I muscoli di mio fratello

Antonella Cuppari

21-07-2004  

A casa io e papà abbiamo appena finito di cenare. Oggi ho lavorato davvero tanto e sono stanca. Esco fuori per godermi un po’ di aria; da sola perché papà è malato e anziano e preferisce godersi il calduccio del camino acceso.

Dal fondo della strada una persona si sta avvicinando alla nostra casa. Guardo meglio. Non è possibile, è lui. Ed io che pensavo di averlo cancellato dalla mia vita. Sì è proprio lui, sta tornando a casa. Perché dopo così tanto tempo? Vengo presa dalla paura che, ancora una volta, mi possa privare di quello che in questi anni ho faticosamente messo insieme.

Ricordo il giorno in cui se ne andò, portando con sé le sue speranze, ma anche la serenità e la fierezza di mio padre. E non rimase tempo per la bambina che desideravo essere e che ha dovuto crescere in fretta per dare sostegno e conforto a mio padre. Che dolore sentire che niente di quello che ho sempre fatto per lui è mai stato sufficiente a far tornare le cose come prima.

Eccolo che si avvicina: trasandato, sporco, affaticato. Cosa gli può essere successo? Dov’è finito il fratello spavaldo, aggressivo, muscoloso che anni fa lasciò la nostra casa?

Entro in casa, chissà come reagirà mio padre.
Neanche il tempo di riferirgli quello che sta accadendo che si alza e con una energia che non vedevo da anni va fuori. Lo vede e apre le braccia a mio fratello; lui, gettato il sacco che porta con sé, si abbandona a quell’abbraccio.

Sono ferita, mi sento esclusa. Sono arrabbiata, ho paura di perdere mio padre ora che non ha più bisogno del mio sostegno, della mia pazienza, della mia responsabilità.

Guardo il loro abbraccio da lontano. E per me? Di nuovo la solitudine di chi non vede riconosciuti i propri sforzi. Un po’ vorrei essere io al suo posto, tra le braccia di mio padre, amata per quello che non sono riuscita ad essere.

Mio fratello piange come un bambino e affonda la testa nelle vesti di mio padre, piange come una volta piangevo io, quando prendevo a pugni il suo letto vuoto. Poi ad un tratto si gira, mi osserva. Cosa vuole da me ora? Tra le lacrime e il viso sporco riconosco i tratti che ci rendono fratelli. I suoi occhi mi interrogano.

Sì, caro fratello, sono arrabbiata per la sfacciataggine con cui te ne sei andato, spaventata perché potresti andartene di nuovo. Mi hai pensato quel giorno? O c’eri solo tu nella tua testa quando sei partito? E ora qual è il posto che vuoi occupare nella nostra casa? E io? Perdonarti? Cosa vuoi fare ora? Ridammi quello che mi hai tolto, la bambina che non sono stata, il padre che non ho avuto.

Del potere di perdonarti, non me ne faccio niente.

 

 

Lui si alza, continua a guardarmi; le mie domande non sono riuscite a diventare voce, ma sembra avermi sentito. Si gira poi verso mio padre, dice di rimandare la festa ad un altro giorno. Entra in casa e si dirige verso il bagno, credo, per lavarsi.

Papà gli risponde con un cenno affermativo della testa, poi mi dà una pacca sulla spalla, come si fa tra amici, e insieme rientriamo a casa. E’ sereno; con sorpresa mi accorgo che stasera è tornato anche un pezzo di papà, quello che se ne andò tanti anni fa insieme a mio fratello.

Ormai è tardi, sono stanca, desidero andare a dormire. Mi avvicino a mio padre; lui mi guarda, mi sorride e mi dà il bacio della buona notte. Di solito accadeva che fossi io a darglielo, mentre lui già dormiva vicino al camino.

Mi metto sotto le coperte. Quante emozioni, dubbi, paure. Cosa starà facendo ora mio fratello? Cosa farà domani? Quando riusciremo a parlarci?

Però, tra le mille domande, tengo stretto quel bacio che mio fratello è riuscito a portare di nuovo a casa.