La mia infanzia difficile

Gr. Trsg

19-09-2009  

Non posso dimenticare tutto quello che ho subito, che dall’età dei 6 anni in su ricordo benissimo, con certezza, che mio padre non faceva altro che bere e fumare, tantissimo… non capivo a quell’età cosa portava a fare l’alcol, ma me ne sono reso conto molti anni dopo, dopo aver subito di tutto… anche mia madre, ma non come a me.

Mio padre era proprietario di un mini market e nel fine settimana, come secondo lavoro, distribuiva a molti negozi articoli che lui comprava direttamente in azienda. Nonostante ci sapesse fare con il lavoro, l’alcol lo portava sempre con sé, non beveva mai in mia presenza e nemmeno alla presenza di tutta la famiglia, ma io lo capivo dall’alito e dalle continue scuse di farmi fermare dove ero. A parte questo, era un figlio di benestanti, ha sempre fatto una bella vita senza mai lavorare, ma dai trent’anni in su ha dovuto per forza prendere il negozio in mano perché era deceduto il nonno. La cosa che aveva di bello è che era brillante con i figli: vestiti belli, dal parrucchiere ogni mese e ventimila lire di paghetta ogni settimana. In quel periodo ero alle elementari e dopo aver finito, dovevo andare in prima media, e mio padre decise di iscrivermi in una scuola privata che era quasi in centro, dopo che mi disse dove dovevo andare a scuola io mi rifiutai, gli risposi che volevo andare in quella del quartiere dove erano i miei amici, lui mi sgridava poi mi prese a schiaffi dicendomi: qui comando io, non tu!.

Dopo le vacanze mi ritrovai in questa scuola, sentivo molto la mancanza dei miei amici, ma non durò a lungo perché in pochi giorni vedevo che varie professoresse erano violente, ricordo benissimo che la prof di geografia aveva un bastone di legno sotto il tavolo e un giorno davanti ai miei occhi diede legnate ad un alunno sulle gambe. Poi mi è successo anche a me, non riuscendo a dare la risposta esatta. Prima mi sgridò, poi prese il bastone e me lo diede sul braccio per due volte. A casa raccontai tutto ma non ci credevano, specialmente mio padre. Comunque dovetti per forza andare a quella scuola e subendo non solo le grida e le violenze della prof di geografia ma anche una tirata di orecchie di quelle forti dalla preside.

Nonostante tutto, io ci mettevo il meglio per studiare, ma dopotutto dissi a mio padre o che mi metteva nella scuola con i miei amici oppure non ci andavo più (non lo avessi mai detto …). Mi aggredì ferocemente dandomi calci, pugni, schiaffi, mia madre urlava di smetterla ma l’unica via d’uscita da quella bestia inferocita era la porta di casa. Così feci, ma non ritornai a casa, mi addormentai in un’auto che era aperta, così di mattino presto mi svegliarono i carabinieri perché il proprietario li chiamò, mi dissero perché avevo quei segni rossi sul viso, e perché ero a dormire in quell’auto. Dichiarai il falso ma mi portarono nel negozio di mio padre e sentivo dire ai carabinieri che non volevo andare a scuola, che  volevo stare con gli amici in mezzo alla strada, e altre puttanate, e bugie.

Ma credo che i carabinieri non l’avevano bevuta, poi mi disse bene, non vuoi andare a scuola? Allora da oggi in poi lavori qui dentro con me. Accettai, purtroppo, però non mi dava spazio per vedermi con gli amici, per giocare a calcio in mezzo a una piazzetta. L’unica cosa che mi consentiva era andare a giocare nella sala giochi di fronte al negozio, mentre lui mangiava. Mi incantava un gioco particolare, cioè il video poker di quelli truccati. All’inizio ci buttavo la paghetta, poi cominciavo a rubare carte da 20, 50 mila lire dalla cassa per poi buttarle lì dentro e non vincevo quasi mai, finché non si accorse dell’ammanco di 50 mila lire e corse in sala giochi, mi vide giocare su quel gioco di contrabbando e la prima cosa che io sentii fu uno schiaffo talmente forte sul lato destro che mi ritrovai a terra a tre metri dal video poker.

Poi cominciò con il gestore della sala giochi e, dato che era sua la proprietà, cioè la sala giochi, l’ha anche buttato fuori. Lui diceva che tutto ammetteva ma tranne di farmi giocare a quell’età, vicino a un gioco succhia sangue, perdi soldi.

Da quel giorno andai a vivere con la nonna e finalmente ero con i miei amici che spesso marinavano la scuola, lì credo che cominciò la mia rovina… ricordo che i tre che eravamo più coraggiosi ero io e altri due, andavamo in giro a far casino e poi mi viene in mente di fargliela pagare alla professoressa di geografia e decisi insieme ai miei amici di andare nella scuola dove ho subito violenze. Dopo avere spiegato tutto ai miei amici andammo a quella scuola, vidi la prof e la riempii di parolacce e lei spaventata scappò, prima verso un bar, poi circondata scappò nella scuola e io la prima cosa che pensai fu alla sua auto e così tutti verso la sua auto, io con i piedi rompevo i vetri, un mio amico con un piccolo coltellino a bucarle le ruote e di tutto e di più. Poi scappammo e la sera mi ritrovò a casa della nonna mio padre con una frusta di quelle che si usano con le mucche, cioè era una frusta che faceva molto male. Quella sera a lui dissero tutto quello che avevo fatto alla macchina della prof, che voleva i danni. Quella sera mio padre non si fermava mai con quella frusta, mia nonna non faceva altro che urlare aiuto aiuto, chiamate la polizia!

Mi infilai sotto il letto e lì, non riuscendomi a colpire se ne andò. Passarono un po’ di anni e incominciai a riempire i carrelli della Standa e dell’Upim di vestiti,  articoli di ferramenta, ma questi soldi che guadagnavo se ne volavano tra vestiti,  video poker, vari cambi di motorini e vespe ma poi con la vespa mi decisi di fare scippi di borsette e quando eravamo fortunati scippavamo i turisti dove si trovava bene.

Ma un brutto giorno ci arrestarono e finimmo affidati ad un prete che prendeva ragazzini che facevano reati minori. Qui ne ho subita ancora una più brutta, dopo qualche settimana che trascorrevo in questa comunità il prete mi chiese se volevo lavorare, dissi di sì e mi portò in un ristorante e mi disse: ecco qui farai il lavapiatti. Durò poco perché mi venne la febbre e lui non mi indicò di stare nella camera con gli altri ma nella sua camera da letto, mi ricordo bene, anzi  benissimo, che stavo male ma mai più pensavo a quello che stava accadendo, cioè dopo la cena con il prete mi accompagnò vicino al suo letto e mi aiutava a svestirmi e a mettermi il pigiama ma anche lui si tolse i vestiti neri e si sdraiò. Pregammo e durante la notte mentre dormivo sentivo una mano sul pisello, mi svegliai e rimasi immobile ma lui continuava poi si avvicinò di più e io di corsa presi i vestiti e scappai a casa di mia mamma. Lei gridava, devi stare lì se no viene la polizia a prenderti, non gli dissi la verità, non avevo il coraggio, ma il giorno dopo si presentarono due assistenti sociali che mi facevano tante domande e soprattutto perché ero scappato, loro facevano le domande e quando mi dissero se mi aveva toccato gli dissi di sì, si guardarono in faccia e se ne andarono.

Mi è stato molto difficile raccontare questo perché sono un ragazzo molto timido e riservato e voglio ringraziare anche se in ritardo Ivano Longo per la colletta tra detenuti alla mia insaputa per aver mandato dei bellissimi fiori quando pochi mesi fa è deceduto mio padre.