Ri-flessioni per un'amica

Rossella Dolce

02-10-2003  

 

Durante un combattimento di allenamento esistono varie regole, ma le più importanti sono:

  1. i colpi vanno portati sciolti, non tesi per non fare troppo male;

  2. mai chiedere scusa o fermarsi a meno che l'avversario sia in evidente confusione o a terra;

  3. prima difendere, poi se si riesce attaccare;

  4. non allenarsi con compagni della propria squadra a partire da due mesi prima di una gara.

Le prime tre salvaguardano la correttezza dell'incontro, la quarta è una precauzione presa in funzione di alcune reazioni umane. Tenterò di spiegarne il senso raccontando un incontro a cui ho partecipato durante un allenamento:

Maestro: "Ore 20.35, ultimi 25 minuti di lezione, si fa combattimento, prendete le protezioni".

Che sia allenamento o meno, se si comincia un incontro si vuole vincere, non avrebbe senso altrimenti, non è lo scopo principale, è solo una motivazione, ma resta il sentimento più forte che si percepisce all'inizio.

Si inizia, riprendo fiato mettendomi i guantoni, mi porto in posizione pensando a cosa fare e quali colpi provare, mi ripeto di essere veloce e di stare in guardia bene sulla difesa, il cuore batte più forte.

Maestro: "saluto".

Il saluto ha un significato simbolico: -- cuore di leone in mano di bontà -- e mentre lo faccio la carica iniziale si smorza leggermente e assume caratteri più razionali: ora non sono più concentrata unicamente sui miei movimenti, ma inizio a prestare attenzione all'avversaria e a cercare di mettere in pratica in modo corretto le tecniche nuove.
Molto velocemente mi calmo e anche l'incontro rallenta, ma resta vivo e corretto. Finisce la prima parte.

Sciolgo le gambe ascoltando le indicazioni e i commenti del maestro e mi accorgo che il muscolo della gamba sinistra che si era strappato cinque giorni fa tira ancora. Mi fermo? No, magari passa, il maestro ha detto di provare una combinazione nuova, vado avanti.

Maestro: "saluto".

Sono un po' meno concentrata di prima, l'adrenalina ora sta sfumando i contorni nel timore di farmi male, non penso più a vincere, ma a muovermi bene. Penso ad ogni movimento: "Non fa male, va bene, ora attacco", ma nel pensarlo esito, ormai sono ferma, mi chiudo in difesa e non so cosa fare.

Maestro: "doppiali quei colpi, più veloce, muoviti, difesa, muoviti".

Continuo a schivare delle serie di colpettini di fastidio che in effetti mi irritano: "insomma mi prendi in giro?" Devo fare qualcosa, apro la guardia per avere un più ampio campo visivo e, visto che non mi muovo abbastanza, inevitabilmente mi arriva un dritto in pieno zigomo, pieno, teso, potente, preciso, insomma:100 punti alla mia avversaria.

Maestro con voce calma a placare gli animi: "piano con i colpi, più sciolti".

Ma ormai non mi importa, la rabbia cresciuta nell'ultima parte dell'incontro scatta ora "mi hai preso in giro e poi colpito duro, anche se mi fa male la gamba un colpo forte lo prendi lo stesso".
Faccio due passi indietro, scivolo sulla sinistra e mi giro tirando un calcio circolare all'indietro, l'avversaria si scopre, io ricado con i piedi leggermente troppo in asse per tentare un attacco in regola, ma non importa è un'occasione, l'equilibrio va ristabilito: "uno a me prima e uno a te ora."
Il mio pugno passa e arriva tra orecchio e mento, "100 punti anche a me e vai!"
Mentre ancora esulto mentalmente noto qualcosa nel ragionamento che non va, e infatti, prima di trovare che cosa è....

Maestro: "Va bene basta, Rossella, flessioni".

Durante le mie 25 flessioni di punizione ho tempo di riflettere:
"Un pugno teso e forte da posizione scomoda con una gamba messa male!! E dire che prima non mi difendevo nemmeno male, era pur un risultato! L'avversaria mi sta anche simpatica! Che idiota che sono stata!”

A fine allenamento parlo con il maestro, lui mi dice: "Capisci perché non ci si allena con i compagni di squadra se devi fare una gara? Possono nascere rancori per niente, per una disattenzione o un giorno no, se devi creare spirito di squadra meglio non rischiare di combattere né per allenamento né per scherzo".


In questo allenamento ho capito ciò che fino a quel momento avevo sottovalutato:

il mio potenziale aggressivo. Pensavo di riuscire a non portare rancore ad un amico, anche perché non mi era mai successo. Ora, anche se l'ho provato per meno di un minuto, mi sono accorta dell'imprevedibilità di questo sentimento ed essendo più consapevole di me stessa ho più fiducia nella mia capacità di rapporto con gli altri.