La pena nell'età dell'Illuminismo


Cinzia Faenza e Francesca di Maggio

CONTESTO: L’Europa del '700 è contraddistinta da una situazione di incertezza e arbitrio.

II PENSIERO ILLUMINISTA ha posto il principio della certezza del diritto al centro della propria riflessione e delle proprie rivendicazioni, imponendolo come uno dei cardini delle codificazioni moderne.

Uno dei contributi più importanti dell'illuminismo sta nell'aver posto in discussione il sistema giuridico tradizionale e nella elaborazione di una nuova ideologia. La critica illuministica spesso porta con sé il desiderio di riformare o addirittura di rivoluzionare il proprio oggetto di attenzione, sia esso una disciplina accademica, il diritto, lo stato. L’illuminismo si muove dalla fiducia che la ragione umana sia in grado di migliorare anche radicalmente le istituzioni forgiate dalla tradizione e dalla storia.

La fiducia nella ragione si combina con l’individualismo, la tesi etico-politica che attribuisce un valore positivo all’individuo umano, attribuendogli cospicui diritti verso la società e lo stato, nonché, su un piano di uguaglianza, verso gli altri individui.

Un’altra componente innovativa dell’illuminismo politico-giuridico è l’utilitarismo: si tratta della tesi secondo la quale è moralmente buono solo ciò che promuove l’utilità generale, calcolata in vari modi.

Gli illuministi introducono il concetto di diritto naturale concepito come un catalogo di diritti soggettivi astratti e universali (tra i quali  la libertà e la proprietà, di cui gli individui godono anche prima della nascita della società civile); l'elaborazione razionale di tali diritti si traduce nell'affermazione di regole morali e religiose.

Le proposte più significative e rilevanti del pensiero illuminista si fondano sulla fiducia incondizionata nella ragione, sulla tolleranza morale e religiosa, sulla critica al fanatismo religioso, all’intolleranza ed alle superstizioni.

La fondamentale esigenza dell’illuminismo nell'ambito del diritto è volta alla razionalizzazione del sistema esistente; il primo e più importante passo in questa direzione consiste nel rendere indipendente il diritto dalla religione, informandolo al principio della tolleranza religiosa. Questa idea influisce profondamente sul diritto penale, il quale deve in primo luogo astenersi dall'interferire sulle condotte rilevanti solo dal punto di vista morale e religioso: è l’affermazione del principio della separazione tra il diritto, la morale e la religione.

 

Lo strumento fondamentale di razionalizzazione del diritto, per gli illuministi, deve essere la legge, espressione della ragione umana e strumento tramite il quale dare attuazione ai principi del diritto naturale. La legge, in quanto  generale e astratta, è tale da disciplinare anticipatamente le situazioni. Tale dunque anche da poter essere conosciuta in anticipo, ed obbedita o disobbedita a ragion veduta. Le leggi devono essere dunque conoscibili, e perciò poche e stabili, espresse in un linguaggio chiaro e a tutti accessibile, e devono anche essere applicate meccanicamente dal giudice, il quale deve essere la “bocca della legge”, secondo l’espressione famosissima di Montesquieu.

Secondo la concezione illuminista il diritto è dunque inteso volontaristicamente, come comando imperativo. Tutte le norme debbono essere codificate e quindi semplificate e ridotte a una sola. La forma di stato più adeguata ad operare la legge conformemente alla ragione è quella dell’assolutismo illuminato.

Nel campo del diritto penale l'esigenza di razionalizzazione si fonda su tre regole: il proporzionalismo riguardo al rapporto tra reato e pena, il criterio di umanità riguardo al trattamento del reo, l’utilitarismo riguardo alla funzione della pena.

Anche il sistema delle pene deve ispirarsi a criteri di certezza e di proporzionalità, e deve pertanto essere governato dalla legge.  Il criterio di umanità suggerisce la costruzione di un sistema penale improntato alla prevenzione del danno sociale più che alla retribuzione del male morale.

 

Precursori dell'illuminismo furono Hobbes e Locke.

Ad HOBBES (1588-1679) va ricondotta la formulazione del principio di irretroattività della legge penale, secondo il quale un male inflitto per un fatto compiuto prima che esso fosse sanzionato dalla legge e l'applicazione di una pena superiore a quella stabilita costituiscono non una pena ma un atto di ostilità.

Questo principio é strettamente correlato alla teoria della separazione dei poteri elaborata da LOCKE (1632-1704): la comminazione delle pene per i delitti è compito che spetta solo al legislatore, mentre l'applicazione delle pene nel caso concreto é funzione del solo giudice.

L'affermazione emblematica di questa corrente di pensiero è attribuibile a MONTESQUIEU (1689-1755). Nel suo testo "De l'esprit des lois" (1748) egli elevò, infatti, la separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario ed il loro reciproco equilibrio, a vera garanzia della libertà del cittadino.

"La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono
"I giudici non sono che la bocca della legge”
(De l'esprit des lois XI ,3; XI ,6)

 

ALTRO PROTAGONISTA DELLA CULTURA ILLUMINISTICA è ROUSSEAU (1712-1778), le cui idee suscitarono tuttavia una vivacissima opposizione. Nella sua opera più famosa, il Contratto sociale (1762), Rousseau vede nello stato di natura una mitica età dell’oro, che l'affermarsi della metallurgia e dell’agricoltura avevano costretto ad abbandonare. Ma la soluzione non è il ritorno allo stato di natura, che è pur sempre una condizione primitiva, bensì un corretto uso della ragione, che permetta di fondare una società giusta, nella quale siano garantiti agli individui i loro diritti naturali (vita, libertà, proprietà).

Tutto questo sarà attuabile attribuendo la fonte del potere al popolo: la sovranità popolare espressione della volontà generale. Ma la volontà generale non è la volontà di tutti, bensì della maggioranza:

 

“Perché il contratto sociale possa essere qualcosa di più che una formula vuota, bisogna tecnicamente supporre… che chiunque rifiuti di obbedire alla volontà generale, debba essere costretto a farlo dal complesso sociale. Questo vuol dire soltanto che egli sarà costretto ad essere libero…”
(Contratto sociale, II, 4)

… parole forrti, nelle quali, forse non a torto, si è visto un Rousseau anticipatore dello stato etico, con un fine superiore agli individui che ne fanno parte.

 

VOLTAIRE(1694-1778) fu anima inquieta dell'illuminismo.

Paladino della libertà di parola, di stampa, di religione, assertore della capacità della ragione umana, proprio a quest'ultima si richiama per fronteggiare i problemi dell'uomo, vedendo in essa lo strumento idoneo a conciliare l'ordine del mondo con il ruolo dell'uomo nella natura ed i poteri che gli sono propri.

Per Voltaire  rilievo fondamentale assumono anche i valori della  giustizia e dello sviluppo culturale.

Nel panorama europeo spicca la figura del milanese CESARE BECCARIA (1738-1794) il quale, con l'opera Dei delitti e delle pene” (1764), fissa i principi cardine della moderna legislazione penale. Il testo del Beccaria suona come un grido nei confronti dei sovrani, una polemica contro l’arbitrio e la crudeltà dell'antico regime.

I principi enunciati dal Beccaria possono essere così sintetizzati:

Di assoluto rilievo sono gli ultimi due punti: l'autore mette fortemente in dubbio l’utilità, la necessità e l’efficacia dei disumani strumenti di accertamento della verità quali sono le torture e di una punizione che consiste nel privare il reo della vita.

"A cosa puo' servire un uomo impiccato?" - si chiede Beccaria ne "Dei delitti e delle pene" - "Senz'altro non è utile alla società e nemmeno può far sentire migliori gli uomini".

E ancora:

“Quale può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili?”

“Non certamente quello della sovranità e delle leggi... esse sono la somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno. Chi mai potrebbe lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo?"

Anche da questi pochi passaggi si evince la presenza di un’ideologia penale umanitaria dietro la facciata utilitaristica.

 

Sulla questione della tortura interviene anche PIETRO VERRI (1728-1797), il quale, con una polemica accesa nel suo testo “Osservazioni sulla tortura” demolisce le “ragioni” della tortura, rilevando tra l’altro l’inattendibilità delle confessioni rese tra i tormenti. Pone inoltre l’accento sulla distinzione tra delitto “certo” e delitto “probabile”, svuotando di significato termini come “sospetto”, “indizio”, “semi-prova” e “quasi-prova”, tenuti in gran conto nel diritto dell’epoca.

Verri afferma che:

“Per conoscere che i tormenti non sono un mezzo per iscoprire la verità, comincierò dal fatto. Ogni criminalista, per poco che abbia esercitato questo disgraziato metodo, mi assicurerà che non di rado accade, che de’ rei robusti e determinati soffrono i tormenti senza mai aprir bocca, decisi a morire di spasimo piuttosto che accusare se medesimi. In questi casi, che non sono né rari né immaginati, il tormento è inutile a scoprire la verità. Molte altre volte il tormentato si confessa reo del delitto; ma tutti gli orrori che ho di sopra fatti conoscere e disterrati dalle tenebre del carcere ove giacquero da più d’un secolo, non provan eglino abbastanza che quei molti infelici si dichiararono rei di un delitto impossibile e assurdo, e che conseguentemente il tormento strappò loro di bocca un seguito di menzogne, non mai la verità? Gli autori sono pieni di esempi di altri infelici, che per forza di spasimo accusarono se stessi di un delitto, del quale erano innocenti.

Il fatto dunque ci convince che i tormenti non sono un mezzo per rintracciare la verità, perché alcune volte niente producono, altre volte producono la menzogna."

(Osservazioni sulla tortura, cap. IX)

I principi elaborati nel periodo cui si fa riferimento, trovarono un terreno fertile nell'ambiente dell'assolutismo illuminato di molti stati europei e furono rappresentati in maniera coerente ed organica nella DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E DEL CITTADINO DEL 1789 (Francia).

 

 

Dalla dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789:

art. 7

Nessun uomo può essere arrestato, accusato o detenuto se non nei casi e nelle forme determinati dalla legge. Gli ordini arbitrari debbono essere puniti.

art. 8

La legge  deve stabilire pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto.

art. 9

Poiché ogni uomo si presume innocente finché non sia stato dichiarato colpevole, se si sia giudicato indispensabile arrestarlo, ogni rigore che non sarà necessario per assicurarsi della sua persona dev'essere severamente represso dalla legge.

art. 10

Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose.

art. 11

La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo: tutti i cittadini possono parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo abuso di tale libertà nei casi previsti dalla legge.

art. 16

Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri fissata, non ha una costituzione.

 

Ancora oggi tali principi costituiscono le garanzie fondamentali in campo penale; nel nostro paese essi sono tutelati dalla costituzione italiana.