Era mio padre

Mariella Tirelli

23-07-2004  

Mio padre non mi ha mai dato uno schiaffo. La sua violenza la esprimeva con le parole, parole come raffiche di mitra che nessuna ragione riusciva a contenere. Il suo potere lo esercitava soprattutto umiliando mia madre. Con una determinazione senza incrinature. Non l'ho mai sentito parlar bene di nessuno, l'ho visto disprezzare chi stava un gradino sotto, strisciare davanti a chi stava un gradino sopra. Da bambina gli correvo incontro, la mia irruenza lo infastidiva. Ho imparato presto a diventare trasparente, a nascondermi; più grande, ho cercato di oppormi alla sua irragionevolezza, alla sua ira verso mia madre, ma per lei diventava peggio,.

Credo che mio padre mi abbia voluto bene, ma aveva intuito la mia sfida: aveva devastato la vita di mia madre, la mia non l'avrebbe avuta, volevo vivere anche per lei. Crescendo ho capito che in lui c'era qualcosa di rotto e di corrotto, una cellula impazzita nella sua testa; dietro, una famiglia che gli aveva insegnato solo ad offendere; sulle spalle tanto lavoro. Ma continuavo a volere la mia vita, a difendermi dal suo contagio. I padri insegnano sempre qualcosa ai figli. A me la determinazione a non essere come lui.

Dopo la morte di mia madre ho continuato ad andare a trovarlo, ascoltato le sue invettive e i suoi comizi. Non poteva più ferirmi: mia madre non c'era più e a me sembrava di essere diventata una persona decente, in grado di controllare la violenza che era anche dentro di me e che era la sua eredità. Avevo trovato fuori altri padri, fratelli e sorelle. La mia strada non era priva di ostacoli, ma era la mia.

Ho continuato ad andare anche quando in casa è comparsa un'altra donna. Non ho detto nemmeno una parola. L'ho visto piangere quando quella donna se n'è andata con una parte dei suoi risparmi e le poche cose di mia madre. A me non aveva voluto dare niente. Ma non avevo bisogno di niente per ricordarla. Anche allora non ho detto una parola. Era un povero vecchio.

Quando è stato male l'ho assistito in ospedale. Una mattina mi sono svegliata inquieta, il peggio era passato, sarei dovuta tornare il giorno dopo, ma ero inquieta e sono partita. Nella notte aveva avuto una crisi, solo apparentemente superata. Sul suo tavolo c'erano dei grissini, gli chiesi se potevo prenderli. Ma sì, prendi quello che vuoi, sembri l'uccellino del freddo.

"L'uccellino del freddo", mi chiamava così quando ero una bambina che stentava a crescere. Subito dopo ha perso conoscenza, un'emorragia cerebrale, in poche ore è mancato. E a me sono rimaste in gola le sue parole. Quanto tempo perduto, aveva vinto lui.

Ho continuato però a vedere mia madre in croce, me piccola nascosta sotto il tavolo della cucina, tutti i momenti buoni che mi aveva rovinato. Ricordo il suo commento alla mia laurea: "Che cosa credi di aver fatto?"

Niente, il suo esempio mi aveva insegnato anche a tenere un basso profilo. E risento le sue parole il mattino in cui mi sono sposata: “non so se è la persona giusta, ma non tornare più qui”.

No, non aveva vinto nessuno, il male non si cancella.