Stanlio

Marcello Lombardi

19-06-2004  

 

 

Quando penso al quadro di Rembrandt,“Il ritorno del figliol Prodigo”, ricordo con simpatia un episodio che mia zia mi raccontò tempo fa.

Avrò avuto 5 o 6 anni, quando un pomeriggio mi sono fermato in mezzo alla strada a strillare, accusandola di essere cattiva perché responsabile del fatto che non avevo un padre.

Lei, poveretta, non sapendo più cosa fare mi portò al cinema.
Quando iniziò il film, indicò un uomo magrolino che era sullo schermo e mi disse: “Quello è tuo padre”.
Era il comico Stanlio con l’inseparabile spalla Ollio.
Io smisi di piangere, non ridevo, lo guardavo in silenzio.
Finalmente anch’io avevo un padre.
Dentro di me non ero sicuro, ma mi bastava.
Credevo fosse meglio vedere un padre al buio piuttosto che niente.

Quando si è sicuri di non avere una casa o un padre, osservi gli altri che dal di fuori sembrano stare meglio di te. Cerchi di piacere in mille modi, e quando fallisci ti senti geloso o risentito.

Hai sempre paura di non raggiungere ciò che tanto desideri o di perdere ciò che hai già. Legato da questo groviglio di esigenze e desideri, non conosci più le tue stesse motivazioni. Ti senti ingannato dal mondo e diffidente verso ciò che gli altri dicono o fanno per il tuo bene. Sempre in guardia, perdi la libertà interiore e incominci a dividere il mondo in coloro che sono con te e coloro che sono contro di te. Ti chiedi se veramente qualcuno si interessi a te, cerchi conferme alla tua diffidenza. Dovunque vai ne hai le prove e concludi che “Non ci si può fidare di nessuno”.

Oggi a distanza di tempo l’unico che mi è rimasto in famiglia è il comico Stanlio. E allora non mi è difficile capire perché il figlio minore ritorni alla casa paterna.