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Scelte e responsabilità

Alice Ordanini, 06-04-2003

Sia ieri al faro che oggi al penale gli incontri sono stati centrati sullo scritto di Marcello "Poche chance".

Marcello espone quelle che a suo giudizio sono le condizioni che aumentano le possibilità di delinquere, tra cui la condizione sociale ed economica in cui si cresce, la mancanza di risorse o di condizioni per potersi esprimere al meglio.

Queste premesse sono molto frequenti nel passato di chi giunge a commettere reati, ma i fatti dimostrano che non sono sufficienti e nemmeno sempre necessarie. Sono infatti molti i casi di persone che diventano molto distruttive, nonostante abbiano alle spalle una buona famiglia e una buona cultura, e sono altrettanti i casi di coloro che giungono ad una vita sana e costruttiva pur partendo da una situazione disagiata.

Marcello aggiunge che anche la scarsa stima di sé, la sensazione di essere insignificanti, privi di valore, può indurre una persona alla sensazione di potersi affermare solo tramite la violenza contro se stessi e/o contro gli altri, motivandola a deviare sia in modo "legale" (per esempio ragazze anoressiche) sia in modo illegale.

Lo scritto di Marcello ha sollevato molte osservazioni e domande sulla reale possibilità e capacità di scegliere da parte di chi sbaglia distruttivamente ai danni degli altri e/o di se stessi..

D'altra parte, la realtà, le relazioni sociali, l'interdipendenza fra le persone prevedono che ogni individuo sia tenuto a rispondere delle proprie scelte, a maggior ragione quando queste coinvolgano le altre persone.
E dunque, quali sono i criteri per cui una persona può essere ritenuta responsabile di ciò che fa?

Ci siamo soffermati sui termini "scegliere" e "responsabilità".

Abbiamo constatato che il termine responsabilità viene usato comunemente in due accezioni diverse; a volte, nel discorso, si scivola inavvertitamente da una accezione all'altra, cosa che causa incomprensioni fra chi parla e induce gli interlocutori a sostenere affermazioni apparentemente inconciliabili:

Nel corso della discussione è stato approfondito che,

"Il reato legale" come l'anoressia, illegale come una rapina, contro me stesso come la droga, o contro l'altro come un rapimento, nascono nel momento in cui nel mio ambiente mentale non ho lo spazio per l'altro, quando viene a mancare il mio senso di identificazione con l'altro.

Lo spazio cresce e si consolida quando ci sono le condizioni per sentirsi amati, coccolati, apprezzati e incoraggiati, quando l'ambiente circostante ci garantisce i necessari supporti per distinguere fra noi e gli altri e per avvertire la continuità fra noi e gli altri.

Non tutti contiamo nella testa degli altri allo stesso modo e non tutti contano per noi allo stesso modo. Un soldato che lancia una bomba su un mercato di Baghdad sa che quella bomba ucciderà molte persone, ma perché ciò sia possibile deve venire a mancare l'identificazione con l'altro, deve essere alzato un muro fra sé e gli altri. La stessa cosa accade per crimini di minor entità.

Il vocabolario riporta la seguente definizione della parola "scegliere": "distinguere fra più cose quella che secondo un determinato criterio e per un determinato fine sembra la migliore".

Forse è nel criterio che una persona usa per optare per una cosa piuttosto che per un'altra il punto focale da cui far partire ogni tipo di considerazione.
Il criterio è dato da ciò che sono, ovvero dalle lenti che indosso per guardare il mondo. Lenti che sono state prodotte da quel grande e bizzarro ottico che è il mio vissuto.
E' riduttivo pensare alla scelta come a un momento, un attimo.
Ogni scelta è frutto di mille altre più piccole. Ogni bivio che si viene a costituire sulla strada della nostra vita è il prodotto di precedenti.

"In this great future you can't forget your past" (Bob Marley No Woman no cry)
Sta di fatto, però, che le mie scelte, seppur sicuramente influenzate dal mio essere, le ho fatte io e non un'altra persona per me; è comunque la sequenza delle scelte che ho fatto in passato ciò che mi apre la gamma attuale delle scelte possibili; quindi non posso nemmeno esimermi da qualsiasi tipo di responsabilità. Per usare l'esempio precedente, nessuno ha puntato una pistola alle tempie del ragazzino dicendogli di non studiare.

Un dilemma enorme che coinvolge l'umanità da secoli e al quale forse nessuno è in grado di dare alcuna risposta definitiva! E' incredibile come si possano portare avanti entrambe le tesi e come entrambe possano sembrare giuste.

Credo solo che l'importante sia non essere estremisti, non rimanere immobili nella propria posizione. Ascoltare e condividere il pensiero dell'altro con la capacità di elaborare e discernere per evolversi. Il lavoro che dobbiamo tentare di fare è provare ad intrecciare due scuole di pensiero così diverse, è trovare un punto d'incontro tra una responsabilità assoluta ed una assenza di responsabilità.

E' sicuramente poco utile cercare di ridurre la propria responsabilità usando spiegazioni pretestuose e generalizzanti, delegandola ad aventi esterni; d'altra parte è assurdo affermare che una scelta venga dal nulla, che non abbia un "passato", che sia indipendente dalle condizioni che hanno favorito od ostacolato l'identificazione con l'altro, dalle condizioni che hanno orientato il configurarsi di quello spazio interno nel quale ognuno di noi ospita l'immagine dell'altro.

A me viene una domanda però: perché questo problema ce lo si pone solo nel momento in cui le cose vanno male?
Se le cose vanno male si cerca un capro espiatorio (se non supero l'esame è perché il professore non capisce nulla, l'interrogazione era difficile), ma se le cose vanno bene non c'è mai dubbio di chi sia il merito: mio! Non della mia famiglia, della mia educazione, della società.

Non è fondamentalmente la stessa cosa?