Incontro-confronto fra Agenti e detenuti

Salvatore Marchisella

1/11/2002  


Il carcere, gli Agenti Penitenziari, i detenuti, le loro realtà, le leggi che regolano la carcerazione, la società civile che in generale ignora e dimentica questa sua parte dolente, vorrebbero essere l'oggetto delle riflessioni da affrontare negli incontri fra Agenti e detenuti.

Siamo convinti che ignorare e rimuovere i problemi posti dal carcere possa solo aggravarli. Solo una cultura capace di una costante attenzione alla complessa realtà carceraria e dei problemi sociali che ne sono il contesto, può portarci verso una società più rispettosa dei diritti e delle esigenze di tutti; in questo senso pensiamo che occorre impegnarsi dall'interno, iniziando da noi stessi e con il confronto con gli operatori che più di ogni altro hanno contatto con il detenuto.

Le opinioni sul carcere, su come debba essere affrontata la criminalità, sui problemi della giustizia e della legislazione penale e penitenziaria sono molteplici e spesso contrapposti. C'è chi dice che il carcere sia necessario per difendere la società da coloro che hanno mostrato di non tener conto delle leggi e dei diritti dei concittadini; c'è chi sostiene che per una parte dei crimini non si dovrebbe ricorrere al carcere, ma a pena diverse: ad esempio chi danneggia beni pubblici dovrebbe essere condannato a fare lavori socialmente utili; c'è chi sostiene che bisognerebbe riflettere sul concetto di pena e vedere se abbia senso da un punto di vista antropologico e giuridico.

Il carcere viene da molti visto come il luogo dove si sconta una pena più o meno proporzionata al male fatto e ai danni arrecati con il crimine, nei modi e nelle misure previste dalle leggi. In molte società moderne l'inadeguatezza o la non applicazione corretta delle leggi porta ad arbitri ed abusi in cui l'unica norma è la volontà dei potenti.

Si sostiene che il carcere, oltre a impedire la ripetizione dei reati, può svolgere una funzione deterrente assumendo così una funzione di prevenzione dei crimini. La Costituzione della nostra Repubblica, con l'art. 27, assegna all'istituzione carceraria anche la funzione di rieducare il detenuto e di fare quanto serve per reinserirlo nella società rispettoso delle leggi e dei diritti altrui. Però, a detta di molti osservatori, il carcere, più di un luogo di recupero, è spesso una scuola di criminalità. Poi ci sono ancora problemi su come e dove reinserire il detenuto nella società: spesso le situazioni alle quali il deviante dovrebbe ritornare sono proprio fra le cause dei crimini (reiterazione del reato).

Pensiamo che l'incontro fra Agenti e detenuti, con la possibilità di un confronto graduale sulle contraddizioni della realtà carceraria, non possa che promuovere un arricchimento delle persone coinvolte e della loro dignità, concorrendo allo sviluppo della fiducia e del rispetto reciproci.

Siamo convinti che occorra andare oltre la cultura della pena, che bisogna cioè considerare chi commette crimini come una persona con un comportamento patologico, nel senso che il giudizio dovrebbe riguardare il reato commesso e non la persona. Non avrebbe così più senso parlare di pena, ma solo eventualmente di risarcimento dei danni arrecati; l'indicazione che ne seguirebbe sarebbe quella di "curare" il comportamento patologico del "criminale".

Secondo questa impostazione il carcere sarebbe da utilizzarsi solo per un passaggio di durata più o meno breve per impedire a chi ha danneggiato la società di continuare a farlo. I percorsi più lunghi, necessari alla guarigione del comportamento deviante, si dovrebbero prevedere in strutture e situazioni opportunamente diversificate, in cui la privazione della libertà possa essere dosata, sino a che si possa giudicare che la persona in questione si comporterà in modo corretto una volta che abbia riottenuto la piena libertà.

La nostra idea di come affrontare gli incontri con gli Agenti è di non occuparci frontalmente di questi argomenti, pensiamo invece di iniziare a farlo con temi diversi che comunque abbiano attinenza come: ad esempio l'imperfezione, l'imitazione, la sfida, la pedofilia, ecc..

Si potrebbe obbiettare che questa iniziativa potrebbe creare negli Agenti un rimorso morale verso i detenuti, potrebbe addirittura portare gli stessi a piccole trasgressioni dell'O. P. Osserviamo che, per rispettare profondamente una persona in ciò che fa e nel suo modo di essere, occorre necessariamente conoscerla e confrontarsi, altrimenti i conflitti esistenti non possono che generare odio; e l'odio distrugge, non crea nulla di positivo. Noi abbiamo la presunzione e la contraddizione di credere che promuovendo questa iniziativa si possa contribuire e costruire una società più rispettosa dei diritti e delle esigenze di tutti.