Giustizia e Società

 

Antonella Cuppari

 

Premessa

Sono giunta al micro-corso sulla devianza in età adulta portando con me tante domande… Chi sono i criminali? Qual è il segreto che sta dietro a certi ignobili atti? Perché la mente umana può giungere a tanto? Quanto è recuperabile un reo?
Ora che il corso si è concluso, posso dire di avere la risposta? No, naturalmente. Ma una cosa l'ho imparata: non bisogna mai smettere di dare carburante a queste domande, perché la domanda porta alla riflessione e la riflessione permette di vedere i fatti sotto tanti punti di vista… e se la riflessione riesce a mettere da parte la rabbia, forse da essa può anche scaturirne un'evoluzione.

Durante il micro-corso si sono affrontati numerosi argomenti, ma ce ne è stato uno in particolare che mi ha colpito e ho deciso di approfondire:il rapporto Giustizia e società.
Insomma qual è il ruolo della Giustizia? Qual è la funzione della pena? Come mai nella società vi è tanta insoddisfazione nei confronti della Giustizia?
Coerentemente con quanto ho detto sopra, non pretendo di dare una risposta a queste domande, ma spero che questo lavoro possa essere uno spunto per una riflessione… una riflessione che può portare anche a vedere al di là delle mura difensive che tutti noi ci creiamo per far fronte ai fatti che ci fanno paura.
Il mio lavoro si è diviso in tre parti:

 

PARTE I: Questionario

Questo che ti sto per proporre è un questionario che ha lo scopo di capire cosa pensi riguardo a certi fenomeni di cronaca nera di cui ogni giorno vieni a conoscenza. Esso non vuole giudicare il tuo modo di pensare, ma semplicemente lasciarti uno spazio per dire la tua opinione. Per farti sentire più a tuo agio, non sarà necessario che tu indichi il tuo nome e cognome; sarà sufficiente che tu scriva la tua età, il tuo sesso e la tua professione.
Grazie in anticipo per la tua partecipazione.


ETA':

SESSO: (M) (F)

PROFESSIONE:

  1. Oggi giorno, sui giornali, alla TV alla Radio, le notizie di cronaca nera sono le protagoniste incontrastate. Di fronte a un furto a una violenza sessuale, a un omicidio, qual è la tua prima reazione emotiva?

  2. A distanza di tempo, le tue idee relative a quel determinato fatto di cronaca rimangono uguali alla tua reazione iniziale o si modificano?

  3. Quale destino augureresti ad un criminale?

  4. A tuo avviso, come una persona diventa delinquente? Nasce cosi? Lo diventa? O che altro?

  5. Un ladro, un assassino, un pedofilo, un rapinatore… Cosa secondo te li accomuna?

  6. Come ti comporteresti, cosa diresti, se avessi la possibilità di trovarti di fronte ad un criminale (es. un pedofilo)?

  7. Cosa provi nei confronti di chi commette un omicidio?

  8. Secondo te una persona che arriva a commettere un atto ignobile (es. pedofilo che uccide un bambino, figlio che ammazza i genitori…) è cosciente di ciò che fa? Fino a che punto?

  9. Che tipo di pena infliggeresti ai criminali?

  10. Secondo te, un delinquente, come vive dentro di sé ciò che ha fatto?

  11. Sei soddisfatto del modo di operare della giustizia? Se non lo sei, come vorresti si comportasse nei confronti dei parenti delle vittime e dei criminali?

  12. Secondo te quali misure preventive potrebbero essere attivate per far fronte al fenomeno crescente della criminalità?

  13. Secondo te la reclusione in carcere, in assenza di programmi di recupero, è un provvedimento efficace? Pensi cioè che sia utile a lasciar desistere un delinquente dal commettere reati?

  14. Quale deve essere secondo te il ruolo della giustizia? Ti senti tutelato da essa?

  15. Secondo te, quanto è importante lasciare spazio all'opinione pubblica di esprimere la propria idea relativa agli eventi di cronaca nera? La situazione attuale lo permette?



PARTE II: Intervista al Dott. De Vincenzi - Giudice per le Indagini Preliminari

Qual è il ruolo della Giustizia nei confronti della società in relazione ad un atto delittuoso? E nei confronti del criminale?

Per rispondere a questa domanda è importante capire quali sono le funzioni della pena, perché poi in ultima analisi il compito della Giustizia penale è ricercare le prove, e ricercare gli autori dei fatti di reato. Il problema è duplice: si tratta di capire quali atti debbano essere sanzionati penalmente (attuare la legge), e si tratta di garantire l'esecuzione della pena.
Il problema si riverbera sulle funzioni della pena che sono sostanzialmente tre:

  1. Rieducazione del condannato
    Esiste una norma costituzionale, l'art. 27 della Costituzione secondo cui " la pena deve tendere alla rieducazione del condannato". Quindi tutta l'attività della Giustizia penale (che è in particolar modo evidenziata nella Giustizia minorile, ma lo è anche per quanto riguarda gli adulti) accanto a un compito di difesa sociale, deve favorire la rieducazione e la risocializzazione del reo.

  2. Difesa sociale

  3. Funzione general-preventiva
    Secondo alcuni la pena dovrebbe anche avere la funzione di dissuasione, di minaccia, di spauracchio. Il fatto che nei paesi come il Nord America si difenda molto la pena di morte è da far risalire alla convinzione che molti hanno che, l'esistenza della massima pena possibile, possa fungere da deterrente. Questa posizione è da molti sostenuta anche se diversi criminologi hanno ormai dimostrato che la pena di morte non ha potere dissuasivo.

 

Riprendendo la prima funzione, esistono nelle carceri italiane delle figure, quali lo psicologo, che assistono i detenuti?

Sì certo. C'è un osservazione criminologia, anche perché in sede dell'esecuzione della pena c'è un organo giudiziario apposito, la Magistratura di sorveglianza, che è deputata a evidenziare lo strumento di trattamento penitenziario più adeguato e, in particolare, a scegliere se fare accedere o no il detenuto a pene alternative (semidetenzione, affidamento in prova ai servizi sociali…).
In buona parte delle carceri italiane esiste questa figura; inoltre la legge impone anche un colloquio psicologico all'ingresso per prevenire atti di autolesionismo da parte dei detenuti.

 

Come è organizzata la vita in carcere?

Questo varia da istituti a istituti. Ci sono carceri che sono un po' come il fiore all'occhiello del nostro sistema penitenziario; per esempio Porto Azzurro (carcere dell'Isola d'Elba) dove viene stampato un giornale e anche a Padova c'è qualcosa del genere.
Non in tutte le carceri ci sono esperienze di questo tipo, però le ritengo molto importanti, perché la prima fase di socializzazione è la presa di coscienza del perché si delinque. E' un processo che deve partire dall'interno del reo, attraverso una riflessione.

 

Forse questo tipo di attività svolte in carcere possono anche aprire lo spiraglio per una comunicazione del reo con la società. La società tende a voler emarginare a tutti i costi il criminale ed inoltre, da quello che sto rilevando dai questionari che ho fatto compilare alle persone, la gente non sembra essere molto soddisfatta del modo di operare della Giustizia. Qual è secondo lei il motivo di tale malcontento?

Il problema è duplice.

 

Quanti dei detenuti che hanno avuto la possibilità di seguire programmi di recupero in carcere, e che poi sono stati rilasciati, hanno abbandonato la via della delinquenza?

E' difficile dare dati sicuri; succede che anche soggetti assistiti in carcere poi finiscano per delinquere nuovamente. Certo è che un delinquente seguito e assistito ha più probabilità di desistere dal commettere nuovi reati. Purtroppo dipende molto dal tipo di criminalità: di fronte alla criminalità organizzata, per esempio, il problema non riguarda l'atto deviante di una singola persona bensì riguarda una scelta di vita globale in una certa cultura. E' importante fare un'analisi di tipo eziologico e chiedersi cosa ha portato il soggetto a delinquere; solo dopo che avremo capito questo potremo cercare il trattamento più adeguato. A seconda della tipologia di reato, insomma, abbiamo più o meno possibilità di recupero utilizzando gli strumenti del trattamento.

 

Io so che soltanto coi minori è possibile fare una perizia criminologia; perché con gli adulti è possibile fare solo una perizia psichiatrica che permetta di valutarlo solo in termini di "capace di intendere e volere"?

Questo perché si ritiene che lo scavo sulla personalità del soggetto, che è finalizzato a trovare la sanzione più adatta, possa influire sul giudice nel momento in cui deve decidere se il soggetto è colpevole o no. Per esempio se noi somministriamo ad un soggetto un Rorschach, e da questo test emergono delle proiezioni sadiche, potrebbe succedere che il giudice, che teoricamente dovrebbe utilizzare il test solo per scegliere la sanzione più adatta, di fronte a prove non certe potrebbe essere propenso a giudicare colpevole il soggetto sulla base di quanto ha scoperto dal Rorschach. L'argomento della possibilità di una perizia psichiatrica in soggetti adulti è ancor oggi oggetto di discussione.
Lo scopo del processo minorile, invece, è a maggior misura concentrato sul recupero del minore e quindi conoscere la personalità del soggetto risulta fondamentale.

 

Da questo risulta che nei soggetti adulti è possibile solo una perizia psichiatrica che valuti la "capacità di intendere e di volere"? Di che cosa si tratta?

La perizia psichiatrica non valuta solo la capacità di intendere e di volere, ma anche la pericolosità sociale. Il nostro ordinamento infatti, sotto il profilo delle sanzioni si basa su un metodo a doppio binario; ci sono cioè:


Se il soggetto è ritenuto socialmente pericoloso, cioè se c'è il pericolo che possa reiterare di nuovo nel reato, il giudice o in alternativa o congiuntamente alle pene principali, può applicare la misura di sicurezza.

Per quanto riguarda la capacità di intendere e di volere un soggetto può essere ritenuto:

  • totalmente incapace di intendere e di volere:

se non socialmente pericoloso: l'individuo viene prosciolto per infermità mentale senza ulteriori sanzioni.
se socialmente pericoloso: l'individuo verrà collocato per un tempo variabile presso un ospedale psichiatrico giudiziario

  • parzialmente capace di intendere e di volere;
sanzione mista (pena detentiva ridotta e misura di sicurezza)
  • capace di intendere e di volere:
pena detentiva piena.


Per quanto riguarda cosa si intende per capacità di intendere e volere ci sono intere biblioteche che ne parlano ed inoltre varia da ordinamento a ordinamento. Per esempio negli USA si ha una concezione della capacità di intendere e di volere di tipo etico; un soggetto è capace di intendere e volere se è capace di apprezzare se l'azione che sta compiendo è eticamente accettabile oppure no.
In Italia, col positivismo è subentrato invece un criterio di tipo nosografico; cioè è incapace di intendere e volere il soggetto che non si è reso conto dell'azione che andava a compiere oppure che ha un impulso tale all'azione, che tale impulso non poteva essere fermato.
In particolare:

  • capacità
    di intendere
capacità di apprezzare ciò che si sta facendo e le conseguenze di tale azione
  • capacità
    di volere
capacità di autodeterminarsi, possibilità di bloccare l'impulso criminale
Quando bisogna testare la capacità di intendere e volere di un criminale, quante figure entrano in gioco?

Ci possono essere più perizie.
Il procedimento penale si compone infatti di tre fasi:

1) Indagini preliminari
Con l'attività d'indagine inviata dal Pubblico Ministero (controparte della Difesa); già questo, quindi, può ritenere necessario fare valutare la capacità di intendere e di volere nominando un suo esperto.


2) Udienza preliminare
Terminate le indagini preliminari, c'è poi l'udienza preliminare; qui interviene il Giudice per le indagini preliminari (G.I.P) che vaglia se all'esito dell'attività istruttoria del Pubblico Ministero ci siano o no elementi sufficienti per rinviare a giudizio il soggetto. Anche il GIP in sede di udienza preliminare può disporre la perizia.


3) Dibattimento
Si arriva così alla terza fase del processo penale, che è il Dibattimento, e anche in questo momento il Giudice del Dibattimento può chiedere un'ulteriore verifica della capacità di intendere e di volere.

 

Durante il Dibattimento quali sono le parti coinvolte?

Si ha la triangolazione consueta, e cioè: il giudice, il Pubblico Ministero e la Difesa. Poi in aggiunta ci può essere la parte offesa (parenti della vittima…) che può produrre prove nel corso delle indagini e costituirsi parte civile per chiedere risarcimenti.

 

La Giustizia riserva delle forme di supporto (psicologico…) ai parenti delle vittime?

No, anche se questo aspetto comunque sta al tatto e alla sensibilità del singolo magistrato; ci sono magistrati che si adoperano infatti, per rendere meno penose le conseguenze del reato sulle vittime.

 

Prima di arrivare alla fase del Dibattimento, che restrizioni vengono date al delinquente?

Ci sono quelle che vengono chiamate misure cautelari; cioè a fronte di certi presupposti (gravità del fatto di reato, sussistenza delle esigenze cautelari: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento della prova, reiterazione del reato) e a fronte di gravi indizi di colpevolezza, il Pubblico Ministero può chiedere al GIP l'attuazione di una misura cautelare (obbligo di soggiorno, divieto di soggiorno…)

 

Lei è personalmente soddisfatto del modo di operare della Giustizia Italiana?

Io credo abbiamo raggiunto un equilibrio accettabile fra quelle che sono le esigenze di tutela sociale e le esigenze di difesa e garanzia dell'imputato. Il problema base, secondo me, non è tanto l'efficacia o l'efficienza del procedimento, quanto la selezione delle fattispecie penali; bisognerebbe selezionare solo i fatti veramente più gravi da sanzionare penalmente. Oggi c'è un'ipertrofia del processo penale, cioè ci sono troppe violazioni che trovano una risposta penale, con la conseguenza che si arriva a una sorta di paralisi operativa.

 

Qual è l'andamento del fenomeno criminale negli ultimi anni in Italia?

La criminalità non è in aumento; in relazione a molte tipologie criminali (rapine, sequestri di persona, violenze carnali..) c'è una contrazione del numero di reati. Il problema è che sono in aumento i reati più comuni e meno gravi (furti d'auto, furti in casa…)
Molto spesso si pensa che la criminalità sia in aumento; ciò è causato da:

 

Secondo lei il divario che c'è tra società e Giustizia può derivare dalla percezione distorta che ci giunge dai media? Come potrebbe diminuire questo divario?

Sì, sicuramente. Bisognerebbe garantire una maggior comunicazione tra la società e i giudici. Un grosso problema in questo senso è l'obbligo di segretezza che noi, giudici, abbiamo in una serie di attività. Ovviamente i giornali, così come le parti in causa (Pubblico Ministero, Difesa) non hanno questi vincoli e ciò può essere causa di una percezione distorta della realtà processuale.
In Italia, tra le altre cose c'è un forte pendolarismo che si registra ormai da decenni: ci sono periodi in cui la società si sente rappresentata e si stringe intorno alla magistratura e periodi in cui ciò non avviene; forse adesso ci troviamo in uno di questi periodi.


PARTE III: Qualche riflessione…


Giustizia e società: sembra di parlare di due persone in continuo conflitto, di un genitore che vuole educare e tutelare e di un figlio che si sente abbandonato, ingiustamente trattato e in continuo pericolo. Perché?

Come in tutti i conflitti, anche in questo vi è una causa scatenante che nello specifico è il reato, il crimine. Di fronte a un fatto così grave le reazioni sono tante; la società è incredula, ha paura, si sente ferita. Le persone si sentono minacciate e da questa sensazione di insicurezza personale emerge il bisogno di sentirsi protetti escludendo colui che è accusato di aver portato tale minaccia.

Quando nel questionario ho chiesto che tipo di emozioni si provano di fronte a determinati reati le risposte sono state: avversione, rabbia, incredulità, disprezzo, pietà, compassione, sete di vendetta, odio, tristezza, pena, disgusto, incomprensione, ribrezzo, collera, "schifo".
Io credo che alla base di tutti questi stati d'animo vi sia un denominatore comune: LA PAURA. La paura è una risposta emotiva ad uno stimolo avvertito come minaccioso per se stessi e porta ad una reazione di tipo attacco-fuga.
Nella situazione specifica la società si sente minacciata dall'interno e per questo motivo il desiderio primario che emerge è quello di voler escludere il colpevole.
Quando nel questionario ho chiesto che tipo di pena si infliggerebbe personalmente ad un criminale, le risposte indicano, quasi tutte, una propensione a "eliminarlo", "emarginarlo", escluderlo dalla società.

L'unico strumento in Italia in grado di soddisfare questa esigenza è l'ergastolo (anche se molti si sono dichiarati a favore della pena di morte); questa condanna può essere inflitta solo se il condannato è stato giudicato "capace di intendere e volere". Secondo quanto detto dal Dott. De Vincenzi, con "capacità di intendere" si fa riferimento alla capacità di apprezzare ciò che si sta facendo e le conseguenze di tale azione, mentre per "capacità di volere" si intende la capacità di autodeterminarsi, di bloccare l'impulso criminale.

Questo quadro però porta ad un paradosso: per essere punita e avere l'ergastolo, il criminale deve essere giudicato "capace di intendere e volere. Per essere capaci di intendere e volere, è necessaria sicuramente una buona dose di autocontrollo, di lucidità, di previsioni future relative alle conseguenze delle proprie azioni. Quanto un pedofilo, quanto un serial killer, quanto un figlio che uccide i genitori possono essere giudicati in possesso di tali capacità?

Nello stesso questionario molte persone si sono fatte portavoce di questo paradosso, oscillando dalla considerazione del criminale come cosciente (" secondo me ogni qualvolta un criminale commette un reato è cosciente di ciò che fa") come incosciente ("Penso che non sempre si renda conto di quello che fa") oppure esprimendo esplicitamente il paradosso ("Io sono convinta che quasi la totalità di queste persone siano coscienti di ciò che fanno, anche se è impensabile che gente "normale", "sana", possa commettere simili atti").

Questo paradosso porta la società ad essere eternamente insoddisfatta: più un crimine è grave, più risulta incomprensibile ad una persona "normale" e più fa paura e si vorrebbe eliminare il colpevole. Ma se il criminale, che coerentemente con quanto ha fatto, è giudicato incapace di intendere e volere, come fa ad essere punito?
Io credo che sia fondamentalmente questo uno dei principali motivi di insoddisfazione e sfiducia nei confronti della Giustizia. La società di fronte a questa domanda scaturita dal paradosso, esige una risposta dalla Giustizia.
Il Giudice è colui che deve rispondere a questa domanda; egli però non ha una responsabilità solo verso la società, ma anche verso la vittima e verso il reo. La Giustizia non ha solo il compito di misurare quanto il criminale era capace di intendere e volere al momento del reato. Altra funzione importante e forse essenziale è l'orientamento; non bisogna mai dimenticare che il criminale è comunque un membro della società. Lasciare una persona in galera può placare l'ira e la paura della società, ma se ciò avviene senza altri provvedimenti di tipo propulsivo, il carcere non porta altro che a una riduzione e a un appiattimento ulteriore delle sue capacità di scelta e delle sue risorse.

La Giustizia, per far fronte alla rabbia della gente, ha perso di vista questa sua seconda importantissima funzione, che tra l'altro, come chiaramente indicato dal Dott. De Vincenzi, è sottolineata nell'articolo 27 della Costituzione, secondo cui "la pena deve tendere alla rieducazione del condannato".

Certo è normale aver paura di fronte a atti criminali come quelli che si sentono ogni giorno alla televisione; certo è normale provare rabbia e desiderare di eliminare la fonte di tale disagio emotivo.
Ciò che però contraddistingue l'essere umano dagli altri animali, è quella sua capacità di andare oltre tali vissuti, di andare oltre la facciata che una persona mostra di sé; questa capacità è l'empatia, la comprensione dello stato mentale altrui, che fa parte di una funzione più generale che è la metacognizione.
Non dico che non ci debba essere pena per i criminali. La pena è fondamentale, ma non serve a nulla se viene utilizzata come strumento per placare l'ira della società; essa è realmente utile per tutti se oltre a essere un importante mezzo di difesa sociale, si prefigge anche l'importante obiettivo di rieducare il condannato.

Vorrei concludere la mia riflessione con uno stralcio tratto da un articolo della rivista "Psicologia Contemporanea" (n.169 . pag.55) del professore G.V. Caprara, e che mi ha colpito molto:

"In tema di violenza dovremo rapidamente abituarci a ragionare in termini di complessità. (…) Generalmente ci si occupa molto della vittima, o per lenirne le ferite, o per capire le ragioni delle sue "provocazioni" nei confronti dell'aggressore. Di quest'ultimo, invece, ci si occupa assai meno: di solito non assistiamo a nulla più che alla consueta divaricazione tra quanti pretendono la severità della pena e quanti reclamano l'incisività delle misure preventive e riabilitative.

Ma se vogliamo veramente prendere la parte delle vittime, dobbiamo capire le ragioni dei persecutori: cosa pensano, come dialogano con se stessi, che cosa si dicono. Ciò ha importanti implicazioni sia per quanto riguarda il riconoscimento delle responsabilità, quindi l'imputabilità, sia per quanto riguarda le misure preventive, dissuasive e repressive. (…)

L'Io non è mai un Io senza ragioni; è sempre e comunque un calcolo ed un ragionamento che portano ad effetti violenti. Certo, un calcolo fallace e un ragionamento perverso, ma non per questo meno decisivi. E' ad essi, in ogni caso, che dobbiamo avere la costanza di fare riferimento. Solo così potremo spiegare ai burocrati del terrore perché devono essere puniti per avere fatto il loro dovere".