Il ruolo del malato

Marcello Lombardi

02-02-2004  

La parola “Ruolo” mi evoca l’idea di avere la capacità di realizzare qualcosa liberamente, vivere quindi in prima persona anziché essere vissuti; come un episodio che ricordo con simpatia, dove ho rivestito il ruolo dell’ammalato.

Qualche anno fa, uscendo di casa venni investito da un'auto, erano circa le otto di sera e, come mia abitudine, attraversavo la strada, naturalmente senza guardare, quando all’improvviso una “Panda rossa” guidata da una signora mi investì; ricordo che lei era più spaventata di me.

Sapevo che era colpa mia, anche perché quel giorno le varie dosi di cocaina e hashish mi avevano annebbiato e reso completamente estraneo a tutto quello che accadeva intorno a me. Inoltre, quello che era successo era in fondo coerente con il mio sistematico rifiuto della vita.

In pochissimo tempo mi ritrovai seduto senza scarpe in mezzo alla strada, non sentivo alcun dolore, e appena finirono di girare tutte le cose intorno a me pensai: “chissà se ce la farò anche questa volta”.

Mi accorsi subito che non avevo nulla di grave, ma solo qualche escoriazione alla mano sinistra procurata dall’attrito con l’asfalto, e una volta assicuratomi che anche l’auto della signora non aveva subito danni, decisi di andare via.

Ma mentre mi allontanavo, la signora scoppiò a piangere e, scesa dall’auto, correva verso di me chiedendo aiuto ai passanti. Ricordo che emetteva degli strani singhiozzi, sembrava una gallina in punto di morte e a nulla servì dirle che stavo bene; continuava a piangere dicendomi che io ero più importante della sua auto.

Quella nuova situazione mi piaceva. Sapere che la signora si preoccupava per me mi faceva uno strano effetto, così pensai subito di “accontentarla” e mi immedesimai nel ruolo dell’ammalato, anzi ammalatissimo.

Mi accarezzava e mi diceva di non aver paura che stava arrivando l’ambulanza. L’idea mi affascinava, così fingevo ancora di più di stare male, anche perché non ero mai salito su una ambulanza e l’esperienza non mi dispiacque affatto. La cosa mi faceva sentire importante, i medici si preoccupavano per me, mi avevano addirittura messo a disposizione un pulmino intero che a sirene spiegate si faceva largo tra il traffico delle otto di sera a Milano.

Arrivati poi all’ospedale, c’erano altri dottori che si interessavano a me, mi fecero un sacco di domande, e persero molto tempo, mi diedero anche una bevanda calda ed io ricevetti tante di quelle premure e attenzioni che desideravo essere un ammalato per tutta la vita.

In quelle premure sentivo delle gratificazioni, e poi non mi era mai successo, ma verso le dieci di sera, purtroppo, i medici mi avevano dimesso e, come già sapevo, non avevo nulla di rotto.

La gentile e bella signora se ne andò, ed io ritornai ad essere più solo di prima, e ancora una volta senza alcun ruolo.