Peralba

 

Rossella Dolce

24-03-2004  

4 luglio 1998

Ore 7.30: è il terzo giorno di vacanza e oggi il programma dice: PERALBA, una montagna tra le più dure da scalare delle dolomiti, una grande sfida.

Chi del mio gruppo ha già provato questa esperienza mi ha dato dei suggerimenti: la pendenza lungo la salita cambia spesso, bisogna tenere costante il passo per non affaticarsi troppo presto. Inoltre, bisogna sprecare meno energie possibili per l’ultimo pezzo della salita: una cordata non molto lunga, ma faticosa e insidiosa perché i sassi sono scivolosi.

Alcuni dicono di non sentirsi in grado di salire, io non so se sarò in grado di arrivare in cima senza problemi, ma le cose che in principio non sembrano alla mia portata mi hanno sempre affascinata e si sono rivelate spesso le più significative. Quindi prendo lo zaino, due panini, una cioccolata e un po’ di incoscienza: sono pronta a partire!

Ore 9.00: Poca strada e nessuna sorpresa fino a qui, solo alberi e uno scoiattolo, mi godo la natura e i miei pensieri.

Ore 10.00: Il sentiero è cambiato in pochi minuti, i sassi si fanno più grossi e le faticose salite sono interrotte qua e là da numerosi falsi piani. In effetti un ritmo come questo spezza le gambe. Non mi lascio impressionare, mantengo la concentrazione e il passo. E continuo.

Ore 11.00: Le salite sono sempre più numerose e pesanti, ogni tanto ci fermiamo due minuti per mangiare un quadratino di cioccolata, nel frattempo, alcuni vuotano il carico del loro zaino in quello degli amici meno stanchi.

Ore 13.00: Finalmente ci siamo: eccomi ai piedi della cordata finale. É questo il tavolo su cui giocherò le mie ultime carte di questa partita, sono emozionata, la voglia di arrivare in cima e guardando giù dire “non so come, ma io l’ho scalata!” è forte più della stanchezza.
Mentre qualcuno dice “non sento più le gambe, come posso continuare?” io penso “ e vero, però finché continuerò a non sentirle, non faranno male”. Sono pronta a mettermi alla prova.

C’è chi però non vuole salire, una ragazza, Lucia, non se la sente di proseguire se non con qualcuno che la aiuti. Penso che la mia sfida può essere condivisa e unirsi alla sua e quindi proseguiamo vicine, mi carico del suo zaino e iniziamo insieme.

Ore 13.30: Il percorso si complica di massi più grossi e difficili da superare, Lucia è sempre più stanca, la prendo per mano e continuiamo.

Ore 13.45: Ormai mancano pochi minuti, inizio ad essere stanca anche io, penso di riposarmi un po’ prima dell’ultima fatica. Mi fermo per togliere lo zaino e bere un po’.

“Lucia, ci fermiamo un minuto, ti lascio la mano, tu stai ferma e punta i piedi lì dove ti trovi.”
“Ok Ros”. Lascio la mano di Lucia, continuando a parlarle. Appena appoggio lo zaino su una sporgenza sento un urlo: è Lucia che sta scivolando! Mollo la presa e mi lascio scivolare fino a raggiungerla e ci fermiamo, poi la tengo con una mano sulla vita e la sorreggo con una gamba che incastro tra le sue. Lei ci si appoggia e ricomincia a respirare affannosamente.

“Tutto ok Lucia?”
“No, non ce la faccio, voglio tornare giù”
“Non si può, ormai dobbiamo arrivare in cima, la cordata non può interrompersi”
“No, siamo scivolate troppo indietro, non ce la faccio a rifare la strada”
“Non è il momento di pensare a quanto siamo scivolate indietro, guarda in alto e non pensare, quando saremo lì ricominceremo a pensare a quanto siamo state grandi, forza, non piangere, ok?”

“O-ok”

“Avanti, punta i piedi, stringi la corda nelle mani, guarda in alto e forza sulle gambe, ora!
Hai visto, il primo passo è fatto, ora bisogna solo continuare, sempre così: punta i piedi, stringi la corda, guarda in alto e forza, punta i piedi, stringi la corda…”

Ore 14.00: Così in pochi minuti i miei piedi toccano, con quelli di Lucia, la cima: è fatta!
Lucia non ha parole, come me, piange e ride nello stesso tempo, è felice.
Ora possiamo gustarci con calma il paesaggio, dirci che siamo bravissime e urlare per sentire l’eco. È fantastico, ne è valsa la pena.


 

Credo che in questo momento ogni componente del gruppo senta di essere scivolato indietro. Ma non credo sia il momento giusto per pensarci!

Ormai la cordata è quasi in cima, tutto quello che dobbiamo fare è: puntare i piedi, stringere tutto ciò che abbiamo tra le mani, guardare di nuovo in alto e forza!

Ne vale la pena, perché il mondo si sta preparando a farci sentire l’eco del nostro lavoro: nel carcere, tra gli scouts, nei libri, sui giornali, nelle scuole…

….e l’eco è una tra le magie più belle, incanta chiunque,
c’è qualcuno che vuole perdersela?