Il problema della libertà

Massimo Cacciari

Enciclopedia scienze filosofiche

 

Spinoza nella sua "Etica" - è una delle prime proposizioni - dice:

"Diciamo libera quella cosa che esiste per sola necessità della sua natura, e si determina ad agire da sé sola".

Questa è la definizione più rigorosa che possiamo dare del termine libertà. Ma allora nessun uomo potrebbe dirsi veramente libero sulla base di questa definizione; nessuno di noi può dirsi libero, poiché la nostra mente è sempre determinata ad agire da questa o quella causa. E questa causa è ancora determinata da un'altra causa, e così via all'infinito.

Allora quaggiù in questo mondo qualcuno può dirsi libero? Se guardiamo bene, la definizione di Spinoza è davvero convincente: possiamo forse dire libera qualcosa che non sia determinata ad agire da sé sola? Come posso dire libera una cosa che determinata ad agire da altre cause? Non posso dirla libera. Ma noi siamo determinati ad agire da altre cause, e le cause che ci determinano ad agire sono a loro volta determinate da altre cause. E allora in questo mondo vi è qualcosa che possa dirsi libero sulla base della definizione spinoziana?

Ecco la domanda, la domanda che ci rivolgiamo, la domanda che ci inquieta, che ha sempre inquietato la nostra riflessione, e non soltanto la nostra riflessione di filosofi, ma la riflessione di ognuno di noi. Ma perché ci rivolgiamo questa domanda? Perché ci inquieta tanto questa domanda che sembra senza risposta e che probabilmente forse è senza risposta? Probabilmente noi ci rivolgiamo questa domanda così inquietante, così radicale perché non siamo - diciamola così - contenti del nostro agire: se noi fossimo contenti del nostro agire, se la nostra azione ci contentasse, se noi fossimo soddisfatti della nostra azione, ci rivolgeremmo questa domanda, ci chiederemmo se siamo liberi? Probabilmente no.

L'animale non si pone questa domanda, per quanto possiamo saperne; l'animale non si pone la domanda della sua libertà perché l'animale è contento della sua azione, è assolutamente determinato, è assolutamente dominato dalle cause che lo spingono ad agire. Ma in questo essere totalmente dominato e totalmente determinato da queste cause è in esse contento, è a causa in esse, e quindi non si interroga sulla sua libertà. Noi ci interroghiamo sulla nostra libertà perché nel nostro essere determinati, nel nostro essere causati, non siamo contenti; cioè la nostra azione non ci soddisfa in realtà mai. Per questo chiediamo: "siamo liberi?".

Ci chiediamo: "siamo liberi?": perché ce lo chiediamo? Questa interrogazione deriva da una profonda inquietudine, che deriva a sua volta da una profonda insoddisfazione, e cioè il nostro 'èrgon', il nostro agire, il nostro lavoro - così tradurrei il termine greco 'èrgon', proprio: 'lavoro' -, il nostro lavoro non sa mai raggiungere una 'enèrgheian', come dicevano i Greci: non è mai perfettamente a posto in sé, non è mai in pace con sé, non è mai vero atto; è sempre qualcosa che manca, è sempre qualcosa che soffre di una assenza, di una miseria, di una povertà, che non sa mai compiersi, che non sa mai perficersi, cioè non dà mai vita a qualcosa di perfetto. Perciò noi ci chiediamo: ma siamo liberi? Ma siamo liberi? Come mai non produciamo mai qualcosa in cui essere in pace? Forse perché non siamo liberi, forse perché c'è qualcosa di cattivo che ci determina ad agire.