha dentro.

Ma Munch, anziché urlare fisicamente, utilizza per esprimersi lo strumento della pittura, cioè un canale espressivo con delle proprie regole, come quelle delle linee o dei colori che delimitano e dividono le forme e quindi ha organizzato la sua emozione in forma di discorso.

Ed è proprio questa forma che lo rende comunicabile e che rende possibile che noi quando lo guardiamo, riconosciamo l'emozione che ha portato Munch a dipingerlo, perché è uguale a quella che possiamo trovare in noi, è uguale a quella che ci spinge a sfidare l'etica sociale.

E' in base a queste emozioni che si lancia la sfida con l'obiettivo di potersi esprimere!
Un esempio di sfida lanciata per denunciare una realtà opprimente e, al tempo stesso, trasformarla viene da un film:"Le ali della libertà".

Il protagonista di questo film si chiama Andy e viene messo in carcere pur essendo innocente; all'esterno egli aveva una vita di cui era soddisfatto.
Quando entra in carcere un compagno gli dice riferendosi al carcere:" è la tua vita che vogliono ed è la tua vita che si prendono". Questo stesso carcerato è piuttosto anziano e ha trascorso più di metà della sua vita in carcere; egli sta per uscirne a breve per buona condotta; una volta fuori, però, non trova il modo di inserirsi nuovamente nella società e pensa di essere troppo vecchio e stanco per cercarlo. Decide di suicidarsi e spiega i motivi che l'hanno spinto a farlo in una lettera che arriva ad Andy.

E' proprio a questo punto che il protagonista decide di lanciare la sua sfida: ovvero di portare all'interno del carcere degli strumenti organizzati che permettano sia a lui sia agli altri detenuti di poter esprimere le proprie emozioni e di poter continuare a costruire la propria identità. questi strumenti sono chiamati appunto "le ali della libertà".

Andy costruisce quindi una biblioteca fornita e poi fa sentire in diffusione ad ogni cella una musica lirica. Un detenuto descrivendo le emozioni che ha provato sentendola, dice: "quelle due voci si libravano nell'aria ad un'altezza a cui nessuno di noi poteva sognare d'arrivare, era come se un uccello meraviglioso fosse entrato nella gabbia in cui stavamo facendola dissolvere nell'aria, per un istante tutti gli uomini del carcere si sentirono liberi".

Quegli uomini si sono sentiti liberi, perché il mezzo che Andy ha fornito loro è stato la musica, e la musica ha un inizio ed una fine, e attraverso il ritmo, la melodia e le pause è uno strumento che riesce ad organizzare i sentimenti in un discorso che è reale. quindi in quel momento, ogni detenuto ha potuto rintracciare, riconoscere e sentire le proprie emozioni e le ha viste espresse all'interno della musica.
La musica ha permesso la creazione del loro spazio mentale!

Andy rappresenta così la persona che si trova a contatto con l'oscurità del dolore e con i suoi mezzi trova la via di uscita per sé e per alcuni dei carcerati, che vedono improvvisamente in lui la persona che ha allargato il loro campo e il loro spazio.
Si potrebbe obiettare che l'esempio che ho portato è un film, ovvero una storia inventata dalla fantasia di un regista che voleva che le cose andassero così ma che in realtà è difficile che avvenga.

Io però dalla mia esperienza posso dire di avere incontrato nella vita delle persone che hanno fatto per me quello che fa Andy per i carcerati e una di queste è Ariosto, il quale dice :" c'è solo una cosa che può far tornare il senno a chi l'ha perduto: la poesia, ovvero lo stupore per la bellezza di quel che accade, anche se questo non assomiglia immediatamente a quello che vorremmo".

Questa frase mi ha fatto capire che esistono dei mezzi che posso usare per modificare la mia realtà secondo i miei bisogni e che mi permettono di esprimermi al meglio in modo da farmi capire dagli altri e in modo da aprire un dialogo con loro.

Mi ha fatto anche capire che dev'essere una possibilità di tutti presente in ogni luogo anche all'interno di un carcere