Verbalizzazioni dall'incontro sulla punizione

Marta Sala

27-02-2005  

La prima parte dell’incontro si conclude con le domande seguenti:

Qual è, secondo voi, la punizione ideale? Qual è il suo rapporto con la punizione reale? Come si trasforma nella mente di chi viene punito la relazione con chi punisce?”

Tante volte capita di ricevere punizioni che sentiamo ingiuste, quasi come scollegate dall’azione che abbiamo commesso. A noi, magari, non sembra di aver fatto qualcosa di sbagliato, anzi ci pare di avere delle spiegazioni logiche a giustificazione del nostro operato; ma nessuno ce le chiede o le ascolta con attenzione e noi ci sentiamo puniti senza ragione o in maniera non proporzionata a quello che ci sembra essere il nostro errore.

“Quando ero piccolo ero molto distratto e mi capitava spesso di perdere matite, libri, quaderni quando andavo a scuola. Un giorno, tornato a casa per l’ennesima volta senza alcune delle mie cose, mio padre mi sgridò urlando e mi mandò a letto senza cena. Ma cosa ci potevo fare io se ero così distratto?...” (Armando)

Sarebbe forse più costruttivo tentare di far comprendere a chi ha sbagliato le motivazioni che stanno dietro alla punizione e che la punizione è la risposta ad una azione sbagliata, non un atteggiamento arbitrario dettato dallo stato d’animo momentaneo del punitore.

“…Poco dopo venne in camera mia e chiese a mia madre di preparare due caffé. Mi spiegò che quegli oggetti avevano un costo materiale e che venivano fatti dei sacrifici per potermeli comprare. Era giusto che io li avessi, ma perdendoli gravavo sulle finanze della mia famiglia. Mi disse anche che dovevo partire dall’avere più cura dei miei oggetti per arrivare ad avere maggiore concentrazione nella vita. Quel caffè per la prima volta mi ha fatto sentire alla stessa altezza di mio padre.” (Armando)

Quando una persona si sente parte integrante e attiva di un progetto, l’eventuale punizione in risposta alle proprie infrazioni al progetto comune difficilmente sarà vissuta come un’ingiustizia. Essere parte di qualcosa, sentirsi presenti nella mente dell’altro, sentirsi oggetto delle sue attenzioni ci permette di non sentirci abusati.

Chi punisce è inevitabilmente una persona fallibile; può capitare che talvolta sbagli provocando nel punito un vissuto di arbitrio. Se però la relazione tra i due si è consolidata come costruttiva, questo episodio verrà sentito come un’eccezione e non come il normale modo sbagliato di comportarsi di un tiranno cattivo ed incapace. Ma spesso …

“Per il punitore è più facile punire facendo soffrire, senza dare spiegazioni, usando metodi arbitrari dettati dall’istinto momentaneo perché questo è il modo più economico che implica meno problemi”. (F. Cajani)

Al contrario, se la sensazione dell’abuso è una costante, si finisce per rifugiarsi nella passività o in comportamenti reattivi. Accade così che tutto ciò che si vorrebbe dire e comunicare si blocca dentro trasformandosi in rancore verso l’altro. Col tempo, questo rancore perde l’indirizzo originario e comincia ad intaccare tutti i rapporti della persona.

“Quando mi sento abusato mi sento impotente e allora l’unico modo che ho per uscire dalla passività in cui sono costretto è allearmi con l’autorità abusante, abusando a mia volta di persone sempre diverse. Agire come l’autorità sbagliata che abusa del suo potere mi sembra l’unico ruolo che posso assumere. L’autorità giusta è, invece, quella che ti dovrebbe aiutare a crescere, che ti dovrebbe dare punizioni responsabilizzanti”. (Marcello)    

“Quando mi sono sentita aggredita senza un motivo per me giusto ho reagito non parlando, non facendo valere le mie ragioni, non chiedendo spiegazioni. Rimanevo passiva davanti a quello che vivevo come un torto e mi alleavo con questa immagine negativa dell’autorità, aggredendo il cibo”. (Marta)

A volte è più facile allearsi con il fantasma dell’autorità abusante che con l’ideale di un’autorità responsabilizzante. Così facendo si arriva a crearsi un mondo in cui tutte le nostre azioni, anche quelle più arbitrarie ai danni degli altri, ci appaiono legittimate.

Via via che le relazioni sociali della persona vengono impregnate da queste sensazioni di arbitri subiti, diventa sempre più difficile dubitare della correttezza delle proprie azioni e accettare successive punizioni. Queste ultime entreranno direttamente nel circolo vizioso, andando ad alimentare le fantasie dell’essere abusato.

“Ma c’è la disponibilità della persona a mettere in gioco le proprie azioni e ad accettare le punizioni?”. (Matteo, scout)

Durante la punizione accade che la relazione esistente tra i due soggetti viene dimenticata, come se si interrompesse. Nella mente di chi è punito, di solito, colui che punisce viene visto negativamente o viene percepito come assente.

"Si avverte una sensazione di solitudine, di lontananza…" (Walter),

"… di assenza del legame affettivo". (Valeria scout)

“La punizione dovrebbe favorire un’interazione per evitare che nel punito si creino fantasmi che lo allontanano dalle figure vive e reali ”. (Massimo)

In realtà, la relazione non viene completamente interrotta: nella mente di entrambi rimane qualcosa, un legame che nel tempo si tinge di ostilità e di rancore.

“Non è vero che chi viene punito si distacca completamente da chi lo ha punito. Gli rimane una traccia pesante dell’accaduto, soprattutto se si è reso conto che la punizione è stata ingiusta”. (Enzo)

“Anche se la relazione sembra interrompersi durante la punizione, nel mondo interno di chi crede di subire, o di fatto subisce, ripetutamente punizioni ingiuste il collegamento fra l’immagine interna di chi punisce e l’immagine della autorità ideale si deteriora progressivamente. Il fantasma del tiranno prende il posto dell’originario oggetto d’amore, che rimane distante e incapace di rassicurare”. (Aparo)

Per il punito che si sente abusato risulta difficile mantenere dentro di sé l’altro come oggetto d’amore, farlo diventare parte del proprio mondo.

“Nelle parole di Cristian ho sentito ben chiaro quello che mi sembra il nocciolo del problema: le vicende della vita portano a volte a non essere più capaci di tenere dentro di sé l’immagine dell’altro come persona a noi simile”. (Luigi, sacerdote)